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Industria 4.0, l’Italia protagonista della nuova manifattura globale

Con il Piano Nazionale Industria 4.0,l’Italia ha l’occasione per tornare a essere protagonista della nuova manifattura globale. Come spiega il Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.  

Il programma Industria 4.0 non ha precedenti, si tratta di un piano che ha l’obiettivo di riportare al centro la politica industriale del nostro Paese. In che termini rappresenta un’opportunità?

Il Piano Nazionale Industria 4.0 è un pacchetto di misure tese a spingere le imprese italiane a cogliere le opportunità dei grandi cambiamenti che stanno investendo le metodologie produttive e i rapporti produttore-consumatore a livello globale. Il Piano vuole accompagnare una rivoluzione che è già in corso: la digitalizzazione è un fenomeno in atto nell’economia globale. Le tante eccellenze che esistono nel nostro Paese sono rappresentate da imprese che, ciascuna per la sua strada, hanno scelto di investire in conoscenza, e che, nel farlo, hanno rivoluzionato i propri processi produttivi e hanno scommesso sull’innovazione e sull’internazionalizzazione. Queste imprese meritano tutto il nostro supporto e le altre devono essere aiutate a seguire la medesima strada, perché è su questo terreno che si gioca la competitività dell’intero Paese, e con essa la nostra capacità di creare reddito e occupazione di qualità.  

La legge di bilancio ha previsto investimenti che dovrebbero incentivare l’innovazione nelle Pmi. Cosa prevede la manovra? Quali gli strumenti previsti?

Il Piano Nazionale Industria 4.0 è un pacchetto organico ma complesso, finalizzato a sostenere le imprese nel loro percorso di modernizzazione e crescita. Le principali misure sono finalizzate a promuovere gli investimenti: la proroga del superammortamento al 140% per i beni strumentali e l’introduzione dell’iperammortamento al 250% per gli investimenti in beni 4.0, così come il rifinanziamento della Nuova Sabatini e del Fondo di garanzia per le Pmi. Una misura che mi sta particolarmente a cuore è il forte potenziamento del credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo, che sale al 50% e che cresce da 5 a 20 milioni per beneficiario. La cornice in cui queste misure si inseriscono è quella di un forte impulso alle imprese, che trova la sua ‘chiusura’ nella riduzione dell’Ires al 24% e nell’introduzione dell’Iri, sempre al 24%, per le partite Iva.  

Si dice che Industria 4.0 rappresenti l’ultima chiamata per il nostro manifatturiero. Il piano rappresenta il più importante programma di politica industriale degli ultimi anni. Si potrà tornare a crescere?

Si può e si deve. È a questo che serve la nuova politica industriale. Il piano del governo vale 13 miliardi per gli investimenti fatti nel 2017 e 20,4 per quelli fatti nel triennio considerato nella legge di bilancio (anche se l’impatto sul bilancio pubblico non sarà concentrato ma si spalma negli anni successivi). Il cambio di rotta, che diventa radicale con questa legge di bilancio, si sostanzia anche nell’abbandono degli incentivi ‘a bando’, che presuppongono una selezione da parte dell’amministrazione dei progetti da incentivare, a un meccanismo di incentivazione automatica: noi non vogliamo indirizzare gli investimenti delle imprese, ma supportare le aziende che investono. La scelta di quali investimenti effettuare è loro, perché nessuno meglio degli imprenditori può sapere quali siano i settori e le specializzazioni chiave del futuro. La manifattura è ancora la spina dorsale della crescita e dell’occupazione: l’Italia può ancora giocare un ruolo da protagonista per la manifattura globale. Dobbiamo però cogliere tutti i possibili spazi per migliorare la nostra competitività e per questo le imprese devono a tutti i costi investire, innovare e internazionalizzarsi. Il Governo, parimenti, deve creare le condizioni perché le imprese possano trovare nell’Italia un ambiente ospitale e attraente.  

Il manifatturiero ha perso progressivamente posti di lavoro; il Piano sarà efficace se l’aggiornamento delle competenze andrà di pari passo con gli investimenti in innovazione.

 

Quali i rischi per l’occupazione?

L’Italia si trova in una terra di mezzo: nel nostro variegato panorama di Piccole e medie imprese coesistono eccellenze assolute e realtà che invece rischiano di non tenere il passo del cambiamento. Ma non può essere il Governo a cavalcare l’onda: devono essere le aziende e i loro lavoratori, mettendoci tutto il loro coraggio, la loro competenza, la loro volontà e capacità di fare. Solo così si può creare occupazione di qualità e crescita sostenibile. L’innovazione tecnologica, così come la globalizzazione, è un fenomeno epocale che genera opportunità e rischi. Tutto dipende da come la governeremo. Quello che sappiamo con certezza è che non possiamo stare fermi pensando di riuscire a chiuderla fuori dalle nostre società e dalle nostre aziende. Ci sono due rischi che vanno evitati: il primo è la perdita di competitività del settore manifatturiero, il secondo è la polarizzazione tra vincitori e vinti. Soprattutto quest’ultimo fenomeno sta mettendo a rischio la tenuta sociale di tutte le democrazie occidentali. A mio avviso l’unica risposta è quella di aumentare esponenzialmente gli investimenti privati e pubblici su due direttrici: premiare chi compete e aiutare chi rimane indietro.  

