La mediazione per le aziende: la sua convenienza oltre la Legge – parte 2
Giudizio in tribunale
Chiarito il significato qui attribuito al termine ‘potere’, risulta evidente come nel caso del giudizio in tribunale –ciò vale anche per le cause trattate dal giudice di pace– questo potere sia per lo più riposto nelle mani del complesso apparato giudiziario: in particolare è il tribunale che decide quale giudice valuterà ogni causa, ed è il giudice che a sua volta decide tempi e modalità delle udienze: quando e chi ascoltare, quali documenti ammettere. Una riflessione a parte merita la questione della durata delle cause civili. I tempi sia per l’emissione della sentenza sia di esecuzione della stessa sono a discrezione dei vari rami dell’apparato giudiziario a questo deputati. Secondo i dati presentati nel corso della relazione al Parlamento del ministro Alfano del febbraio2011 agiugno 2010 vi erano 5,6 milioni di cause civili pendenti, il che significa periodi superiori ai 4 anni di durata media di una causa civile tra primo e secondo grado. Solo per fare un esempio del problema tempi: presso la Corte d’appello di Perugia circa ¼ della sopravvenienza del civile è rappresentato da ricorsi relativi a richieste di equo indennizzo dovuto all’eccessiva durata dei processi3. (estratto da una relazione dr F. De Santis, Direttore generale della Direzione generale di Statistica del Ministero della Giustizia). Il nostro Stato, invece d’incidere sulle ‘cause’ dei ritardi dei processi, fino ad ora ha pagato ai cittadini gli indennizzi per l’irragionevole durata dei processi stessi: con questa legge si spera che molte controversie avranno esito conciliativo, con vantaggi per i cittadini e anche economici per l’amministrazione giudiziaria. Accedere a vie legali per le parti significa –oltre a tempi lunghi, di difficile tollerabilità per un’azienda sana, che ha necessità di rapporti chiari, di risorse disponibili e di concentrarsi sulla sua strategia di prodotto e di vendita piuttosto che sulla sua difesa– dunque abdicare per gran parte al loro potere di esprimersi, valutare e scegliere. I contendenti possono essere ascoltati dal giudice, ma possono rispondere solo alle domande, non è ammesso dibattito tra le parti, né che queste portino elementi nuovi in aula. Gli antagonisti sono praticamente costretti a confrontarsi esclusivamente con il proprio avvocato, a volte concordando con lui la strategia, più spesso delegando quasi tutto a questi, compresa la presenza in diverse udienze. L’avvocato, per natura giuridica propria del suo ruolo, generalmente abbraccia la logica processuale della competitività: è portato a interpretare la cultura del ‘si vince o si perde’, dove la vittoria dell’uno prevede la soccombenza dell’altro.
Arbitrato
Nel caso dell’arbitrato, le parti hanno il potere di scegliere gli arbitri tra professionisti di fiducia, ai quali è demandato il procedimento e la soluzione: la loro decisione con il ‘Lodo arbitrale’ vincola le parti e ha lo stesso valore di una sentenza di primo grado. I tempi sono concordati con le parti, più brevi di quelli del tribunale. Le parti sono ascoltate, spesso è previsto un tentativo di accordo: se questo fallisce la decisione passa agli arbitri designati, che decidono basandosi sul diritto e sull’equità. Proprio perché decisa nei contenuti da un terzo, che è tenuto a sua volta a seguire canoni prefissati, raramente il lodo corrisponde agli interessi di tutte le parti coinvolte, con la conseguenza che almeno una di esse si sentirà disincentivata a darvi spontanea esecuzione e tenterà quindi di impugnarlo (De Palo, D’Urso, Golann, 2010).
Mediazione – conciliazione
Grazie alla recente legislazione in termini di diritto civile, a fianco dell’ordine dato, rigido e verticale gerarchico tipico del tribunale, si apre quello più flessibile e consensuale della conciliazione, dove l’espressione delle autonomie individuali consentono un’altra visione della sovranità popolare. Con il processo conciliativo non c’è bisogno di un terzo –il giudice o l’arbitro– che dice cosa è meglio, ma la sovranità delle parti si esprime direttamente: le parti, con un terzo nel ruolo del mediatore professionista, che ne garantisce l’iter procedurale e ne favorisce con imparzialità e competenza relazionale un esito conciliativo ‘io vinco tu vinci’, sono esse stesse legislatori per la controversia che le riguarda, pur nel rispetto della vigente legislazione. Come già detto i tempi per la mediazione sono contenuti, anche prevedendo proroghe ai 4 mesi previsti per legge. L’accordo raggiunto con la collaborazione del mediatore può essere omologato dal Presidente del Tribunale con decreto, previo accertamento anche della regolarità formale, e diventare così esecutivo. Nel caso di mancato accordo tra le parti il mediatore può fare una proposta di risoluzione della lite che le parti restano libere di accettare o meno. Il mediatore deve obbligatoriamente fare la proposta se le parti concordemente glielo richiedono. Risulta evidente da questo breve accenno alla procedura di mediazione, come questa –rispetto al giudizio dei giudici o degli arbitri– riservi ai contendenti più potere di incidere sugli esiti della propria ‘storia conflittuale’, oltre che di decidere rispetto alla possibilità di estensione dei compiti di ruolo del mediatore per una risoluzione conciliativa.
