L’energia delle competenze come motore del Retail
Per far questo devono diventare aziende “poliglotte”, ossia raggiungere in modo mirato e specifico tutti i gruppi di clienti, attuali e potenziali,; essere capaci di sintonizzarsi armonicamente con il proprio interlocutore nel tempo. Essere poliglotti non significa parlare e relazionarsi con tutti, ma dotarsi di un modello operativo che permetta di valorizzare al massimola propria value proposition nei confronti del mercato di riferimento. Significa parlare linguaggi diversi nei diversi momenti del processo d’acquisto e anche specifici per target di clienti, se non addirittura per specifico cliente puntando quindi ad una strategia customer centric. Per fare un esempio: se voglio vendere un profumo a una teen–ager sarà più efficace la creazione di messaggi specifici all’interno di social network, invece se desidero relazionarmi con una donna di ceto e reddito medio sarà più efficace il coinvolgimento ad un evento specifico unito a campagne di advertising classico. Spesso tuttavia, nonostante una consapevolezza dichiarata di quanto sopra, le aziende, soprattutto in Italia, faticano ad avere iniziative di ampio respiro e coordinate legate alla customer centricity. Spesso perseguono ancora logiche di mark down in risposta all’abbassamento del fatturato. In realtà, questo è più evidente nella GDO e meno in altri segmenti quali il Fashion e il Luxury dove esistono iniziative più mirate alla segmentazione dei clienti, alla loro profilazione e conseguentemente ad azioni specifiche e differenziate per attività tipiche di CRM, quali il rafforzamento della fiducia e della fidelizzazione. In ogni caso esistono enormi spazi di miglioramento per tutti, a partire dalla capacità di riuscire a cogliere le infinite potenzialità che oggi la tecnologia offre nel mettersi al servizio della realizzazione di strategie multicanale orientate al cliente. In sintesi, a prescindere dal segmento di appartenenza all’interno del mondo retail, ogni azienda del settore deve dotarsi di competenze, asset e capacità di base che il cliente si aspetta. Solo avendo una solidità su questi aspetti è possibile poi costruire una value proposition specifica che differenzi realmente. Come abbiamo testato nello studio sullo smarter consumer, se mancano gli elementi di base, che il cliente dà per scontato di trovare nel suo rapporto con l’azienda, sarebbe solo uno spreco di energia fare investimenti verso i fattori differenzianti. Si affermano quindi tre aree di focalizzazione per i retailer che intendono capitalizzare la complessità del contesto circostante e delle persone che lo animano: la capacità di garantire un’esperienza di acquisto gratificante; impostare le proprie strategie di merchandising e logistica avendo come riferimento la soddisfazione dei bisogni del cliente; organizzare per avere un’eccellenza operativa che supporti l’esecuzione della propria mission e strategia.
