Made in Italy, un amore oltre ogni confine
Intervista a Giacomo Ponti, Ceo Ponti Spa
Una passione antica accompagna dal 1867 l’attività imprenditoriale della famiglia Ponti, brand riconosciuto a livello internazionale nella produzione di aceti e prodotti derivati a base di aceto. Con 6 stabilimenti e 4 poli produttivi, il gruppo Ponti è guidato oggi da Giacomo, 40 anni, un giovane che ha avuto il coraggio di portare avanti una tradizione ultracentenaria.
La vostra è un’azienda che ha più di 100 anni. Qual è il segreto della sua longevità?
Stiamo veleggiando verso la soglia dei 150 anni. Un traguardo che raggiungeremo tra non molto. Non credo esista un vero segreto al di là dell’impegno quotidiano. Viviamo alcune fortunate coincidenze. Come fare business in un settore, quello alimentare, anticiclico per definizione. Occupiamo una nicchia, rappresentata dai condimenti a base di aceto, che non fa molta gola alle multinazionali.
Mercati di riferimento all’estero?
All’estero Ponti è riconosciuto come uno specialista del food ‘made in Italy’. Esportiamo i nostri prodotti in quei paesi che apprezzano la salubrità della cucina italiana. Il nostro prodotto di punta è l’aceto balsamico di Modena. I principali mercati oltreconfine sono quelli europei, dal Portogallo alla Polonia. Oggi esportiamo anche in Russia, Stati Uniti, Sud America, Giappone, Australia, Sud Africa. Siamo conosciuti in 70 paesi.
Quali si riveleranno i mercati più trainanti?
India, Cina, Brasile e Russia sono paesi ad altissimo potenziale di sviluppo e stanno producendo numeri in forte crescita. Con partner di alto livello e un’offerta coerente siamo fiduciosi di poter sviluppare anche su questi mercati il business dell’aceto balsamico e dei suoi derivati.
Non pensate di insediare stabilimenti di produzione laddove il vostro business è ormai da tempo consolidato?
Assolutamente no. Siamo affezionati al ‘made in Italy’.
Alcuni numeri: fatturato, dipendenti, utile?
Lo scorso anno abbiamo raggiunto 115 milioni di euro. Quest’anno prevediamo una crescita che ci farà sfiorare i 119 milioni, con 188 dipendenti. L’utile è pari al 5% del fatturato.
Come si innova in un settore come quello dell’aceto?
È molto difficile innovare nel mondo dell’aceto, vincolato com’è da leggi che ne regolano i parametri chimico-fisici. Si può invece innovare con più facilità nel segmento dei condimenti a base di aceto, come la glassa. Per rispettare la tradizione non ci è consentito innovare nel prodotto tout court. Lo possiamo fare però nel packaging. Dal 2009 abbiamo infatti introdotto la bottiglia di polietilene.
La capacità di imbottigliamento giornaliera degli Acetifici del Gruppo Ponti, in un turno di 8 ore, è di 450.000 bottiglie. Come si traduce questo in termini di automazione del processo produttivo e di gestione logistica? Qual è il peso della tecnologia?
L’innovazione tecnologica è molto spinta. Abbiamo ridotto quasi a zero l’intervento degli operatori nelle linee di produzione. Per raggiungere questo traguardo abbiamo negli anni investito per trasformare i nostri stabilimenti con impianti ad alta intensità di capitale e bassa manodopera. Le nostre linee di imbottigliamento funzionano con 4 persone al massimo. Questa politica salvaguarda i costi di produzione.
Parlava prima di settore ‘anticiclico’. La mannaia di questa crisi ha colpito però anche il comparto alimentare…
Sì è vero. In alcuni settori la crisi ha fatto segnare picchi che hanno quasi dimezzato la produzione (– 40%). Il – 8% dell’alimentare è un dato molto critico che l’Italia non registrava da decenni.
Quali le difficoltà per chi vuole fare impresa in Italia?
Gli ostacoli sono una marea. Il costo dell’energia elettrica è folle: più alto del 30% rispetto alla media degli altri paesi europei. Il peso della burocrazia schiaccia le aziende e non permette a quelle nuove di svilupparsi. Manca un ‘sistema Paese’ che agevoli l’internazionalizzazione. La giustizia è lunga e dai risultati incerti. Il credito è azzerato e la tassazione è alle stelle. A queste condizioni è difficile attrarre investimenti dall’estero.
Ponti è alla quinta generazione. Quali le tappe del passaggio di consegne? Un processo ormai consolidato negli anni, di generazione in generazione…
Mio padre e mio zio hanno lasciato a me e a mia cugina la responsabilità di guidare questa azienda. È stata una libera scelta che sta accompagnando la mia attività da oltre 12 anni. Il processo di passaggio generazionale è ancora in corso. Sono stato preparato a questo momento perché mi è stata concessa la possibilità di sbagliare grazie all’appoggio di chi ha saputo correggere i miei errori.
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