Montello, esempio ‘green’ del riciclo
Intervista a Roberto Sancinelli, Presidente Montello S.p.A.
A cura di:
Mattia Sotgiu
Ha da subito intuito che le potenzialità di riconversione dei rifiuti in materiale da riciclo e in energia dovevano essere valorizzate. Lo aveva imparato da suo padre, un imprenditore che negli anni ’50 aveva messo in piedi un’azienda per riciclare gli scarti industriali metallici, tessili e cartacei. Nei primi anni ’80 – continuando a mantenere attiva l’azienda paterna – rileva un’acciaieria e affronta due profonde crisi di settore nella metà degli anni ’90. Dalle ceneri di quella che era un’industria siderurgica Roberto Sancinelli fondala Montello SpA, oggi una tra le prime aziende in Italia e in Europa attiva nel riciclo dei rifiuti (recupera il 50% della plastica post consumo da raccolta differenziata di tuttala Lombardia), premiata nel 2009 con un riconoscimento ufficiale per lo ‘Sviluppo sostenibile’ assegnato dalla Presidenza della Repubblica.
Quelli della Montello sono numeri da leader: nello stabilimento entrano 120 mila tonnellate all’anno di imballaggi in ‘plastica post consumo’ ed escono trasformati in materia prima da riciclo e manufatti; entrano 210 mila tonnellate di rifiuti organici da cui si produce energia elettrica e termica e ottimo fertilizzante per coltivazioni.
Oggi la Montello SpA è un’azienda all’avanguardia, sia per tecnologia applicata, sia per il ‘sistema integrato’ di produzione che adotta.
L’azienda produce energia tramite processo biologico. L’umido organico è trattato con un procedimento complesso che prevede in un primo momento l’attivazione di un processo di decomposizione anaerobica da cui si produce biogas. Dal biogas si produce quindi energia elettrica e termica che rende autonoma l’azienda da altre fonti energetiche; l’energia non consumata è poi ceduta alla rete.
La plastica invece viene selezionata e divisa per famiglie di polimero. Si attiva così un processo grazie al quale si produce sia materia prima di riciclo, sia il manufatto vero e proprio, come la ‘geomembrana bugnata’, una pellicola in plastica indispensabile per l’isolamento dei pavimenti dall’umidità.
Tutto il materiale in plastica che non può essere riciclato perché troppo eterogeneo (circa il 20% dei rifiuti) diventa combustibile solido secondario (Css), utilizzato dalle cementerie in sostituzione del carbone.
Praticamente si recupera e ricicla tutto, niente viene smaltito in discarica.
Questa è solo la punta di un iceberg che racconta una storia imprenditoriale avvincente, una storia che mette in luce alcune delle più tipiche dinamiche di un’impresa che va avanti di generazione in generazione. Accompagnati da Roberto Sancinelli scopriamo come.
Ci racconti della sua impresa familiare, quale la sua storia e le sue tradizioni?
È nel Dna familiare la propensione a valorizzare tutto ciò che è considerato rifiuto o scarto. Nei primi anni ’50 l’attività di mio padre si focalizzava nel recupero dei metalli, degli scarti tessili, della carta. Iniziata in modo artigianale, nel tempo siamo passati a un’attività industriale vera e propria con investimenti importanti.
Nel 1984 abbiamo rilevato un’acciaieria che si trovava in difficoltà. Quel business si integrava perfettamente con l’attività di recupero degli scarti metallici che già facevamo. Eravamo tra i primi produttori in Europa di ‘tondini’ per cemento armato: 750.000 tonnellate all’anno.
Dal 1984 al 1996 abbiamo dovuto affrontare due periodi di profonda crisi per l’industria siderurgica. Da qui l’idea di chiudere questa attività e di riconvertire il sito per il recupero dei rifiuti: avevamo intuito che quello era il business del futuro. Abbiamo così proceduto allo smantellamento degli impianti siderurgici e alla bonifica del sito. Non appena è terminata l’attività siderurgica il sito è stato messo a disposizione della Regione Lombardia per contrastare un’emergenza che si presentava allora. Era il 1996.
Oggi quanti occupati conta la Montello? Quale il rapporto tra loro e l’imprenditore?
Ci tengo a sottolineare che quando fu chiusa l’attività siderurgica nel 1996 l’azienda dava occupazione a 304 persone, oggi queste sono 290, direi che abbiamo raggiunto quasi un pareggio. La riconversione ha tutelato tutti i posti di lavoro. Per un’impresa a conduzione familiare c’è molta sensibilità sul lato occupazionale rispetto a una conduzione ‘anonima’ da multinazionale.
