Uomo-macchina: la strana coppia nel terzo millennio
Il Terzo Millennio ha visto la diffusa introduzione dei processi digitali e l’affermazione spesso inconsulta delle alte tecnologie informatiche: situazioni che hanno indotto, anche, a proporre specifici programmi di aggiornamento nei processi industriali tra cui quello denominato Industria 4.0 (Smart Factory).
Si è inteso così stimolare e agevolare le industrie negli investimenti in nuove tecnologie tendenti fra l’altro a “gestire e generare la conoscenza” (Butera, 2017), con auspicati effetti positivi sia sulla competitività (produttività e qualità) industriale sia per “favorire una nuova cultura ed etica dell’impresa” (Butera, 2017), introducendo di conseguenza anche sostanziali modificazioni ai processi e alle organizzazioni (George Colony, 2002).
Questa mutevole situazione ha aperto un importante dibattito sul futuro del lavoro che impegna i più prestigiosi protagonisti di studi organizzativi d’impresa fra i quali Federico Butera della Fondazione IRSO, Francesco Varanini e Ferruccio Capelli che hanno condotto un articolato ciclo di incontri a proposito del ‘Presente e futuro del lavoro umano’ (vedi box a pagina 30), Michele Tiraboschi e l’ADAPT– Scuola di alta formazione in relazioni industriali e di lavoro, e molte altre istituzioni fra le quali la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa (che ha coinvolto la rivista L’Industria),la stessa Accademia dei Lincei (con il suo Presidente Alberto Quadrio Curzio, Marco Fortis, Marcello Panucci) e molte altre ancora.
Il lavoro umano dal Rinascimento all’impresa-Rete
Un’approfondita analisi sul futuro del lavoro si rende necessaria in quanto, nel complesso mosaico che caratterizza il Terzo Millennio, si assiste a un continuo e sostanziale cambiamento di tutti gli elementi che concorrono a disegnare gli scenari operativi. E proprio per questo, tuttavia, prima di affrontare la questione sollevata da Varanini su cosa stia diventando e come sarà il lavoro umano”, ritengo sia indispensabile chiedersi in quale veste e con quali funzioni si presenteranno i protagonisti del lavoro futuro, in particolare proprio i soggetti operativi oggi coinvolti in sostanziali mutamenti che stanno rivoluzionando l’attuale ‘mestiere di vivere’. Nel corso della storia, il soggetto umano è stato spettatore e protagonista di molteplici cambiamenti che l’hanno riguardato sia personalmente sia nella sua funzione di propositore e attuatore del ‘fenomeno lavoro’. Nel Rinascimento trionfarono le celebri botteghe artigianali e d’arte caratterizzate dalla presenza di grandi maestri affiancati da altrettanto abili apprendisti. Grazie alla loro geniale creatività queste botteghe generavano straordinarie opere d’arte espressioni di una grande cultura che andava diffondendosi sul territorio e in particolare nelle città rinascimentali che ebbero in quell’epoca il loro massimo splendore. La settecentesca fabbrica di Adam Smith era guidata ancora da abili artigiani, esperti nel combinare il sapere della conoscenza con l’arte manuale di un fare che doveva caratterizzarsi nella qualità della manifattura dei prodotti. Tuttavia già emergeva una divisione specialistica dei compiti con propensione alla produzione in serie e di massa. Una produzione che tendeva a privilegiare caratteristiche più quantitative che qualitative e che via via sempre più andava affermandosi nell’Ottocento industrializzante, per poi diffondersi largamente nel Novecento con l’introduzione delle catene di montaggio e delle tecnologie connesse. Il lavoro assunse dunque le connotazioni tipiche del taylorismo-fordismo dando vita a modelli imprenditoriali gerarchici basati sulla parcellizzazione spinta delle attività e sulla loro netta separazione fra la definizione e programmazione delle modalità esecutive (bestway) e la loro esecuzione da imporre a livello operativo, con una sorta di delega specificamente attuativa (che diventerà caratteristica del fordismo). Si espropriava così, di fatto, il fattore umano “della conoscenza del processo produttivo e della responsabilità dei risultati”(Butera), con una netta divisione nella categoria degli operatori del lavoro: da un lato i possessori della conoscenza e pertanto in grado di programmare e stabilire le one best way esecutive, e dall’altro gli operai come semplici esecutori di un lavoro manuale da svolgere senza una particolare cultura formativa, ma conun addestramento volto a promuovere un’anonima manualità.
L’articolo completo è stato pubblicato nel numero di Dicembre 2017-Gennaio 2018 di Persone&Conoscenze.
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Gianfranco Dioguardi è Presidente onorario della Fondazione Dioguardi e Professore Ordinario di Economia e Organizzazione Aziendale presso il Politecnico di Bari
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