Come innovare le organizzazioni: verso la digital enterprise
Il cambiamento che la società sta vivendo, sotto la spinta della trasformazione digitale delle relazioni, ha richiesto alle organizzazioni di adattarsi o, in alcuni casi, di innovare il proprio modello organizzativo per rimanere in ascolto e in conversazione con i propri ‘clienti’. Di questo di è parlato il 26 maggio scorso alla giornata di lavoro proposta dal Centro studi e ricerche di Psicologia della comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con ASAM – Associazione per gli Studi Aziendali e Manageriali. L’evento ha costituito un’occasione di incontro tra manager, operatori e ricercatori che, a vario titolo, si impegnano a costruire all’interno delle proprie organizzazioni un nuovo paradigma di comunicazione e condivisione delle conoscenze attraverso l’utilizzo di strumenti web 2.0.
“Investire sulla conoscenza innovativa è la mission di ASAM e deve diventare obiettivo primario delle aziende”, con questo statement di Claudio Devecchi, Presidente e Direttore Scientifico di ASAM nonché Ordinario di Strategia e Politica Aziendale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, si è aperto l’evento.
Le tecnologie hanno cambiato in modo dirompente il mondo che conoscevamo fino a pochi decenni fa e altrettante metamorfosi sono previste nei prossimi vent’anni. Si impone la necessità di saper gestire un cambiamento che, altrimenti, rischia di travolgerci. Come? Riprogettando i canali di dialogo con il consumatore; ripensando le architetture organizzative; ridisegnando, infine, i modelli di business.
Questo, con evidenti ricadute su tutti i livelli dell’organizzazione: dal top management all’HR, dall’ICT alle Operation. Non si tratta, dunque, di una questione tecnologica; ciò che oggi occorre mettere in discussione è l’intera cultura organizzativa. “Necessario è, dunque, dare un volto umano alla digital transformation”, ha sottolineato Cosimo Accoto, autore e lecturer di Social Business alla IE University di Madrid.
Riprogettare i canali di dialogo con il consumatore
Per Patrizio Regis, Responsabile di Group Internal Communications di UniCredit, ospite alla tavola rotonda: “Se il cliente chiede un’esperienza di acquisto userfriendly, le aziende devono dargliela. Ciò presuppone una metamorfosi nelle logiche relazionali tra brand e consumatori: dal proporre un’offerta al soddisfacimento di bisogni”. Siamo di fronte a un vero e proprio salto culturale, che costringe le organizzazioni a riprogettarsi mettendo al centro il cliente. Un salto che porta le aziende e guardarsi e a riflettere su se stesse.
Ripensare le architetture organizzative
C’è chi dice che le gerarchie dovrebbero essere abolite; qualcun altro pensa che vadano integrate con le reti organizzative informali, all’interno delle quali ci si muove molto più agilmente quando si tratta di prendere delle decisioni. Infine, c’è chi parla di una transizione da leadership fondate sul controllo a leadership aperte e duttili, orientate al risultato e adattabili al contesto in rapido mutamento. Qual è la giusta via?
Non esiste una medicina; ogni organizzazione è un mondo a sé e c’è un tempo per collaborare e uno per decidere. Certo è che la soluzione integrata – strutture gerarchiche e presenza di reti informali ‘social’ – sembra oggi la strada più battuta. Come testimonia l’esperienza della Regione Lombardia che ha raccontato Michele Camisasca, Direttore Centrale Organizzazione Personale e Sistema Informativo. “Anche nella PA c’è lo spazio per sperimentare modelli di management più aperti. Grande linfa alla sperimentazione è stata data dai nativi digitali assunti negli ultimi anni, nonostante il numero limitato di ingressi.”
Anche secondo Demetrio Migliorati, Digital Workplace & Innovation di Banca Mediolanum, “non esiste un grande antagonismo tra gerarchie e reti. Le reti esistono, che noi lo vogliamo o meno, e sono un ottimo strumento di consenso. Quello che possiamo fare è individuarle e ufficializzarle, adeguando la struttura organizzativa a esse. Ciò che, invece, costituisce criticità è qualcosa che esiste a tutt’oggi nelle organizzazioni: l’egoismo che si contrappone al libero accesso alla conoscenza. Le aziende devono fare di tutto perché l’egoismo non vinca.”
In linea con quanto detto dai colleghi è anche Regis, che aggiunge: “Le organizzazioni molto grandi e complesse devono necessariamente dotarsi di una struttura gerarchica per la suddivisione dei ruoli e delle responsabilità. Ma all’interno delle organizzazioni formali esistono le cosiddette organizzazioni informali, fatte di persone, non di ruoli. Sono le persone che collaborano tra di loro, che co-generano i contenuti, che condividono le informazioni. Ascoltare le persone e portare le loro dinamiche relazionali in azienda aiuta a rendere le gerarchie più flessibili”.
“Le organizzazioni sono come degli organismi viventi, reattivi al cambiamento, flessibili e adattivi. Oggi gli interventi che si fanno sono per lo più di natura superficiale – ha spiegato Rosario Sica, Founder & Chairman di Openknowledge – perché, se fossero davvero innovativi e radicali, rischierebbero di mettere in discussione l’intero management; non solo, rischierebbero di rendere obsoleto persino il modello stesso di business.”
È dunque il management che frena l’innovazione per non esserne travolto?
Ridisegnare i modelli di business
A volte non basta pertanto trasformare la cultura organizzativa e i processi interni. A volte serve ripensare in toto il modello di business. Quello che, negli ultimi anni, si è imposto come maggiormente dirompente è il modello della sharing economy, che costringe le aziende a ripensare le modalità con cui produrre valore e, solo in un secondo tempo, ad adeguare il proprio paradigma organizzativo.
Un ulteriore direttrice del cambiamento riguarda il passaggio da un sistema costruito sulla scarsità a uno fondato sull’abbondanza; per esempio, di competitor. Basti pensare al modo in cui Amazon ha ‘eliminato’ dal mercato molte aziende che, fino a poco tempo fa, non erano in diretta competizione, assicurandosi una fetta importante della domanda di beni e servizi.
La digital enterprise è solo l’inizio…
Cambiare significa mettere in atto un serie di accorgimenti che riguardano la tecnologia, ma soprattutto le persone. L’essere ‘sedotti dal successo’ è, di certo, qualcosa che non aiuta e non invoglia al cambiamento. Ecco perché la prima cosa che le aziende devono fare oggi, per sopravvivere, è dotarsi di spesse lenti di ingrandimento con cui interpretare il mondo. Ciò che serve è anche una nuova terminologia: il rischio che si corre, utilizzando il vecchio vocabolario, è quello di continuare ad applicare le stesse categorie interpretative, lasciandoci sfuggire l’occasione di vedere ciò che veramente c’è di nuovo.