Una caratteristica delle imprese familiari è proprio quella del rapporto con i dipendenti. Abitudine di un buon imprenditore è fare ogni mattina il giro dei reparti per ‘captare’ i diversi segnali senza nemmeno il bisogno di parlare.
È facile per un imprenditore affezionarsi ai suoi dipendenti; quello che non bisogna fare è innamorarsi del prodotto. Ci si deve innamorare solo del ‘fare impresa’. Ci sono prodotti che dopo aver fatto la loro storia non hanno più mercato.
Come ha vissuto questo cambiamento?
Il cambiamento è stato traumatico, non è certo stato facile da affrontare, perché il prodotto fa comunque parte della storia aziendale. Ma bisogna superarlo, come tutte le difficoltà che fanno parte della vita.La Montello ce l’ha fatta, grazie a un cammino che ha richiesto costanza e sacrifici.
L’impresa è come un corpo umano: se non si alimenta muore. Alimentarla per me significa investire continuamente in innovazione e tecnologie con impianti all’avanguardia.
Veda il caso di alcune imprese che, pensando a guadagni facili, hanno investito i capitali in ambito finanziario. Capitali che dovevano invece essere destinati alle attività produttive; così facendo hanno impoverito l’azienda della sua linfa vitale.
Ha parlato di scelte avventate quando si tratta di investire i capitali in ambito finanziario. La sua è una Società per Azioni, chi sono gli azionisti?
Azionista unico è la mia famiglia. Non abbiamo mai avuto bisogno di cercare altri investitori. Gli utili dell’azienda sono sempre stati investiti nell’attività dell’azienda. Non abbiamo mai messo da parte capitali che non siano stati poi reinvestiti nel nostro business.
Come ho già detto, l’azienda deve essere ‘nutrita’, ogni giorno, come il nostro corpo. Per farlo è necessario un continuo investimento in impianti a elevata tecnologia. In questo modo l’impresa si auto-alimenta trovando le risorse economiche al suo interno. Se non agisce in questi termini è costretta a cercare capitali all’esterno, nel sistema finanziario. Ma proprio qui nascono i problemi.
Quali strategie ha messo in campo per affrontare il delicato processo di successione generazionale?
Sto curando con grande attenzione questo aspetto da diversi anni. In azienda lavorano oggi i miei figli. Se un domani dovessi ritirarmi dall’attività, l’ottima organizzazione dirigenziale esistente sarebbe in grado di andare avanti anche senza di me. Ho strutturato l’azienda in modo tale che il mio successore avrà il tempo necessario e le condizioni per prendere le decisioni più appropriate a un buon governo dell’impresa.
Ritengo che il passaggio generazionale rappresenti uno degli aspetti più importanti da considerare per un’impresa familiare. Sono rarissimi i casi in cui la successione avviene senza traumi per l’organizzazione. Si tratta di contesti in cui i figli non sempre crescono all’interno dell’azienda in giovane età. Ma non è solo questo il motivo. Bisogna ammettere che per sua natura l’imprenditore lascia poco spazio ai figli nella gestione aziendale. I figli hanno bisogno di tempo per adattarsi alle dinamiche imprenditoriali e soprattutto per maturare poi una scelta consapevole. Bisogna offrire loro questa possibilità. Se i figli crescono al fianco del padre nella gestione dell’impresa il passaggio avviene in modo non traumatico. Il padre però deve essere in grado di creare le condizioni ottimali affinché loro abbiano il tempo di fare una scelta consapevole. La guida di un’azienda è una scelta che non si può imporre.
Quali differenze tra il primo passaggio generazionale e il secondo?
Grandi differenze non ne ho rilevate. Io condividevo con mio padre la gestione dell’azienda quando è venuto a mancare improvvisamente. Avevo 21 anni.
Era già diverso tempo che seguivo l’attività e già allora mio padre era stato così lungimirante che aveva preparato l’organizzazione al passaggio garantendomi un periodo necessario per proseguire da solo.
I miei figli lavorano per l’impresa da tempo: nell’organizzazione ognuno si occupa di un’area, ma di fatto conoscono bene l’intera azienda, soprattutto sotto l’aspetto commerciale. Una competenza che ritengo molto importante.
Cosa significa per lei innovare?
Innovare significa soprattutto essere creativi. Vuol dire creare sempre qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso, facendolo però nella continuità.
L’imprenditore deve guardare sempre a due aspetti fondamentali: alla quotidianità e al domani. Una buona gestione del quotidiano prepara la strada alle innovazioni e allo sviluppo del futuro.
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