Se
cambia il modo di produrre, nella storia dell’uomo si verificano cambiamenti radicali. Che non riguardano solo la tecnologia, ma il modo con il quale veniamo a conoscenza del mondo.
Nel 1946 Norbert Wiener, padre della cibernetica, scrisse che
non è più importante una ‘cosa’, ma come funziona. Significa che non c’è più relazione ontologica tra le cose e l’essere. Si introduce la logica della processualità:
il mondo viene analizzato come processo, ne diventa interessante il funzionamento.
Nel mondo industriale assistiamo a un passaggio dirompente:
muore la produzione industriale e nasce la produzione digitale. Se il passaggio è dirompente, usare il termine ‘4.0’ significa non ammettere che tutto è cambiato e stiamo cercando di salvare la fabbrica per come era. Il cambiamento è radicale e
il passaggio da ‘produzione in serie’ a ‘personalizzazione di massa’ cambia il modo di progettare e influenza il modo di vivere.
La tecnologia abilita nuovi modi di costruzione del mondo. Si rovesciano i paradigmi: pensiamo alla perdita di valore del concetto di brevetto su cui si è basata la produzione industriale. Siamo immersi nella
sharing economy, la dimensione etica legata all’idea del ‘privato’ prende nuove consistenze: lo scollegamento tra valore economico e proprietà è evidente (pensiamo al valore di Airbnb o Uber).
La produzione industriale aveva al centro la proprietà e, dal punto di vista del prodotto, il trasferimento tecnologico era fondamentale.
Nell’era della produzione digitale diventa strategico il trasferimento dei saperi. Prima valevano le materie prime
ora valgono le idee e cambiano i sistemi di produzione del valore.
Al centro l’intelligenza collettiva: si intercettano bisogni e processi a valle di un lavoro di creatività collettiva. Ecco che l’antica separazione tra teoria e prassi perde di significato
perché il pensiero digitale è contemporaneamente teorico e pratico. Un cambio epistemologico radicale, che influisce sulla produzione dei saperi, che non possono più essere concepiti a compartimenti stagni.
Il digitale alimenta creatività e intelligenza collettiva, ma siamo ancora abituati a confrontarci con intelligenze singole, a pensare per oggetti e non per processi. Mentre la produzione industriale produceva prodotti,
la produzione digitale produce processi e il lavoratore diventa un processo all’interno di altri processi. Domanda: dove trova l’imprenditore i saperi necessari?
Se cambia il modo di produrre deve cambiare la società, che si configura come un sistema basato su internet, cloud e Big data: in una società interconnessa i soggetti sono costanti intermediazioni. L’economia passa attraverso logiche di disruption: il modello tradizionale di crescita era evolutivo,
oggi alle crescite repentine fanno seguito cadute altrettanto veloci. Deve allora svilupparsi un
nuovo modo di pensare che corrisponde a nuove logiche di business.
Altra domanda: stiamo governando questi cambiamenti? La risposta è no.
Dobbiamo molto al nostro passato industriale, ma il mondo è cambiato. Diceva Friedrich Hölderlin: nel pericolo vedo la salvezza. Questa la sintesi della lezione che
Roberto Masiero, Professore Ordinario di Storia dell’Architettura alla Iuav di Venezia, ha tenuto all’Ateneo Este. Ne parliamo a
Venezia l’8 giugno a FabbricaFuturo.
Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 sceglie di diventare imprenditrice partecipando all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige Sistemi&Impresa e pubblica dal 2008 su Persone&Conoscenze la rubrica che ha ispirato il libro uscito nel 2009 Dirigenti disperate e Ci vorrebbe una moglie pubblicato nel 2012.Le riflessioni sul lavoro femminile hanno trovato uno spazio digitale sul blog www.dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager.