Innovazione: puntare sulla gestione della conoscenza
di Monica Rossi, Sergio Terzi – Osservatorio Ge.Co. Politecnico di Milano
La sfida innovativa che le aziende occidentali sono chiamate ad affrontare dal contesto odierno, è quantomai pressante. Sviluppare prodotti in grado di soddisfare a pieno le esigenze -più o meno esplicite- dei clienti, dipende sempre di più dalle capacità delle aziende di gestirsi efficacemente ed efficientemente. Non solo è importante offrire qualcosa di diverso rispetto ai competitori, ma è fondamentale che tale innovazione sia anche sostenibile. Non bastano dunque buone idee, ma queste devono essere fortemente aggrappate ad una robusta struttura aziendale, capace di mantenerle nel tempo. A tal fine, le aziende devono più che mai puntare su solidi e formali metodi e strumenti a supporto dell’innovazione, tra cui: modelli strutturati di sviluppo prodotto; focalizzazione sul valore per il cliente; adozione di logiche di agile e lean per una progettazione più flessibile e scattante; tecniche sofisticate di design come ad esempio prototipazione virtuale, computer aided engineering (CAE) e computer aided styling (CAS), knowledge based engineering (KBE) e design for x; pratiche di innovazione sistematica (ad es. TRIZ) e strumenti elaborati di gestione della conoscenza a supporto della progettazione,
come PDM/PLM.
Il problema è che ad oggi le aziende, perlomeno quelle italiane, hanno fatto proprie solo in minima parte le tecniche sopra citate e dichiarano una serie di criticità e problemi a tal proposito. Da una ricerca svolta nel corso del 2012 e 2013 dall’Osservatorio GeCo sul tema innovazione e sviluppo prodotto, su un campione di 103 aziende in territorio italiano, sono emersi dati che spingono le aziende stesse, e non solo, ad una riflessione approfondita e reattiva. Quasi la totalità del campione – distribuito in termini di settore e dimensioni come mostrato in Figura 1 – dichiara di subire continue richieste di modifiche di progetti di sviluppo in corso d’opera, con conseguenti revisioni di parti sostanziose dei progetti ed ovvi allungamenti dei tempi di sviluppo. Per oltre l’80% degli intervistati, situazioni di superamento del budget di progetto stimato e sovraccarico dei progettisti, che non riescono a star dietro al carico di lavoro a loro destinato, sono all’ordine del giorno.
Più della metà del campione poi, afferma di ritardare i propri processi di sviluppo eseguendo attività non necessarie al progetto in sé; l’eccessiva burocrazia e la stesura di documenti e report inoltre, rappresentano per loro un impiego molto oneroso del tempo. Oltre a queste problematiche di natura organizzativa, anche criticità di tipo operativo costituiscono una componente rilevante di quelli che potremmo definire ‘sprechi’ in progettazione e ‘freni’ all’innovazione. La definizione di ruoli e responsabilità, in circa la metà delle organizzazioni analizzate, è lacunosa e genera momenti di incomprensioni che causano dei veri e propri ‘ristagni’ dei progetti. La metà del campione poi, manifesta evidenti difficoltà nel riutilizzare progetti precedentemente realizzati, che diventano cartelle inutilizzate – se non raramente e con difficoltà – sconfinate in qualche libreria di sistema, non sempre condivisa. Infatti, lo stesso 50% delle aziende dice di faticare ad estrarre da precedenti progetti, conoscenza che sia immediatamente e facilmente riutilizzabile. Il 40% del campione presenta anche problematiche di tipo puramente tecnico: i diversi software e sistemi ICT utilizzati in azienda hanno problemi di compatibilità, costringendo i progettisti a continui interventi di transcodifica manuale.
Risulta evidente da questa carrellata di problematiche, come il ruolo della gestione della conoscenza al fine di catturarla, gestirla, rappresentarla e soprattutto recuperarla e riutilizzarla, sia ancora un aspetto critico e fonte di numerose inefficienze nel contesto industriale italiano. Benché in letteratura scientifica e in esperienze di successo internazionali e nazionali, la centralità della gestione della conoscenza e la sua importanza per eccellere siano ampiamente riconosciuti, la media delle aziende a campione, a nostro avviso rappresentativa della media nazionale, si posiziona ancora a livelli non sempre sufficienti.
