Rallenta il settore manifatturiero, che deve fare i conti con l’aumento dei costi energetici
La prima parte del 2022 ha visto chiudersi la fase di ripresa post covid-19, legata alle riaperture. L’economia ha superato i livelli del Prodotto interno lordo (Pil) di fine 2019, anche se con andamenti ancora molto disomogenei a seconda dei settori. Al superamento dei livelli del Pil precedenti la pandemia si è, però, sovrapposta la fase più intensa della crisi energetica: nel corso dell’estate, l’esplosione delle quotazioni del gas e dei prezzi dell’energia ha peggiorato drasticamente le prospettive per l’Italia e aperto alla possibilità di una fase di recessione per il 2023. A livello settoriale, il buon andamento dell’economia nella prima parte del 2022 è in primo luogo da attribuire alla ripresa del settore dei servizi, colpito duramente dalle misure restrittive imposte nei mesi centrali della pandemia e che ha beneficiato del progressivo ritorno alla normalità. Il secondo elemento che ha contribuito al risultato positivo è il perdurare della spinta fornita dal settore delle costruzioni, che nell’ultimo biennio ha rappresentato il principale motore di crescita per l’economia del Paese.
Anche l’Industria ha registrato una buona performance nella prima parte del 2022, con una crescita del valore aggiunto dell’1,3% nel secondo trimestre rispetto al primo. Nel terzo trimestre le stime preliminari dell’Istat segnalano, tuttavia, una decelerazione. Il quadro sta quindi peggiorando rapidamente, con i principali indicatori congiunturali che mostrano brusche flessioni, specialmente con riferimento alle attese sugli ordinativi (Grafico 1) e sulla produzione.
La dinamica risulta molto differenziata a livello settoriale. In particolare, vanno meglio i comparti che erano stati più danneggiati dalla pandemia, come per esempio il settore farmaceutico, che sta beneficiando dell’esaurirsi dell’emergenza pandemica che aveva spiazzato parte delle altre produzioni sanitarie italiane, e quello dell’abbigliamento e della pelletteria, in graduale ripresa con la normalizzazione degli stili di vita, ma con livelli di produzione ancora ben lontani da quelli precedenti la pandemia.
A registrare i cali maggiori nella produzione sono i settori energivori, che registrano anche un deterioramento della confidence delle imprese. È il caso dei comparti della metallurgia, dei prodotti in metallo e dei prodotti chimici. Anche il settore dell’auto riporta un andamento della produzione in calo. Su quest’ultimo comparto pesano inoltre, ormai da un paio d’anni, anche altri fattori, oltre all’aumento dei costi di produzione, come i problemi di approvvigionamento dei componenti, il cambiamento di alcuni stili di vita in seguito alla diffusione dello Smart working e, ultimamente, l’incertezza sul prezzo dei carburanti, che potrebbe scoraggiare gli acquisti di autoveicoli da parte di alcune famiglie, specialmente nei centri urbani. Sono in peggioramento anche gli indicatori di fiducia dei produttori di articoli per la casa, che avevano beneficiato della maggior attenzione all’abitazione da parte delle famiglie nei periodi di lockdown.
Il quadro risulta, quindi, molto differenziato tra settori, ma la tendenza prevalente è quella di una decelerazione, come evidenziato anche dall’indicatore di diffusione settoriale della crescita nell’industria in calo dall’inizio del 2022.
Le incertezze attuali frenano gli investimenti
I dati più recenti segnalano anche una frenata degli investimenti. Il principale driver di incertezza è ovviamente la crisi energetica, che sta determinando vertiginosi aumenti dei costi di produzione, specialmente nei comparti più energy intensive. Un altro fattore che pesa sulle intenzioni di investimento è la mancanza di liquidità delle imprese, che trova le sue cause in due fattori fondamentali. Il primo è la contrazione dei margini di profitto a cui si assiste da inizio anno. In sostanza, le imprese non stanno scaricando a valle la totalità dei rincari dei costi, ma non potranno sostenere a lungo tale contrazione degli utili. Su questo punto, segnali positivi emergono dal rientro dei prezzi di molte commodity negli ultimi mesi, che hanno attenuato le pressioni sui bilanci delle imprese. D’altra parte, molto dipenderà dall’evolversi della situazione sul mercato dell’energia. Il secondo fattore che sta determinando scarsità di liquidità per le imprese è la maggior difficoltà di accesso al credito, data sia l’intonazione più restrittiva della politica monetaria al fine di contrastare l’inflazione sia la maggiore incertezza circa le prospettive economiche da parte degli istituti finanziari. Difatti, dall’indagine condotta da Banca d’Italia presso questi ultimi emerge chiaramente una stretta delle condizioni di accesso al credito che saranno applicate dagli intermediari nel valutare i prestiti alle imprese nei prossimi mesi. Si prospetta, dunque, un andamento molto più accidentato degli investimenti nella seconda parte dell’anno e nei primi mesi del 2023. Alcuni settori del manifatturiero, tuttavia, potrebbero mostrare un andamento degli investimenti più favorevole, come per esempio i settori dell’abbigliamento e della pelletteria, in ripresa dopo il periodo pandemico. Tra l’altro, si tratta di comparti a bassa intensità di energia e che, quindi, risentono in misura minore dello choc sul mercato energetico. Uno spiraglio positivo potrebbe, infine, essere rappresentato dagli investimenti che nei prossimi mesi saranno effettuati dalle imprese produttrici di energia da fonti rinnovabili, per assecondare il percorso di transizione energetica che ricopre un ruolo sempre più prioritario, anche tra le missioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).Si prospetta un rallentamento anche nel mercato del lavoro
Per quanto riguarda l’andamento del mercato del lavoro, il bilancio per la parte di anno fin qui trascorsa è stato positivo, con i livelli occupazionali che sono praticamente tornati sui valori antecedenti la pandemia. Nel comparto industriale, in particolare, l’occupazione si è riportata sul percorso di crescita precedente l’emergenza sanitaria, ma con l’inverno alle porte e una grave crisi energetica da affrontare l’attività produttiva potrebbe arrestarsi nei prossimi mesi, portando a una fase di rallentamento anche per la domanda di lavoro. Peraltro, un aspetto da sottolineare è che, nonostante l’economia sia entrata in una fase di rallentamento, le difficoltà di reperimento di manodopera da parte delle imprese restano alte. Nel secondo trimestre 2022 il tasso di posti vacanti si è portato all’1,8% per il complesso delle attività economiche e all’1,6% per l’industria manifatturiera, attestandosi quindi sui livelli più elevati dall’inizio del periodo di osservazione. In Italia, la carenza di manodopera è essenzialmente da collegare alle strutturali difficoltà di matching tra domanda e offerta, da ricondurre alla mancanza di allineamento tra il sistema delle imprese e del lavoro con il sistema dell’istruzione e della formazione, soprattutto in un contesto di cambiamenti tecnologici che spingono a inserire nuove competenze nei processi di produzione.La ripresa non è uniforme
Per concludere, i risultati positivi registrati nella prima parte del 2022 si scontrano con i dati che emergono dalle indagini congiunturali. Queste ultime indicano che a ottobre le attese delle imprese sull’occupazione hanno subito una significativa flessione nella Manifattura, una più contenuta nei servizi di mercato, mentre permangono segnali favorevoli nelle Costruzioni e nel Commercio al dettaglio.L’articolo è pubblicato sul numero di Dicembre 2022 di Sistemi&Impresa.
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Economista presso REF Ricerche
costi energetici, investimenti, manifattura, ripresa