Impostare e realizzare un nuovo paradigma di relazione con il cliente, adottando l’utilizzo di nuovi approcci e tecnologie è un processo spesso lungo e complesso e richiede competenze manageriali, organizzative e funzionali adeguate. Quello che fa la differenza è disporre di persone capaci di abilitare idee e innovazione anche utilizzando in modo adeguato le enormi potenzialità che la tecnologia mette a disposizione. Disegnare e implementare una strategia di customer centricity richiede comprensione delle strategie di business, capacità di marketing e comunicazione, competenze di merchandising e competenze tecnologiche che devono costantemente restare sulla frontiera dell’innovazione. Persone e modello: due elementi di un tutt’uno armonico, reciprocamente correlati, capaci di creare un circolo virtuoso tra competenze e strutturazione dell’azienda. Sono le persone che creano e tengono vivi i modelli e questi ultimi possono e devono influenzare e favorire la crescita e l’espressione creatrice delle competenze stesse. Le aziende e le singole persone devono trovare un equilibrio tra competenze di base e competenze specialistiche, ossia competenze di general management e competenze di area/settore/funzione. Tipicamente le competenze di base hanno un ciclo di vita abbastanza lungo nel tempo mentre il ciclo di vita delle competenze specialistiche si è accorciato sempre di più. È fondamentale avere figure nelle posizioni manageriali chiave che coniughino queste due forme di competenze. A livello azienda, significa anche specializzare alcune figure sulle competenze ritenute differenzianti: il modello a T delle competenze, tipico prevalentemente delle società di servizi ma che si sta allargando a tutti i settori. È necessario quindi bilanciare il budget della formazione e dell’aggiornamento tenendo conto di questi aspetti e indirizzare gli investimenti su target adeguati di ruoli professionali presenti in azienda, con un focus a irrobustire le competenze di base per poi specializzarsi. Ovviamente le competenze manageriali devono essere supportate dal poter disporre di strumenti che permettano l’eccellenza analitica, vale a dire di strumenti e applicativi che forniscano dati e informazioni certi, affidabili e in tempo reale quando serve, su cui fondare ragionamenti alla base delle scelte aziendali. Ne sono un esempio i moderni sistemi di pricing optimization che consentono di fare non solo analisi puntuali sul passato e il presente, ma anche di effettuare simulazioni e analisi predittive, verificabili a posteriori. In aggiunta a questo i retailer e le aziende più evolute hanno potenziato i tradizionali strumenti di market intelligence con strumenti evoluti di monitoraggio del brand e in generale della reputazione dell’azienda; questo per capitalizzare l’enorme potenzialità informativa del web. Tali strumenti – quali il Cobra (Corporate Brand Reputation Analysis) di IBM – utilizzano algoritmi sofisticati per fare analisi semantiche, ad esempio verificare quante volte determinate parole chiave si ripetono, quante volte si parla bene o male di un prodotto, un brand, una parola e con quale intensità. Accanto alle competenze adeguate, oggi occorre avere la capacità di rinnovare nel tempo le proprie competenze, nelle loro diverse connotazioni, perseguendo nuovi obiettivi senza forti discontinuità. Le competenze si acquisiscono con studi, formazione ed esperienza sul campo. La capacità di rigenerare le proprie, riuscendo ad individuare per tempo quelle obsolete e a individuare come impadronirsi di nuove, deve essere una priorità personale e aziendale. Pensiamo alle competenze di logistica, fondamentali come abbiamo visto per un retailer. 15 anni fa i precursori iniziavano ad aggiornare le loro competenze tenendo conto delle nuove tecnologie (RFID, magazzini automatici a comando vocale, con supporto di hand held device), software a supporto dei processi di business (es. calcolo automatico del riordino; strumenti di previsione della domanda con algoritmi evoluti ad es. in logica euristica), dell’evoluzione dei processi di business (es. ottimizzazione delle rotte e dei trasporti con GPS (Global Positioning System – per riduzione dei consumi di carburante e di emissione di CO2 e del magazzino – cross docking ottimizzato). Stesso ragionamento può essere fatto per le competenze legate al merchandising o al marketing. È necessario rivedere le logiche di definizione dell’assortimento, legato alla ‘clusterizzazione’, ai nuovi canali di vendita, ai nuovi bisogni emergenti e via dicendo; fondamentale capire le nuove logiche, come accennavamo prima