Negoziazione
Si applica a tutte le relazioni sociali, quotidianamente sia in ambito privato (la scelta di un gioco, cosa cucinare, a quale spettacolo andare…) sia tra aziende e clienti (il prezzo di un prodotto, i tempi di consegna…), spesso senza ratifica delle decisioni con atti scritti. La negoziazione vive per semplice accordo tra le parti che si assumono il potere di decidere e la responsabilità di mantenere quanto concordato. La transazione è una forma particolare di negoziazione, che previene o pone fine a una lite: le decisioni frutto di reciproche concessioni tra le parti vengono riportate in un contratto. La negoziazione che va a buon fine soddisfacendo le parti conferma implicitamente il potere di queste di sapersi governare, di sapersi accordare, di guardare al futuro con competenza strategica: è la forma che più di ogni altra alimenta soddisfazione, autostima e benessere delle parti sia nel privato che nel lavoro.
Coinvolgimento e influenza personale nella soluzione delle controversie
Ognuno di noi interagisce con gli eventi e le situazioni che gli accadono (sfera di coinvolgimento) con la percezione di potervi intervenire o meno (sfera di influenza). La risoluzione di una controversia attraverso la negoziazione è possibile quando si considera ampia la sfera della propria possibilità di influenza (ossia si considerano le situazioni su cui si può effettivamente incidere), e si mettono pertanto in atto competenze relazionali per evitare il ricorso ad altri procedimenti (dalla mediazione, fino al tribunale). Tali competenze, essenzialmente di tipo comunicativo, sono ascrivibili alla capacità di ascolto, al sapersi immedesimare nell’altro considerando anche le altrui sensibilità ed esigenze, alla flessibilità nella ricerca di strategie e comportamenti che mirino alla fiducia e alla soddisfazione reciproche. Quando in situazione di conflitto si attiva una buona negoziazione, si focalizzano i propri sforzi sulla sfera di influenza, si hanno chiari gli obiettivi e si lavora quindi su quei fattori che possono essere in qualche modo trasformati accrescendo il proprio potere di intervento: siamo di fronte a uno stile comunicativo proattivo. Lo stile è pragmatico e strategico, il linguaggio di tipo collaborativo, tende alla comprensione e al bene comune. All’estremo opposto, la risoluzione di una controversia in tribunale avviene quando si considera limitata la propria capacità di influenza sul conflitto in atto, e si delega pertanto ad altri (avvocati e giudici) l’azione e la risoluzione della lite. Questo implica la percezione di scarsità del proprio potere, in quanto implicitamente considerate scarse le possibilità di redimere il conflitto per via negoziale. Il risultato è uno stile accusatorio, il linguaggio è di tipo reattivo (reagisce a ciò che accade senza porsi obiettivi strategici propri), e il rischio è l’esacerbarsi delle situazioni, con crescente senso di frustrazione e impotenza.
Per esemplificare stile reattivo e proattivo, nella tabella 3 sono evidenziate alcune frasi costruite secondo la logica del pensiero e del linguaggio reattivo –insinua senso di colpa e vittimismo– e ‘proattivo’ –propone senso di responsabilità individuale– (Covey, 2005).
Durante la mediazione, è compito del conciliatore aiutare le parti attraverso il dialogo, l’ascolto e domande ben calibrate, spostare il proprio stile da una posizione reattiva –tipica di chi sta vivendo un conflitto come un attacco personale– a una posizione proattiva, dove non si negano difficoltà e sofferenza, ma ci si sente anche artefici nella ricerca di soluzioni il più possibile soddisfacenti per entrambe le parti.
In pratica, e in forma più ampia, ci si sente responsabili del ‘proprio divenire’.
In tabella 4 il riassunto della relazione tra la dimensione del potere personale di incidere sull’esito della controversia e il proprio stile comunicativo. Dunque se è vero che –a giudicare dai milioni di pratiche depositate in tribunale per cause civili– sono poche le persone che sanno negoziare in momenti difficili, è possibile che l’opportunità offerta dalla conciliazione, oltre a contribuire a redimere controversie anche in ambito aziendale evitando la strada lunga e tortuosa dei tribunali, possa contribuire a rimodellare le modalità comunicative aziendali verso una maggiore proattività, così necessaria in un mondo sempre più complesso, dove la negoziazione negli affetti, affari e affanni quotidiani può essere vista come prevenzione del più grande e complessivo disagio del vivere personale e professionale.
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