Questo articolo punta ad approfondire, grazie a dati raccolti attraverso la ricerca sopracitata, le modalità di gestione della conoscenza, con tante sue diverse sfaccettature, all’interno delle grandi e piccole e medie imprese (PMI) italiane.
Classe N° di Aziende
PMI (<250 impiegati) 38
Grandi (>250 impiegati) 65
Settore N° di Aziende
Maccanico 44
Elettrico 27
Elettronico 18
Altro (Chimica, Tessile, etc..) 14
Figura 1 – Le aziende intervistate
Come le aziende in Italia gestiscono la conoscenza
La ‘conoscenza’, così come l’abbiamo intesa nella nostra ricerca, ha diverse sfaccettature e caratteristiche. Può essere conoscenza personale piuttosto che aziendale; può essere nuova, generata durante nuovi progetti, o recuperata da progetti precedenti; può essere esplicita e chiaramente espressa, oppure tacita e contenuta nella testa delle persone; può essere più o meno strutturata; può essere confinata ad alcune dimensioni aziendali e quindi locale, oppure condivisa; può essere scritta su carta o immagazzinata su supporti informatici.
In tutte queste sue fattezze, la conoscenza, va gestita: va catturata dalle diverse fonti e nelle sue varie forme, va rappresentata in modo da renderla comprensibile e riutilizzabile, va immagazzinata in supporti più o meno sofisticati, va estratta per essere riutilizzata, rigenerata e ampliata per essere poi di nuovo catturata e, da qui, riiniziare il ciclo.
Le aziende possono gestire questi step in modo più o meno formalizzato e strutturato. Una gestione più superficiale della conoscenza porta ad una serie di inefficienze che si ripercuotono sull’intero processo di sviluppo prodotto, come ci dimostra la carrellata di problematiche citate in apertura dell’articolo, esplicitamente legate ad un’inappropriata o debole formalizzazione del processo di creazione, accumulo e riutilizzo della conoscenza appena descritto. La ricerca presentata in seguito mira ad investigare queste dinamiche, che si collocano nel più ampio disegno dell’innovazione e dello sviluppo nuovo prodotto.
La ricerca condotta dall’Osservatorio GeCo1 ha coinvolto 103 aziende italiane e non, ma con almeno un sito di sviluppo e progettazione in Italia. Degli oltre 20.000 inviti a partecipare alla ricerca inviati dai ricercatori dell’Osservatorio GeCo, solo una esigua parte ha ricevuto risposta e di questa solo una piccola percentuale si è effettivamente conclusa in un’intervista.
Le motivazioni di questa bassa percentuale di risposta, che include comunque un numero importante di aziende, è da imputare in primis al tema della ricerca. Non tutte le aziende locate su territorio italiano infatti, sono pronte o abbastanza mature in tal senso, da affrontare discussioni sulla tematica dell’innovazione e dello sviluppo prodotto; e i dati lo dimostrano. Questo ha portato forse un primo bias in termini di rappresentatività del campione rispetto alla media italiana: le aziende intervistate erano già propense ad affrontare il tema di discussione e quindi probabilmente avevano già affrontato ed iniziato a ragionare sulla problematica all’interno delle loro organizzazioni, collocandosi in qualche modo in una posizione già sopra la media rispetto ad altre aziende che, al contrario, non hanno mostrato interesse verso il tema dello sviluppo prodotto. In secondo luogo, la corposità del questionario e dell’intervista in sé, effettuata faccia a faccia con una durata media di 2.5 ore, ha certamente creato una limitazione logistica per alcune delle aziende, seppure interessate.
Riteniamo comunque di poter generalizzare sufficientemente le considerazioni derivanti dal campione selezionato, e pensiamo che il lettore possa immedesimarsi e ritrovarsi, se non in toto, almeno in parte dei commenti e delle provocazioni sollevate.
