L’identikit dell’economia per un efficace orientamento scolastico
Il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara sta predisponendo una “grande campagna di orientamento scolastico” che, con il coinvolgimento delle imprese, sarà in grado di fornire alle famiglie degli studenti che devono scegliere la scuola secondaria di secondo grado una serie di informazioni sui settori che offrono le migliori prospettive occupazionali. Leggendo sui media, l’intenzione sembrerebbe di non lasciare solo nelle mani dei docenti il compito di consigliare la scuola del futuro, ma di “consegnare a mamme e papà” un identikit dell’economia del nostro Paese in modo che via sia un incontro tra il sistema scolastico attuale e le competenze richieste dal mercato.
ll sindacato della scuola sembrerebbe apprezzare l’iniziativa, con qualche preoccupazione sollevata dalla UIL che teme che la grande campagna d’orientamento si possa tradurre in “una esaltazione degli istituti tecnici e professionali a scapito di una visione più ampia del sistema educativo”. La motivazione sottolineata è che la scuola non debba essere asservita al mercato per soddisfare le esigenze che appartengono a quel contesto.
Prendendo per buone queste notizie, significa che finalmente siamo entrati nel cuore del problema, che è multifattoriale e complesso, su cui ho scritto ampiamente nel mio saggio Ricostruire l’istruzione tecnica – Ultima chiamata per rimanere per rimanere la seconda Manifattura in Europa, salvare la nostra economia e preservare il nostro welfare (Guerini, 2024).
L’identikit dell’economia industriale del Paese
Per elaborare l’identikit dell’economia industriale del nostro Paese si dovrebbe partire da un piano industriale nazionale, ma anche sovranazionale, che indichi in quale direzione si vorrebbe indirizzare la crescita del nostro Paese per sostenere l’economia, una occupazione non precaria di buon livello e preservare il nostro welfare.
Successivamente serve conoscere in tutte le sue variabili – ai fini di ciò che si deve occupare la scuola – il modello economico del Paese, e quindi farne un identikit, analizzando la parte industriale, quella più bisognosa di competenze nuove e di tecnici. Qui occorre conoscere e rappresentare molto bene il mondo delle imprese nei diversi settori, secondo modello e linguaggi che si ispirano a grammatiche e sintassi adeguate.
Nell’identikit, però, non ci si deve fermare ai confini domestici nazionali o regionali, essendo la nostra economia intimamente legata a quella di altri Paesi, a partire dalla Germania, e intrecciata con aziende straniere in complesse Supply chain, dove spesso le nostre imprese anche per la loro piccola dimensione sono l’anello debole della catena.
Occorre quindi uno sguardo di scenario e un identikit che porti, concretamente, a riflettere ben oltre gli orizzonti attuali. I confini dell’identikit si devono, quindi, allargare secondo quanto è scritto nel Rapporto Draghi, sull’assoluta urgenza del rilancio della competitività dell’Europa. Questa è la vera sfida per tutti.
Le informazioni per un efficace orientamento scolastico
Ma l’identikit quali informazioni dovrebbe fornire per un efficace orientamento scolastico? Lo scopo dell’iniziativa ministeriale, sembrerebbe sia orientare i giovani a scegliere un percorso di istruzione secondaria coerente a dove sta andando il Paese. Non è, però, sufficiente e serve osservare il “mondo intero”, perché siamo in una economica globale interconnessa. È evidente che l’economia di cui abbiamo bisogno, anche per preservare il nostro welfare, è prevalentemente l’economia industriale del Manufacturing avanzato, comprensiva anche dei servizi associati. Questa economia ha da tempo ridefinito il repertorio delle professioni tecniche, coerente con i nuovi processi aziendali con i quali ormai si “modellizzano” e rappresentano le aziende. Molte di queste professioni cambieranno continuamente nelle loro competenze fondamentali nel prossimo futuro, così come cambieranno i “saperi” teorici, pratici e comportamentali, di cui si dovrà occupare anche la scuola assieme alla formazione professionale, che sono gli ingredienti fondamentali per costruire le competenze e trasformarle poi in prestazioni. Di tutto ciò si sa poco.
Purtroppo, i tecnici non sono presenti in quantità e qualità per soddisfare i bisogni delle aziende, che non sono solamente quelli “del momento”, ma che dovrebbero essere anche quelli che identificano i fattori di competitività individuati da Draghi, sui quali si gioca il futuro dell’Europa e anche del nostro Paese, che è ancora la seconda Manifattura europea.
Questi fattori di competitività riguardano la capacità di fare ricerca e sviluppo e, quindi innovazione, almeno medium tech per la parte tecnologica, e di incrementare la produttività del nostro sistema industriale, che è piatta da decenni, con un costo del lavoro per unità di prodotto continuamente in salita – mentre quello degli altri Paesi è stabile – e che non si abbassa con politiche salariali al ribasso e/o con contratti precari. Bisogna, quindi, avere piena conoscenza e consapevolezza del nostro sistema economico industriale, che è molto differente da quello dei Paesi con cui dobbiamo competere o collaborare.
Serve spiegare meglio il concetto di employability
L’identikit dell’economia servirebbe per costruire, finalmente, un percorso di orientamento scolastico che indichi ai potenziali discenti come effettivamente è fatto il mondo del lavoro da un punto di vista economico. Inoltre, andrebbe spiegato anche da un punto di vista della dimensione dell’employability, argomento costantemente disatteso e spesso derubricato nell’affermazione, condivisa, ma mal posta rispetto la realtà, “che la scuola non possa essere asservita al mercato o alle aziende”. Infatti, la scuola, e nel nostro caso l’istruzione tecnica, non deve essere vista a “servizio delle imprese”, semmai lo è l’addestramento professionale o una certa formazione professionale, ma deve invece essere a servizio del complessivo “sistema Paese”, che è ben altra cosa di una sommatoria scalare di aziende.
