L’italianità è questione di storytelling
In riferimento, per esempio, all’Agroalimentare (settore che, stando ai dati raccolti dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria e riferiti al 2021, vale 522 miliardi e contribuisce al 15% del Pil nazionale), la globalizzazione ha rimescolato le carte in tavola e ha reso più difficile ai consumatori riconoscere l’origine dei prodotti e degli ingredienti. Secondo Coldiretti, a causa del cosiddetto ‘Italian sounding’ (fenomeno che consiste nell’utilizzare denominazioni, riferimenti geografici, immagini, combinazioni cromatiche e marchi che evocano l’Italia su etichette e confezioni) più del 66% dei prodotti agroalimentari italiani nel mondo sono falsi e senza alcun legame produttivo e occupazionale con l’Italia. “Il marchio Made in Italy e la bandiera italiana sono spesso usati in modo improprio, per ‘imbrogliare’ il consumatore, presentandogli un prodotto che sembra italiano, ma non lo è”, commenta Dario Roncadin, Amministratore Delegato di Roncadin, azienda di Pordenone che produce pizze surgelate ed esporta circa il 70% della produzione.
“Questa questione mi ha turbato per molto tempo, ma ora mi sembra sia evoluta la consapevolezza da parte dei consumatori, che riconoscono una qualità del prodotto diversa”, prosegue il manager. Esportare Made in Italy è quindi una grande responsabilità per l’azienda, che sente il compito di raccontare, attraverso il prodotto, la vera storia della cultura culinaria italiana e il know how maturato negli anni. Accanto a questo, però, Roncadin asseconda anche le esigenze del business e del mercato, che richiedono di crescere, ma anche di adattarsi: “La qualità del prodotto prima di tutto, per questo prediligiamo le materie prime italiane, ma chiedendoci sempre se si tratta della scelta migliore. Abbiamo quasi 450 ricette in azienda e, a seconda del mercato in cui andiamo a vendere, valutiamo se utilizzare ingredienti di altri Paesi, che valorizzerebbero meglio la nostra pizza, si pensi all’avocado o al salmone, che non sono prodotti tipici.
Per l’Amministratore Delegato di Roncadin la ‘bellezza’ della pizza sta proprio nella sua versatilità: un prodotto che può accogliere gli ingredienti più disparati e il cui successo mondiale si deve anche alle varie versioni personalizzate nate dall’incontro con altre culture. “Nonostante tutto è un prodotto che rimane italiano; il nostro Paese è il metro di paragone, e qui rimane la culla principale dell’innovazione sulla pizza”, sottolinea Roncadin.
Il progetto di apertura di uno stabilimento a Chicago
Anche mossa da questa convinzione, l’azienda sta perseguendo il progetto di aprire uno stabilimento negli Stati Uniti, a Chicago: una scelta che considera principalmente il tema della sostenibilità. “Fino a qualche anno fa sarei stato molto scettico a riguardo, ma ora credo sia giusto cogliere l’opportunità di poter esportare il nostro ‘saper fare’, assumendosi una responsabilità importante in termini di impatto ambientale legato alle spedizioni”, evidenzia Roncadin. A fare la differenza è la trasparenza con cui si racconta la produzione, un impegno che l’impresa ha voluto mettere nero su bianco, redigendo il primo Bilancio di sostenibilità e diventando, nel 2022, società benefit.
L’azienda ha quindi accolto la sfida mettendosi in gioco, sfruttando le potenzialità di poter trasmettere e tramandare, fuori dall’Italia, un pezzo di storia del Paese. In questi termini, la strategia di apertura e di condivisione è vincente perché permetterà non solo di crescere in termini economici, ma anche rispetto alla reputazione e riconoscimento dei valori e della cultura italiana. “Essere troppo ‘puristi’ non porta da nessuna parte; per evolvere bisogna osare e accettare di contaminarsi. Se vogliamo stare sul mercato, dobbiamo coinvolgere i vari Paesi e adattare la nostra offerta ai loro gusti e alle loro culture, solo in questo modo potremo farci conoscere”, afferma il manager Roncadin. Aprirsi a nuovi Paesi, localizzandovi anche il processo produttivo, rappresenta una grande occasione di crescita in termini di know how e competenze, che saranno messe in comune, nel caso dell’azienda di Pordenone, con quelle statunitensi. Inoltre, Roncadin considera un grande valore poter permettere alle persone che lavorano in Italia di poter viaggiare. “La creatività che ci contraddistingue come popolo è incredibile confronto a quella straniera. E se la nostra pizza non sarà più letteralmente Made in Italy, è pur vero che sarà comunque ‘made by italians’, con l’esperienza e le competenze italiane”, conclude Roncadin.
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