del social & digital marketing avendo le capacità di realizzare campagne coerenti ed efficaci. Riuscire a far sì che lo sguardo del cliente indirizzi le attività aziendali in ogni punto dell’esperienza di acquisto fa evolvere le aziende e le rende più vicine ai propri interlocutori. L’utilizzo del Social Marketing permette di azzerare le barriere di ruolo e di appartenenza aziendale: si è lì per condividere, per esprimere le proprie idee e ascoltare quelle di altri, si ricercano stimoli intellettuali reciproci senza pudore e senza il pregiudizio che l’essere cliente o fornitore spesso fa nascere. Si ha quindi la possibilità di entrare in relazione con gli altri in modo molto spontaneo che è certo un ottimo seme per possibili relazioni di business, attuali e future. Esistono alcune aziende illuminate che sono pioniere a tal riguardo. Danone, ad esempio, ha sperimentato nel 2009 alcune iniziative di marketing sul canale Mobile, seppur il focus principale nel digitale rimanga il web con obiettivi di visibilità e profilazione. Il Mobile è stato usato con una funzione complementare rispetto agli altri canali: gli iscritti alla community ricevevano per due settimane consigli via sms sul tema della salute: i messaggi, firmati da una famosa testimonial , svolgevano una funzione di reminder relativamente al programma, creando prossimità tra marca e consumatore. L’iniziativa ha ottenuto un ottimo successo, tanto che molti partecipanti hanno contattato il sevizio consumatori aziendale per esprimere il proprio gradimento. Un altro esempio è Littlewood, che andando al di là dello store fisico, vende solo online e virtualmente. Questo retailer fa del CRM una leva competitiva capace di soddisfare il proprio obiettivo di dedizione al cliente in ogni aspetto della shopping experience. Mediamarket, partendo dallo store fisico ha sviluppato una nuova strategia multichannel, integrando punto vendita, call center ed e-commerce; ha creato una piattaforma consolidata in grado di offrire un servizio real-time e coerente lungo tutto lo shopping journey; in questo modo riesce a dare risposte e servizi mirati al cliente dal momento della ricerca di informazioni al post vendita. Nectar è l’azienda online che ha innovato il concetto di loyalty e ha promosso un nuovo modo di concepire i programmi fedeltà e la modalità di raccolta punti, avvicinando anche aziende concorrenti per essere più vicino al consumatore finale. Le aziende più evolute cercano nuovi percorsi di creazione del valore e addirittura sono orientate a spostare parte della filiera del valore sul cliente stesso. Sono capaci di avere processi che premiano l’idea innovativa da qualunque punto della comunità arrivi. Hanno la volontà di creare pacchetti di valore esperienziale avendo la consapevolezza che il cliente non è possesso dell’azienda ma è solo di se stesso e deve essere conquistato ogni volta, creando delle spirali virtuose che favoriscano il nascere di un rapporto continuativo basato sulla fiducia. Tutto ciò implica avere categorie concettuali nuove, sfumate; implica non ragionare più su target prestabiliti ma aprirsi a forme di interesse individuale.
Conclusioni Il Retail oggi ha davanti a sé una potenzialità enorme legata al suo poter essere molto vicino al cliente finale, alle persone; oggi le persone hanno sempre più potere e libertà di scelta e chi saprà creare modelli d’impresa “intelligenti” che favoriscano la co–evoluzione e la co–creazione di valore in una “danza” continua con il cliente, riuscirà a capitalizzare questo nuovo paradigma e ottenere vantaggi sugli altri. Come inoltre afferma Enrico Valdani “la danza co–evolutiva ha prodotto reti di reciproca dipendenza tra alleati e rivali, clienti e fornitori. Questo complesso sistema di relazioni rappresenta di fatto preziose reti di opportunità”. Quindi co–creazione non solo con il cliente ma con tutti gli attori di mercato che a seconda delle diverse situazioni possono generare valore insieme all’azienda. Le imprese che vogliono creare nuovi percorsi del valore e che non intendono cristallizzarsi devono avere la predisposizione mentale, la metodologia e gli strumenti operativi adeguati. Devono dotarsi di un modello di business e operativo flessibile e reattivo al punto giusto, capace di cogliere e capitalizzare anche gli imprevisti. Crediamo quindi che la vera linfa del Retail sia il disporre di un modello adeguato, disegnato e supportato da competenze e quindi uomini e donne in grado di essere radicati nella propria storia ma aperti e curiosi verso il nuovo.- 1
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