Manifattura bocciata in Economia circolare
Per le aziende manifatturiere italiane il paradigma dell’Economia circolare è ancora qualcosa di estraneo. Il rapporto di ricerca del Laboratorio Research & innovation for smart enterprises (Rise) dell’Università degli studi di Brescia sul livello di circolarità del Manifatturiero (basato sull’analisi di 144 imprese e con la partecipazione di oltre 200 manager) ha evidenziato che il punteggio di circolarità medio del campione analizzato è di 45 punti su 100. Inoltre, oltre il 70% delle aziende analizzate ha ottenuto un ‘punteggio di circolarità’ inferiore a 50 punti.
Il punteggio è stato elaborato attraverso il modello ‘C-Readiness’, strumento che valuta il livello di circolarità nelle diverse possibili aree di azione: struttura prodotto; processi produttivi; modelli di business; Supply chain; fine vita del prodotto-soluzione; cultura; e buone prassi aziendali. “Il risultato è un indicatore di quanto sia complicata (seppure auspicabile) una piena transizione verso l’Economia circolare da parte del tessuto produttivo italiano, e quanto gli sforzi intrapresi richiedano tempi medio-lunghi per giungere a risultati significativi, anche per via della sistematicità e trasversalità di questa trasformazione rispetto alle attività di un’azienda”, ha commentato Gianmarco Bressanelli, Main Researcher del team del Laboratorio Rise.
Un altro aspetto rilevante emerso dalla ricerca riguarda le dimensioni aziendali che influiscono sull’approccio circolare. Le grandi imprese , infatti, hanno ottenuto un punteggio medio di circolarità superiore di ben 14 punti rispetto a quelle medie e piccole dimensioni, registrando una differenza statisticamente significativa. Secondo Nicola Saccani, Professore Associato del Laboratorio Rise e coautore della ricerca, questo potrebbe spiegarsi con il fatto che le aziende più grandi sono soggette a obblighi normativi e di rendicontazione per i quali è previsto (se non necessario) avere una progettualità anche in termini di impatto ambientale. Inoltre, come evidenziato dallo stesso esperto, esse hanno maggior capacità d’investimento e facilità di accesso ai capitali: “Questo permette loro di investire, in maniera più agevole, in processi d’efficientamento e di controllo della filiera in ottica di sostenibilità, come evidenziato da un punteggio più elevato nelle aree relative ai processi produttivi e alla Supply chain”.
Tuttavia, indipendentemente dalle dimensioni, le aziende analizzate hanno ottenuto buoni punteggi per quanto riguarda la progettazione di prodotti attraverso il riutilizzo di materie prime seconde e nelle buone pratiche green trasversali. Un aspetto che ha ancora molto margine di miglioramento, invece, è lo sviluppo di modelli di business as-a-service a supporto della circolarità e per gestire in modo efficiente il fine vita dei prodotti.
Classe 1996, Martina Midolo scrive di cultura d’impresa e si occupa di social media. Per FabbricaFuturo conduce il podcast Storie dell’Italia che produce.
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