Una parte sostanziosa della ricerca era focalizzata all’approfondimento dei metodi e delle tecniche utilizzati dalle aziende per supportare al loro interno il processo di gestione della conoscenza. I risultati, seppur non sempre incoraggianti, sono decisamente interessanti. Parlando in senso lato di formalizzazione di conoscenza, circa un quarto delle aziende presenta un discreto livello di maturità, nel senso che promuove iniziative di formalizzazione della conoscenza; le decisioni sono prese partendo da fonti mediamente strutturate ed aggiornate ciclicamente, appoggiandosi a metodi e strumenti formali di gestione della conoscenza. La metà del campione si attesta ad un livello di maturità sufficiente, non promuovendo programmi formali per la gestione della conoscenza aziendale; le fonti usate per prendere quotidianamente le decisioni sono poco strutturate e raramente aggiornate e la condivisione della conoscenza è lasciata all’informalità. Il restante 25% delle imprese non si preoccupa di gestire la conoscenza; le decisioni sono prese sula base della solo conoscenza personale e non esistono metodi strutturati per condividere e accumulare la conoscenza.
A proposito di informatizzazione della conoscenza, cioè quanto le informazioni siano rese fruibili in sistemi ICT agilmente accessibili e consultabili, nonché utilizzabili a supporto della progettazione stessa, circa un quarto delle aziende mostra un ottimo livello di maturità: piattaforma di collaborazione ed accumulo della conoscenza (es. Product Lifecycle Management, PLM) sono utilizzate ampiamente, fornendo conoscenza strutturata ai diversi attori coinvolti nella progettazione in senso lato. La metà del campione presenta un buon livello di maturità e dispone di piattaforme ICT operative; sistemi PDM e/o ERP forniscono funzionalità basilari di gestione della conoscenza, anche se spesso i dati sono mantenuti in sistemi condivisi non strutturati (es. cartelle di rete). Un quarto del campione è ancora immaturo in questo senso e non accumula la conoscenza in sistemi ICT consolidati. La maggior parte della conoscenza risiede in sistemi semi-strutturati e/o non condivisi (es. PC degli utenti).
Scendendo nel dettaglio dell’analisi, notiamo che in media le aziende riescono a recuperare oltre il 60% della conoscenza generata da progetti precedenti; questa percentuale sale se si considerano le grandi aziende, capaci di riutilizzare in media oltre al 70% della conoscenza accumulata in passato. Stessa percentuale di recupero della conoscenza accomuna i settori meccanico ed elettrico; poco sotto, il settore elettronico e drasticamente inferiore (meno del 50%) è la conoscenza recuperata in settori quali il fashion e chimico, raggruppati nella classificazione ‘altri settori’ (Figura 2).
Recuperare conoscenza non significa non innovare o rifare un progetto nuovo con le stesse fattezze di uno vecchio, al contrario: la capacità delle aziende di recuperare conoscenza permette di salvare tempo prezioso che può essere dedicato ad altre attività; permette di consolidare delle conoscenze aziendali e di standardizzare alcune parti del progetto che, se migliorativo e incrementale, si mantengono pressoché uguali nel tempo; evita di ripetere errori già commessi consentendo di imparare dagli errori stessi, incrementando in questo modo la qualità del progetto e promovendone l’innovatività. Durante la progettazione poi, i progettisti e gli ingegneri si appoggiano a fonti di conoscenza strutturata ed esplicitata in regole formali nella metà dei casi, indipendentemente da dimensione o settore aziendale. L’esperienza gioca un ruolo predominante tra le fonti di conoscenza adoperate, a cui le aziende si affidano ancora in circa il 25/30% dei casi (Figura 2).
Il metodo più utilizzato per esplicitare la conoscenza resta la tradizionale comunicazione verbale, utilizzata dal 94% del campione. Anche pratiche basate su supporto cartaceo, quali stesura di documenti di sintesi, check-list, lessons learned e metodi di visual management sono usati dal 90% delle aziende.
Iniziative informatiche con soluzioni semi-strutturate, come cartelle di rete condivise, wiki, forum e portali intranet sono anch’esse diffuse all’interno di oltre il 90% dei casi.
Decisamente più limitato è invece l’utilizzo di iniziative di esplicitazione della conoscenza più strutturate, come database/documentali tecnici; sistemi sofisticati quali PDM/PLM sono utilizzati dal 60% delle aziende, principalmente da quelle di grandi dimensioni; sistemi di KBE (Knowledge Based Engineering) sono invece minimamente impiegati (Figura 3).