Nella campagna di orientamento scolastico ci sarà anche la “temuta esaltazione” da parte della UIL scuola, degli istituti tecnici e professionali per favorire il lancio delle riforme che, in qualche modo, dovrebbero attenuare il famoso disallineamento tra domanda e offerta di tecnici di cui ho approfondito in altri scritti. È meglio “esaltare” l’istruzione tecnica e professionale nella sua configurazione attuale, anche se non è un sistema di eccellenza e ha bisogno di essere ricostruita con una rivoluzione copernicana, come ho più volte argomentato, piuttosto che proseguire con un orientamento inadeguato che faccia percepire all’opinione pubblica che questi percorsi scolastici siano di serie B e di serie C, rispetto a quelli liceali considerati di serie A.
Il potenziamento dell’istruzione tecnica e dell’istruzione professionale, coerente però con l’evoluzione dell’economia mondiale, non serve solo come una risposta on demand ai bisogni del momento, che la collocano nella fattispecie di un sia pur necessario addestramento professionale. E con l’aumento significativo degli iscritti agli istituti tecnici come auspicato, non si produrrà nessun danno ai percorsi liceali “a scapito di una visione più ampia del sistema educativo” come qualcuno teme.
L’identikit dell’economia del Paese non serve solo all’orientamento scolastico
Mi chiedo però se l’identikit dell’economia del Paese, che ripeto deve contenere informazioni oltre i confini domestici, lo si stia facendo solo ora per attivare questa grande campagna di orientamento. Avrebbe dovuto essere fatto, in modo molto dettagliato e non solo ai fini dell’orientamento degli studenti, prima di scrivere le varie riforme, ma anche per verificare e monitorare la coerenza degli attuali indirizzi dell’istruzione tecnica con la realtà e i bisogni del complessivo sistema industriale del Paese. Infatti, l’identikit dell’economia del Paese, nello scenario dell’economia mondiale, è prodromico a ridefinire le architetture formative e aggiornare e superare l’inadeguatezza e l’obsolescenza curricolare degli ordinamenti scolastici attuali. Ne ho scritto nella seconda parte del mio saggio.
La prossima riforma dei percorsi quinquennali potrebbe, però, essere l’occasione di sistemare alcune evidenti gracilità e disallineamenti nel nostro sistema complessivo dell’istruzione tecnica, coinvolgendo nelle riflessioni anche gli ITS, in modo che i vari pezzetti dell’istruzione secondaria e terziaria possano essere ricondotti dentro un unico approccio concettuale e operativo.
La riforma scolastica deve includere il mondo dei lavoratori
Voglio anche evidenziare una osservazione che attiene al tema dell’employability e che dovrebbe interessare invece il sindacato dei lavoratori anziché quello della scuola. È consuetudine pensare che una riforma scolastica, coerente con il sistema economico, si faccia solo attraverso il dialogo scuola e imprese, escludendo il mondo dei lavoratori. È un errore concettuale, perché molte spesso gli sbocchi occupazionali dell’istruzione tecnica secondaria e terziaria sono precari, con bassi salari, con limitate prospettive di crescita professionale e quindi con poca attrattività verso le professioni tecniche. Nei dibattiti non si menziona mai l’employability, che non è certo un argomento di cui si dovrebbero far carico le imprese, altrimenti orientate a strategia di lean organization, quindi riduttive del personale.
Invece, va ricordato che per far crescere l’economia e farne il giusto identikit, non è sufficiente agire su quello che è chiamato il “mercato del prodotto”, quindi il “business” delle aziende che s’interfaccia con la concorrenza con cui competere e confrontarsi, ma occorre agire anche sul mercato del lavoro, quindi sui lavoratori e sulle politiche delle risorse umane, utilizzando la wage whip, ossia la frusta salariale, che deve spingere il sistema delle imprese alla continua riorganizzazione, sostenendo attraverso i salari la crescita dei consumi e del mercato interno. Senza l’azione di entrambe le leve, trovando ovviamente il giusto trade off, l’economia non solo non cresce e non si rinnova, ma rallenta e si indebolisce giorno dopo giorno, come sta succedendo a settori importanti della nostra industria. Allora, l’identikit dell’economia del Paese, di cui si stanno occupando le autorità scolastiche, dovrebbe creare consapevolezza e stimolare soluzioni anche per questa criticità.
Perito elettronico e laureato in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano, è Maestro del Lavoro. Le prime esperienze lavorative sono nel campo dei sistemi di controllo. Nello stesso periodo, per nove anni, è anche docente di elettronica industriale presso un importante istituto tecnico serale. Contemporaneamente inizia la sua attività presso una società di un gruppo tedesco, leader mondiale nella componentistica per l’automazione industriale nonché partner del governo della Germania per la costruzione del modello duale della formazione professionale. Successivamente diventa Direttore Generale e Amministratore Delegato di una nuova società del gruppo che si occupa di consulenza strategica e operativa nelle aziende industriali a cui appartiene una scuola di Industrial Management e una divisione per i sistemi di apprendimento. È stato pioniere delle prime iniziative di formazione applicata superiore nazionali e transnazionali. Ha intrattenuto rapporti con molti istituti tecnici e istituzioni pubbliche ed è stato promotore e attore di iniziative riguardanti l’evoluzione delle professioni tecniche. Ha terminato la sua attività professionale nella posizione di Vice President del gruppo internazionale, per il settore della Global Education, occupandosi dell’interconnessione tra economia e mercato del lavoro per la progettazione e realizzazione di sistemi TVET per governi di Paesi in via di sviluppo.
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