La seconda vita di Diadora, produzione slow e di qualità
Da 69 anni ai piedi degli italiani. Le scarpe Diadora, nate nel 1948, sono un simbolo della sportività nostrana, ma l’azienda ha rischiato di scomparire se non fosse stato per la voglia di riscatto di un giovane imprenditore, figlio d’arte. È Enrico Moretti Polegato, Presidente e CEO di Diadora, che di scarpe ne sa qualcosa perché suo padre Mario è l’inventore della ‘scarpa che respira’, nonché il fondatore di Geox.
Diadora è stata un’azienda pioniera di quello che è diventato il Distretto dello Sport di Montebelluna, in provincia di Treviso. Ha iniziato producendo calzature da montagna, per la vicinanza alle Dolomiti. Poi, negli Anni 70, 80 e 90 si è trasformata nel simbolo dell’Italia dello sport, come racconta il CEO: “Vestiva i migliori atleti del momento, da Roberto Baggio ad Ayrton Senna, rappresentava il sogno”.
Diadora ha attraversato un periodo di crisi, fino al 2009 quando è stata acquistata da L.I.R., la holding che possiede il 100% di Diadora e il 71% di Geox: “Ho scelto di lanciarmi in questa sfida con una mia squadra per tre motivi: il marchio Diadora era ancora desiderabile, nonostante la crisi dell’azienda, e aveva solo bisogno di essere ripensato; il comparto produttivo è custode di un prezioso know how che sarebbe andato perduto se l’impresa fosse fallita; il terzo motivo è personale perché volevo seguire un progetto mio, slegandomi dall’azienda di famiglia”.
I risultati danno ragione a Moretti Polegato: “Dal primo anno dall’acquisizione siamo in crescita. Nel 2015 abbiamo chiuso con un fatturato aggregato, quindi nostro e dei nostri licenziatari, di 260 milioni di euro”. Merito anche di una piccola parte della produzione totalmente Made in Italy.
Come avete portato un’azienda in crisi a crescere sin dal primo anno?
Ci siamo resi conto che l’asset principale di Diadora era il marchio. Allora, ci siamo posti la domanda: cos’è il marchio? La risposta è stata: un’identità. L’identità però è qualcosa di molto più complesso di un logo, di un insieme di prodotti. Abbiamo capito che dovevamo offrire qualcosa di più, ossia introdurre il concetto di inclusività: chi entra in contatto con Diadora deve sentirsi parte del progetto. Per farlo, dovevamo essere portatori di un sistema di valori. Per questo, abbiamo deciso di puntare sull’identità sportiva.
Qual è oggi il core business di Diadora?
Diadora ha più blocchi di produzione: i prodotti performance, per l’esercizio dell’attività ginnica, calcio tennis e corsa principalmente; poi c’è un reparto di prodotti lifesyle; ogni innovazione nasce per l’area sportiva e poi è declinata in altri ambiti. La forza di Diadora è l’asset sportivo. Per rilancio abbiamo puntato sull’autenticità, data da quasi 70 anni di storia, quindi sulla credibilità dei prodotti. L’effetto si vede nella linea heritage, ossia ispirata ai prodotti del passato, soprattutto degli Anni 70 e 80: si tratta di un prodotto vintage autentico perché creato usando i cataloghi originali dell’epoca. Altro elemento su cui abbiamo puntato è l’italianità, intesa come stile, design e qualità dei materiali. Inoltre, abbiamo deciso di fare un passo in avanti e di riportare nel nostro Paese parte della produzione.
Qual è la vostra idea di reshoring?
Abbiamo riaperto la linea produttiva storica, all’interno del nostro headquarter, ferma da anni, dove produciamo scarpe in edizione limitata e dove le nostre figure senior, che hanno prodotto le scarpe Diadora negli ultimi 38 anni, lavorano fianco a fianco con nuove leve. Oltre a produrre scarpe italiane, preserviamo e rinnoviamo il know how nel campo delle attrezzature sportive. Puntiamo ad avere a breve l’8% di produzione Made in Italy. Non sono numeri alti perché abbiamo puntato su ritmi più lenti per garantire una maggiore qualità. Utilizziamo le macchine degli Anni 80 che abbiamo efficientato dal punto di vista della sicurezza. Questa parte della produzione può considerarsi d’artigianato.
Per Diadora che cosa significa innovazione?
Per noi innovazione significa migliorare la vita dello sportivo e del lavoratore, se guardiamo alla produzione delle calzature da lavoro di Utility Diadora. Allo sportivo, invece, dobbiamo consentire di avere delle performance migliori e quindi di divertirsi di più. Di recente, abbiamo inserito una nuova tecnologia in una linea che abbiamo chiamato ‘Blushield’, in grado di correggere la postura e quindi di avere un maggior equilibrio nella corsa. Chiediamo agli atleti professionisti di testare i nuovi prodotti e di darci un feedback per migliorare. Il concetto di sport che Diadora propone è sinonimo di stare bene, sia da punto di vista fisico sia dell’umore.
Come gestite le risorse umane?
Stiamo investendo in progetti di formazione per il personale, perché abbiamo bisogno di diventare una squadra. La nostra è una realtà in cui questo concetto è ancora più importante perché il focus è lo sport. Le nostre attività e le scelte dei nuovi collaboratori sono tutte tarate sul concetto di gioco di squadra. Abbiamo all’incirca 200 dipendenti, l’età media è 36 anni e coprono tutta l’attività aziendale. La passione è il motore della nostra azienda e questo si traduce anche in attenzione al benessere dei dipendenti.
L’articolo completo è stato pubblicato sul numero di Aprile 2017 di Sistemi&Impresa.
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Dario Colombo, laureato in Scienze della Comunicazione e Sociologia presso l’Università degli Studi di Milano, è caporedattore della casa editrice Este. Giornalista professionista, ha maturato esperienze lavorative all’ufficio centrale del quotidiano online Lettera43.it dove si è occupato di Economia e Politica, e nell’ufficio stampa del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.