Una volta esplicitata e rappresentata la conoscenza, si può accumulare in diversi sistemi. In questo caso il nostro campione presenta delle differenze a seconda che si parli di aziende piccole/medie o grandi, e che si consideri un diverso settore di riferimento.
Le aziende grandi, rispetto alle piccole e medie, fanno più ampio uso di sistemi ICT condivisi e strutturati, come ad esempio sistemi di PDM (Product Data Management). Le PMI al contrario, prediligono l’uso di strumenti di immagazzinamento delle informazioni di tipo semi-strutturato, anche se pur sempre condiviso, come ad esempio le cartelle di rete (Figura 4).
Se consideriamo i settori, è quello elettrico a farla da dominatore in termini di utilizzo di sistemi ICT altamente sofisticati e strutturati. Seguono il settore meccanico ed elettronico, con il 50%, ed infine gli altri settori in cui sono presenti forme mediamente meno strutturate di stivaggio della conoscenza, compreso un circa 15% di aziende che immagazzina conoscenza su supporti non condivisi e addirittura cartacei. È comprensibile come l’utilizzo di sistemi complessi, e spesso onerosi, sia dal punto di vista organizzativo –in termini di tempo di implementazione e di mantenimento – ma soprattutto dal punto di vista economico, sia riscontrabile in misura drasticamente maggiore in realtà più grandi, e quindi plausibilmente più organizzate e con maggiori possibilità d’acquisto di tali sistemi. Questi promuovono la creazione di una struttura dati coerente e un archivio di conoscenza condiviso dall’intera azienda in grado di supportare diverse esigenze di gestione dati e aggiornabile in tempo reale, facilmente accessibile. Non solo, il PLM consente alle aziende di gestire l’intero ciclo di vita del prodotto, supportando il processo di decision making in maniera efficace con strumenti tipo PDM (product data management), ma anche offre supporto alla progettazione stessa, operando con strumenti tipo CAD (Computer-aided design), CAM (computer-aided manufacturing) e computer-aided engineering (CAE). Uno schema semplificativo che rende l’idea della dimensione di un sistema PLM è mostrato in Figura 5.
Tra il campione analizzato, solo 35 aziende utilizzano un sistema PLM così come sopra concepito, 29 aziende utilizzano sistemi PDM per la gestione dei dati a scopo prettamente di ufficio tecnico, e oltre il 30% delle aziende sono prive di qualsiasi piattaforma del genere (Figura 6). Come già detto, sono le grandi imprese a vantare numeri maggiori, insieme ai settori meccanico ed elettrico (Figura 6).
Va detto che i sistemi PLM non sono unanimemente compresi e a volte addirittura ‘spaventano’; tuttavia essi risultano un punto di forza estremamente differenziante in ottica di efficienza innovativa, come le aziende best in class dimostrano. Abbiamo approfondito nella nostra ricerca lo studio degli effetti benefici che l’adozione del PLM porta nel contesto aziendale. Ad esempio, in ottica di impiego del tempo medio dei progettisti, questi risultano essere più onerati da operazioni di recupero di informazioni e dati quando l’azienda non possiede un sistema PLM.
Il PLM infatti, permette di ridurre i tempi di coordinamento, con conseguente aumento del tempo da poter dedicare alle attività, a valore, di sviluppo vero e proprio, favorendo in questo modo l’innovazione (Figura 7).
Similmente, la percentuale di conoscenza recuperata durante i progetti di sviluppo, aumenta di 8 punti percentuali in presenza di piattaforme PLM, con i conseguenti vantaggi in termini di efficienza ed efficacia sopra citati, tra cui minor tempo sprecato in attività evitabili e maggior focus in attività che aggiungono valore al progetto, grazie alla possibilità di basarsi su informazioni strutturate e facilmente accessibili (Figura 8).
Le aziende che investono in sistemi PLM, investono in genere anche in altri sistemi complessi a supporto dello sviluppo e della progettazione, quali strumenti CAD, Modellatori 3D e Simulazioni FEM, per citarne alcuni.
