Stampa 3D: la tecnologia che cambierà il mondo… ma siamo pronti a cambiare?
Pubblichiamo di seguito un’interessante riflessione sul tema della Stampa 3D. L’autore si domanda se la nostra società sia effettivamente pronta a cavalcare l’onda del cambiamento. Il fenomeno ‘Stampa 3D’ promette di rivoluzionare le logiche di funzionamento del mondo industriale, ma siamo pronti a coglierne la portata se prima non cambiamo la cultura della conoscenza?
di Giorgio Irtino, Metec Snc
Negli ultimi tempi, da circa un anno per essere più precisi, stiamo assistendo all’esplosione dell’ennesima moda tecnologica; dopo quella degli smartphone, dei tablet e delle app, ecco adesso imperversare la mania della Stampa 3D. Se ne scrive sui giornali, se ne parla in televisione, si organizzano seminari e fiere dedicati all’argomento, si pubblicano libri, sul web si moltiplicano a dismisura le risorse disponibili. A ben vedere, la Stampa 3D è soltanto la punta di un iceberg, quella che attira di più l’attenzione e l’interesse del pubblico, sotto alla quale però c’è tutto un universo di tecnologie digitali da esplorare sia per quanto riguarda l’hardware e il software.
Un universo in frenetica e costante evoluzione, motivo per cui molti qualificati osservatori e specialisti del fenomeno parlano di rivoluzione tecnologica. Qualcuno si spinge anche a parlare di rivoluzione industriale, ma questa è una definizione maggiormente impegnativa che stimola a fare qualche riflessione più approfondita.
La quarta rivoluzione industriale è alle porte
Il progresso tecnologico è condizione indispensabile ma non sufficiente a determinare da solo una rivoluzione industriale. Perché questa possa verificarsi l’evoluzione della tecnologia deve comportare ricadute sociali significative, tali da esercitare un’influenza pesante sugli stili di vita, sui modelli economici, sui processi produttivi. La storia ci insegna che così è successo nelle tre rivoluzioni industriali che finora si ricordano: la prima, sul finire del 1700, scatenata dall’invenzione della macchina a vapore che favorì lo sviluppo dell’industria tessile e di quella metallurgica; la seconda, circa 100 anni dopo, con la scoperta dell’elettricità e l’uso dei combustibili petroliferi grazie a cui decollò l’industria automobilistica basata sul modello di produzione in serie; la terza, iniziata nella seconda metà del secolo scorso, che vide la diffusione di massa delle tecnologie informatiche e che si è protratta fino ai nostri giorni con una escalation che prima ha consentito una capillare distribuzione del personal computer, poi ha fatto in modo che tutti i PC potessero connettersi tra di loro con internet e infine ha portato le funzioni di elaborazione e di comunicazione sui dispositivi mobili.
Tanta tecnologia open source in una scatola
Le tecnologie digitali che oggi gravitano intorno alla Stampa 3D posseggono connotati sia di innovazione sia di impatto sociale tali da poter determinare una quarta rivoluzione industriale. A beneficio dei pochi che ancora non si siano documentati sull’argomento, stiamo parlando di un insieme di strumenti hardware e software che consentono di realizzare oggetti di varia natura in modo più facile, più veloce e meno costoso rispetto ai processi produttivi tradizionali. Non solo: gli oggetti possono essere semplici strutture fisiche (componenti meccaniche) ma possono anche essere dotati di movimento e intelligenza (componenti elettroniche) per eseguire funzioni e interagire con altri sistemi. Le componenti meccaniche possono essere generate con tecnologie additive (Stampa 3D) o sottrattive (fresatura); a sua volta la Stampa 3D può essere effettuata con diverse modalità e materiali, dall’entry-level della macchina desk-top a fusione di filamenti plastici alle più sofisticate attrezzature per la stereolitografia o per la sinterizzazione laser. Le componenti elettroniche invece si possono sviluppare su piattaforme come Aurduino. Ma non è sugli aspetti puramente tecnologici che vale la pena entrare nel merito, vista anche la copiosa letteratura disponibile per chi volesse approfondire la materia.
Sono invece degni di nota e molto meno dibattuti alcuni importanti aspetti sociologici del fenomeno. In primo luogo, il fatto che lo sviluppo di queste tecnologie innovative sta avvenendo prevalentemente in modalità open-source quindi libera, gratuita e alla portata di tutti. Non è più solo una questione di democrazia tecnologica, come veniva ideologicamente etichettata fino a pochi anni fa, ma si è trasformata in un’opportunità concreta per fronteggiare la crisi che sta obbligando sia le aziende sia le famiglie a ridurre drasticamente le proprie spese.
Grazie all’open-source il ‘fai-da-te’ diventa accessibile e a costo molto contenuto. Questo spirito ha determinato la nascita di una nuova figura, il maker – ‘colui che fa’, l’artigiano digitale per studio, per hobby o per lavoro – e di un nuovo luogo di aggregazione, il fablab, cioè il ‘laboratorio di fabbricazione’, l’officina digitale, spazio dove si condivide il know-how, l’esperienza e l’uso delle attrezzature.
Le tecnologie non fanno la rivoluzione
In secondo luogo, il fatto che lo sviluppo di queste tecnologie innovative si sta gradualmente affermando come la modalità attraverso cui gli antichi saperi e mestieri trovano nuove forme di espressione, di realizzazione e di scambio; grazie ad esse i giovani si scoprono creativi, possono diventare maker/artigiani, imprenditori innovativi, mentre migliaia di professionisti e di piccole aziende già esistenti hanno l’opportunità di essere più competitivi, migliorare il proprio know-how, offrire nuovi servizi, rendere più efficienti i propri processi produttivi e trovare nuovi sbocchi di mercato. Anche l’industria manifatturiera trae vantaggio dall’applicazione di questi strumenti che consentono di progettare più efficacemente con le tecniche di rapid-prototyping e di snellire i flussi di produzione applicando criteri di downsizing.
Ma questi aspetti sono sufficienti per configurare un’altra rivoluzione industriale? Ancora no! Le ricadute sociali più importanti vanno ricercate nel sistema educativo e culturale e l’assenza di queste può sancire la relativa inutilità delle migliori tecnologie. Quando si parla di cultura diffusa spesso ci si riferisce a quella umanistico-letteraria, partendo dal presupposto che scienza e tecnologia siano materie destinate prevalentemente al target degli addetti ai lavori. Per questo motivo si tende normalmente a distinguere quella che è ritenuta formazione specialistica che si acquisisce in ambito lavorativo da quel substrato di cultura generale che deriva, almeno in teoria, dal proprio iter scolastico; invece anche il sapere tecnologico dovrebbe diventare patrimonio di conoscenza diffusa altrimenti il paradosso che rischiamo è quello di avere la disponibilità di tanti strumenti open-source che in pochi sono in grado di usare.
Raggiungere questo obiettivo non è semplice, ci sono tanti interessi che frenano, c’è una carenza d’informazione, c’è una pigrizia mentale da superare, c’è un nuovo spirito di collaborazione da instaurare tra i soggetti portatori d’interesse quali i maker, i fablab, le imprese, le scuole, le pubbliche amministrazioni. Si usa dire che la Stampa 3D stia cambiando il modo di pensare le cose, con riferimento al processo di creazione-produzione, ma se non riusciamo a cambiare anche il modo di pensare la società nei suoi meccanismi di diffusione della conoscenza e opportunità di accesso alle risorse allora non si potrà mai compiere quella rivoluzione industriale necessaria per uscire dall’attuale fase di crisi e per aprire una nuova era di sviluppo socio-economico.