Il
trend di regolamentazione bancaria che ha caratterizzato gli anni successivi alla crisi è stato essenzialmente
volto a significativi rafforzamenti di capitale. Contestualmente a ciò, il sistema bancario è stato avviato verso una
maggiore selettività delle erogazioni del credito e a una conseguente
crescita degli accantonamenti di capitale a fronte di varie tipologie di prestito.
Il combinato disposto di questi fattori, unitamente alla
crescita della spesa per gli investimenti in infrastrutture informatiche e per i costi di
compliance, ha inevitabilmente determinato un
graduale restringimento dell’offerta di credito nei confronti delle imprese.
Ciò, in un’economia come quella italiana – caratterizzata dalla forte ‘bancocentricità’ – non è necessariamente un male, soprattutto perché incentiva le imprese a
diversificare le proprie fonti di finanziamento agli investimenti. Ma
quali sono le alternative?
Private equity e fondi di debito
Tutte le analisi riguardanti il panorama industriale del nostro Paese (si veda per esempio il
Rapporto sulla Stabilità finanziaria periodicamente emesso dalla Banca d’Italia)
ci mostrano come le imprese italiane sono tipicamente sottocapitalizzate e con un livello di debito abbastanza importante.
Tra le alternative più importanti in questo senso, possiamo considerare evidentemente
i fondi di private equity e, in generale, i fondi di debito. I primi hanno essenzialmente il ruolo di rispondere all’esigenza prioritaria delle imprese, ovvero la necessità di
incrementare il livello di capitalizzazione, attraverso l’ampiamento del capitale di rischio e l’avvio di un processo che può (a seconda dei casi) condurre l’impresa stessa alla quotazione sul mercato finanziario.
Il secondo modello di finanziamento riguarda la
diversificazione delle fonti di debito: anziché ricorrere tradizionalmente all’indebitamento bancario, si tratta di procedere all’
emissione di titoli di debito (obbligazioni) per tagli non elevati, colloquialmente chiamati ‘
minibond’.
Tipicamente l’emissione di questi titoli è curata da fondi che procedono a una raccolta che viene investita in questa tipologia di obbligazioni, che il fondo detiene fino a scadenza.
L’investitore del fondo percepisce un rendimento annuale essenzialmente basato sul flusso cedolare che proviene dalle obbligazioni sottostanti.
Minibond, il problema è la liquidità
Il problema fondamentale dei minibond e dei fondi di minibond è essenzialmente la liquidità. Per loro natura, i minibond sono definiti su emissioni di
piccola taglia (in generale inferiore ai 10 milioni di euro) e non sono quotati sul mercato ufficiale. Pertanto, il
fondo di minibond non può essere –
ai sensi della normativa vigente –
destinato alla clientela di investitori Retail. Si tratta, pertanto di un fondo alternativo che viene riservato alla clientela istituzionale (fondazioni bancarie e casse di previdenza).
Tali fondi hanno avuto un
ottimo successo nel corso degli ultimi anni, anche se potenzialmente potrebbero esserci ulteriori spazi di crescita: si potrebbe per esempio creare un mercato per i minibond in modo da poter contare su una maggiore liquidità di questi strumenti, consentendo alla clientela retail di accedervi.
Il successo dell’investimento nel capitale di rischio
Recentemente il grande successo dei
Piani individuali di risparmio (PIR) ha dimostrato come
l’investimento nel capitale di rischio rappresenta un elemento di grande interesse da parte del risparmiatore.
Il passo successivo dovrebbe essere rappresentato da un potenziale
allargamento dell’offerta di PIR non solo a imprese quotate sul mercato, ma anche a quelle non quotate. Su questo punto il tema cruciale è la regolamentazione che difficilmente permette l’accesso a strumenti non quotati da parte degli investitori retail.
Nonostante ciò, il persistente scenario di bassi tassi di interesse crea da parte degli investitori istituzionali un
crescente interesse per questa asset class. In generale, le emissioni di
private debt (obbligazioni emesse per crescita interna, per acquisizioni) derivano dalle imprese essenzialmente per crescita interna.
Tali strumenti non sono ‘contro’ il sistema bancario, ma rappresentano un importantissimo
strumento complementare al credito bancario, come forma di diversificazione del plafond di finanziamento.
Tendenzialmente, il settore di imprese interessato a questa forma di investimento è costituito dalle
imprese che fatturano da 20 a 200 milioni di euro e che, come ricordato in precedenza, rappresentano il segmento che, quando accede al credito bancario, richiede il maggior assorbimento regolamentare da parte delle banche.
Attraverso un’emissione di bond (mini o altro),
le imprese si pongono sul mercato e quindi ciò avvia un processo virtuoso di apertura e trasparenza, oltre che di disciplina nella gestione finanziaria e di investimento.
Siamo all’inizio di una
fase interessante che permetterà di
diversificare notevolmente le fonti di finanziamento per le imprese e di creare un
circolo virtuoso tra risparmio e crescita, riducendo l’enfasi del ruolo del settore bancario e aprendo la partecipazione al mercato finanziario dell’investitore Retail.