Le opportunità delle neuroscienze per l’azienda
Il termine “neuroscienze” è stato introdotto per la prima volta nella metà degli Anni 60 del XX secolo per in aziendadicare l’insieme delle scienze multidisciplinari che analizzano il sistema nervoso allo scopo di conoscere le basi biologiche del suo comportamento (Squire et al., 2012). Secondo gli studiosi Roy Mukamel e Itzhak Fried, l’obiettivo finale della ricerca sulle neuroscienze è quello di “sfruttare questa comprensione per ideare metodi di riparazione in caso di malfunzionamento” (Mukamel e Fried, 2012). Le neuroscienze hanno rappresentato l’inizio di una nuova era, intesa come collaborazione tra neuroanatomisti, neurochimici, psicologi, neuropsicologi per un unico obiettivo: comprendere la struttura e le funzioni del cervello (Squire et al., 2012). Altre discipline che lavorano a stretto contatto con le neuroscienze sono la Matematica, la Linguistica, l’Ingegneria, l’Informatica, la Chimica, la Filosofia, la Psicologia e la Medicina (Sampson e Brazier, 2018). Oggi le neuroscienze spaziano lungo un ampio range di applicazioni che vanno dalla Biologia molecolare delle cellule nervose allo studio delle basi biologiche del comportamento, delle emozioni e della cognizione umana.
Le neuroscienze applicano metodi scientifici, servendosi di strumenti indispensabili al fine di esplorare l’anatomia e la funzionalità cerebrale. Strumenti e metodi sono generalmente classificati in base alla tipologia di misura rilevata o alla tipologia di attività cerebrale misurata. Tra quelli più comuni citiamo Ecg (elettrocardiogramma), Et (eye-tracker), Eeg (elettroencefalografia), Pet (tomografia a emissione di positroni), Meg (magnetoencefalografia), Fmri (risonanza magnetica funzionale), Tms (stimolazione magnetica transcranica).
Le neuroscienze per massimizzare le opportunità di un’organizzazione
Gli strumenti e le scoperte messe a disposizione dalle neuroscienze possono essere applicati in contesti complessi come le organizzazioni, tuttavia, in questo caso, i metodi neuroscientifici si pongono come una delle condizioni di contorno per studiare le fondamenta delle organizzazioni e di per sé, da soli, non sono sufficienti. È necessario, infatti, inquadrare le informazioni ottenute con gli strumenti neuroscientifici, con il sistema cognitivo soprastante e con le specificità del contesto sociale d’interesse (Radtke Caneppele et al., 2022). Si istituisce, quindi, un sistema complesso da analizzare che attinge da molteplici discipline e opera su vari livelli di astrazione. La ‘meccanica’ del cervello esaminata con la strumentazione apposita è il principale piano materiale interno al soggetto attraverso cui si sviluppano i processi cognitivi. Dagli esiti di quest’ultimi, prendono forma le dimensioni sociali e funzionali condivise tra soggetto, gruppo e organizzazione. L’approccio multidisciplinare proprio di questa complessa area di ricerca è noto come Organizational cognitive neuroscience (Ocn), traducibile in italiano come Neuroscienze cognitive delle organizzazioni (Nco). Il neuroscienziato Michael J. Butler definisce le Nco, come un “sottocampo applicato della neuroscienza cognitiva, che si occupa di esplorare il comportamento umano all’interno delle/in risposta alle organizzazioni come un insieme di livelli teorici, di crescente astrazione; dall’attività e all’anatomia biologica/fisica del cervello, alla cognizione (cioè mentale), dalla sfera sociale, all’organizzazione come sottoinsieme della teoria sociale.” (Butler, 2017). L’obiettivo ultimo delle Nco risulta essere pragmatico e diretto, in quanto ambisce a massimizzare le potenzialità di un’organizzazione come gruppo di individui interagenti e del singolo individuo in relazione all’organizzazione. Tra i principali obiettivi tangibili sono spesso menzionati gli incrementi dei livelli di rendimento e la riduzione del gap tra metodologie di lavoro e modi di lavorare. Alcuni studiosi riassumono diverse applicazioni Nco, per esempio la possibilità di individuare soluzioni per combattere la procrastinazione raggiungendo obiettivi di lungo termine, basandosi sull’osservazione della corteccia prefrontale, che gioca un ruolo chiave nel pianificare comportamenti che permettono di raggiungere obiettivi prefissati (Becker e R. Cropanzano, 2010). Inoltre, la teoria dei neuroni specchio può dare delle risposte alla formazione di sottogruppi al cui interno vengono assunti comportamenti omogenei, a volte anche in contrasto con gli obiettivi aziendali generali. Un atteggiamento che deve essere considerato dal Top management, per esempio, in caso di piani di gestione del cambiamento.L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Giugno-Luglio-Agosto 2023 di Sistemi&Impresa.
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