L’Industria 5.0 punta sulle persone e sulla collaborazione con le macchine
La trasformazione tecnologica protagonista della Quarta Rivoluzione industriale ha gettato le basi per il paradigma emergente dell’Industria 5.0, che vede prevalere il rispetto per le persone e per l’ambiente. Essa mira, infatti, a rifondare e ampliare lo scopo delle tecnologie digitali e intelligenti, dalla produzione di beni e servizi per la Manifattura al sostegno a più ampi temi legati all’inclusione, benefici sociali e green e gettare così le basi per una società più sostenibile e fondata sulla centralità dell’uomo.
La pandemia, inoltre, ha messo in luce, nel settore industriale, la mancanza di preparazione per la gestione dei rischi e delle crisi, chiedendo sistemi di produzione più intelligenti e resilienti. In particolare, questi possono essere definiti come “sistemi con la capacità di regolare il proprio funzionamento prima, durante o in seguito a cambiamenti e disturbi operativi, in modo che possano sostenere le operazioni richieste in condizioni sia previste sia impreviste”.
L’ingegno umano è al centro di tale rivoluzione, poiché combina flessibilità, creatività, intraprendenza e innovazione, che consentono di trasformare le avversità in opportunità. Le persone sono, allo stesso tempo, le risorse più fragili, quindi, vanno salvaguardate da influenze biologiche, fisiche, cognitive e psicologiche che possono avere un impatto diretto o indiretto sulla resilienza dell’intero sistema produttivo.
Il lavoro può comportare rischi per la salute
La Legge 81/08 regola la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, recependo il principio della Costituzione secondo cui essa è un diritto fondamentale dell’uomo. Il lavoro stesso lo è, così come l’ambiente nel quale si svolge è uno spazio di vita in cui le persone trascorrono una parte importante del loro tempo: tuttavia esso si trasforma spesso in una fonte di rischio per la salute. I disturbi muscoloscheletrici (Dms) sono uno dei problemi più comuni, indipendentemente dal settore e dall’occupazione. In Europa, il 60% delle malattie professionali è riconducibile a essi, i quali affliggono tre persone su cinque e costano miliardi di euro ai datori di lavoro. I Dms colpiscono diverse regioni anatomiche (principalmente schiena, collo, spalle e polsi) e non hanno conseguenze solo per i lavoratori e le imprese, ma anche per la società in generale e la vita personale. Sebbene si siano diffusi numerosi strumenti standardizzati per la valutazione dei rischi (Ocra, Reba, Rula, ecc.), gli interventi di prevenzione possono fallire se non si tiene conto della cultura del lavoro e non si supera la resistenza al cambiamento. Il secondo disturbo professionale più diffuso è lo stress lavoro-correlato (Slc), definito dall’Accordo europeo del 2004 come una “condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative”. Coinvolge circa metà degli occupati in Europa e a esso è dovuto circa il 50-60% di tutte le giornate lavorative perse. Al giorno d’oggi, la sfida è sviluppare un quadro olistico di gestione del rischio che comprenda sia i Dms sia i fattori psico-sociali. Le tecnologie abilitanti l’Industria 4.0 offrono un valido contributo a questa sfida, attraverso strumenti di valutazione oggettivi da affiancare al più tradizionale self-assessment.L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Giugno 2022 di Sistemi&Impresa.
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Alessandra Papetti, Industria 5.0, Marianna Ciccarelli, responsabilità sociale