Nuova responsabilità della Moda con l’etichettatura responsabile
Il consumatore ha diritto di acquistare un prodotto, avendo a disposizione informazioni affidabili e trasparenti sulle caratteristiche di sostenibilità del prodotto stesso e di responsabilità sociale dei luoghi in cui è stato realizzato? Quando andiamo in un negozio a comprare una maglietta di cotone sappiamo che il suo ciclo di vita assorbe oltra 2.700 litri d’acqua?
Sappiamo che nei tanti hub di produzione di tessuti i fiumi spesso cambiano colore, in funzione della tonalità di moda in quel momento? Sappiamo che in Pakistan, India o Bangladesh gli incendi e i crolli nelle fabbriche di abbigliamento sono frequenti e provocano decine di morti tra i lavoratori?
Una maglietta comprata in Europa può essere cucita in Cambogia, con tessuto prodotto in Cina, utilizzando cotone coltivato in Uzbekistan e colorata con tinture prodotte in India. Le Supply chain sono sempre più allungate e frammentate su scala globale e presentano un pulviscolo eterogeneo di grandi imprese di produzione, fornitori, subfornitori, piccoli laboratori e lavoratori informali.
I consumatori sono consapevoli che proprio lungo le catene di fornitura si annidano i più gravi rischi di violazioni dei diritti umani, di sicurezza e inquinamento ambientale, di soprusi su intere comunità locali?
Il sistema della produzione di abbigliamento, accessori e pelletteria offre occupazione a oltre 75 milioni di individui e sta diventando nomade. Inizialmente Cina e India erano i grandi hub di produzione, ma i costi sono saliti e così imprenditori cinesi e indiani hanno cominciato a spostare le produzioni in Bangladesh o in Cambogia.
Mentre leggete queste righe è in atto una nuova emigrazione verso Paesi ancora più poveri e meno controllati: Uzbekistan, Etiopia ed Eritrea. Un fatto è certo: la scelta del consumatore può impattare sulle vite di migliaia di lavoratori, famiglie, comunità e ambienti, in Paesi di ogni parte del mondo.
Quali politiche e strategie le imprese forniscono alle generazioni di consumatori, sempre più attente e sensibili ai temi della sostenibilità e della responsabilità sociale, per scegliere in modo informato prodotti e marchi? Un’indagine condotta da Pwc, su un campione di giovani consumatori in Italia (oltre 2.500), ha rilevato che cresce l’esigenza di un’esperienza sensoriale all’atto dell’acquisto.
Oltre il 75% dei giovani è disponibile a riconoscere un premium price per prodotti che forniscono informazioni affidabili sulla loro sostenibilità e sulla responsabilità sociale dei luoghi in cui è stato realizzato. La comunicazione da parte delle aziende su questi temi è ancora insufficiente e poco affidabile. I giovani usano i social media per cercare nuovi prodotti, ma poi desiderano trovare informazioni affidabili sull’etichetta del prodotto stesso.
L’uso delle leve normative
Onu, Ocse e altre organizzazioni internazionali stanno contrastando da tempo il social dumping, ossia la delocalizzazione di produzioni in Paesi sempre più lontani dal luogo del consumo nei quali le normative e i controlli a tutela di diritti umani, condizioni di lavoro, sicurezza dei lavoratori e ambiente sono più deboli. Le Nazioni unite (Agenda 2030) e l’Ocse (linee guida sul Responsible Business Conduct) hanno creato riferimenti internazionali per guidare le azioni dei Governi. L’ISO (International Standardization Organization) ha pubblicato la norma ISO 26000 Linee guida alla Responsabilità Sociale. Inizialmente le organizzazioni internazionali hanno perseguito una strategia basata sulla moral suasion nei confronti dei Governi dei Paesi in via di sviluppo, affinché introducessero legislazioni nazionali più stringenti su aspetti importanti, quali la tutela dei diritti umani, la sicurezza dei luoghi di lavoro e dell’ambiente e aumentassero l’efficacia dei controlli sui fabbricanti. Questa strategia ha trovato il naturale contrasto di lobby locali nei Paesi in via di sviluppo.
L’articolo integrale è pubblicato sul numero di giugno 2019 di Sistemi&Impresa.
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