Volendo imparare dalle migliori si individuano alcuni imperativi:
(i) informatizzare, con l’utilizzo di piattaforme più o meno sofisticate;
(ii) formalizzare, annoverando tra le proprie fonti di conoscenza regole di stampo formale;
(iii) basare i progetti su conoscenza sviluppata precedentemente, limitando l’esclusiva dipendenza dalla variabile esperienza umana;
(iv) evitare quanto più possibile strumenti non condivisi e non facilmente accessibili e/o interpretabili;
(v) facilitare l’estrapolazione, selezione e riutilizzo di dati, limitando il tempo necessario al reperimento di dati utili. I benefici così ottenibili e dichiarati dalle best in class sono principalmente in termine di riduzione di tempi e costo di sviluppo, miglioramento della gestione dell’attività di progettazione, miglioramento della qualità della progettazione stessa e della comunicazione tra i progettisti. Seguono poi l’aumento della produttività delle risorse, il miglioramento della standardizzazione dei componenti, il grado e la velocità di innovazione, la riduzione dei costi di prodotto e del numero necessario di risorse.
Conclusioni
La conoscenza rappresenta la sostanza alla base, il tessuto su cui si cuciono tutti i processi e le attività aziendali. Ed è ormai indiscusso il ruolo fondamentale che in questo processo assumono le persone, abili tessitori di una rete di conoscenza a volte complessa, a volte rattoppata e lisa, a volte chiara e condivisa, a volte altamente sofisticata e adeguatamente rappresentata, a volte celata e non detta, nascosta nelle menti dei soli tessitori. Se da un lato infatti le persone, con le loro competenze ed esperienze non possono che arricchire l’azienda -che ne trae benefici indiscutibili- dall’altro la mancanza di un sistema formalizzato, strutturato ed efficace di gestione della conoscenza che sia abile di catturare e rappresentare il tacito, il ‘non detto’, fa si che tali abilità e conoscenze restino nella mente delle persone o, al massimo, trasferite verbalmente e quindi, col tempo, inevitabilmente perse.
Con questa ricerca, oltre a confermare il ruolo cruciale della conoscenza, in tutte le sue forme, vogliamo anche sfatare alcuni miti: gestire la conoscenza in modo strutturato e formale non porta vantaggi solo in alcuni settori o in aziende di grandi dimensioni, al contrario; una gestione appropriata della conoscenza porta benefici per tutti, come le best in class (mix tra piccole/medie imprese e grandi e cross-settoriali) dimostrano.
Altri miti sono invece confermati: in media, l’informatizzazione delle PMI è più bassa, per motivi generalmente di budget e le ‘macchinette del caffè’ sono il principale mezzo di condivisione della conoscenza aziendale, ancora saldamente – e in alcuni casi unicamente – gestita verbalmente.
La provocazione che vogliamo sollevare qui è proprio legata a questo. Affidarsi alle capacità del singolo, che rappresentano la ricchezza più preziosa da cui nessuna azienda può prescindere, soprattutto se dalla forte tradizione come quella italiana, va bene. Ma si sente spesso di aziende troppo in balia delle competenze e conoscenze personali, troppo legate alle persone che, quando se ne vanno, si trascinano dietro tutto il loro sapere che d’un tratto sparisce dal ‘tesoriere’ aziendale, lasciandolo monco, a volte in maniera irreparabile.
Ecco perché fin da subito, la ricchezza che portano con sé le persone va trasformata in qualcosa di fruibile, accessibile a tutti, mantenibile nel tempo; perché come detto in apertura, le aziende non solo devono introdurre innovazione, ma devono saperla sostenere e mantenere nel tempo. Alcune aziende già lo fanno e i risultati sono decisamente positivi. Tali imprese fanno propria una gestione della conoscenza strutturata, formale, condiviso, che sa appoggiarsi in modo agile e snello a sistemi informativi, beneficiandone dei punti di forza che li caratterizzano. Tutto questo favorisce la possibilità di spendere più tempo in attività di innovazione e sviluppo vero e proprio, permettendo la focalizzazione sul valore aggiunto generato durante l’attività di progettazione, a discapito di tutte quelle attività per cui il cliente finale non è disposto a pagare.
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