Come conciliare la necessità degli investimenti necessari per la crescita e il tetto del debito che ci impone l’Europa?

Le due cose non solo non sono in contraddizione, ma dipendono l’una dall’altra. I nostri partner europei sono giustamente attenti alla dinamica del rapporto tra il debito pubblico e il Pil italiano, che nel 2016 si assesterà al 132,8% per poi iniziare a calare nel 2017. Ridurre questo rapporto è cruciale per la sostenibilità dei nostri conti pubblici e la nostra credibilità internazionale. Ma per farlo bisogna concentrarsi soprattutto sul denominatore, creando le condizioni per tornare a tassi di crescita sostenuti. Pur in presenza di un contesto macroeconomico e di un andamento del commercio mondiale che non saranno favorevoli, crediamo che l’unico modoper raggiungere questo obiettivo sia adottare una terapia choc sull’economia che spinga le imprese a investire e le metta in condizione di competere. La legge di Bilancio 2017 e le manovre precedenti del Governo Renzi vanno esattamente in questa direzione, come si vede bene – tra l’altro – dal rapporto Doing Business della Banca Mondiale: da quando il Governo si è insediato, il ‘total tax rate’ che le imprese devono sostenere è calato dal 65,2% dell’edizione 2015 (riferita all’anno 2014) al 62% dell’edizione 2017 (riferita al 2016). Questo trend continuerà nei prossimi anni.  

Il piano prevede un rafforzamento della detassazione dei premi di produttività. Come dovrà evolvere la contrattazione?

In un contesto industriale e produttivo in cui flessibilità e reattività ai cambiamenti diventano variabili cruciali, la produttività è tutto: per questo bisogna valorizzare al massimo la negoziazione decentrata, che tiene conto delle esigenze concrete e specifiche di ciascuna impresa e dei suoi lavoratori. La legge di Bilancio 2017 mette importanti risorse per la defiscalizzazione del salario di produttività proprio per accompagnare le imprese e le organizzazioni dei lavoratori in questa direzione. La parte più moderna del sindacato ha capito, accettato e sostenuto questa sfida. Adesso sta agli imprenditori fare l’utilizzo più efficace di questo strumento.  

La diffusione della banda ultra larga sarà un punto chiave per la digitalizzazione delle imprese. Cosa farà il governo?

La connessione in banda larga è il più cruciale dei fattori abilitanti la rivoluzione digitale: è davvero difficile immaginare imprese interconnesse in Rete… se la Rete non c’è o non è sufficientemente performante! Il Piano per la Banda Ultralarga che abbiamo messo in campo prevede di portare la connessione in tutto il Paese, colmando il digital divide che purtroppo marginalizza molte aree del Paese. Il Piano prevede circa 7 miliardi di investimenti pubblici nelle aree bianche, grigie e nere. Attualmente ci stiamo confrontando con la Commissione europea per individuare gli strumenti a supporto degli interventi nelle aree grigie, aree strategicamente prioritarie dato che lì risiedono circa il 70% delle imprese. Il grande valore di questo progetto è rappresentato dalla ricerca di trovare una via italiana a quanto nato nel 2011 in Germania, Industrie 4.0.  

Come accompagnare quelle imprese che ancora devono fare il passaggio dalla terza alla quarta rivoluzione industriale?

L’Italia ha caratteristiche peculiari che distinguono nettamente le nostre esigenze da quelle tedesche e di conseguenza richiedono strumenti e un approccio originali. I tedeschi hanno puntato molto sulle filiere. Noi abbiamo un tessuto di Pmi estremamente frammentato che, se da alcuni punti di vista è un limite, da molti altri rappresenta una ricchezza. Il nostro obiettivo è allora valorizzare questo pluralismo imprenditoriale e creativo, non perseguendo una politica dei settori, ma guardando a una politica dei fattori. È questa la cornice in cui si inseriscono le misure di cui abbiamo parlato, che non sono selettive, ma si rivolgono all’intera platea delle imprese italiane. Purché vogliano investire, innovare e internazionalizzarsi.  

Quali ostacoli intravede e che messaggi si sente di dare agli imprenditori che ci leggono?

Il dovere degli imprenditori è investire e creare occupazione e ricchezza. Il dovere della politica è creare le condizioni perché le imprese possano farlo. Questo patto di fiducia è alla base del Piano che mobiliterà più di 13 miliardi di incentivi fiscali automatici che le imprese potranno utilizzare direttamente senza dover passare per alcun tipo di autorizzazione ministeriale. Si tratta di una nuova modalità di fare politica industriale che mette al centro proprio la fiducia nella capacità delle imprese di fare il loro lavoro abbandonando ogni velleità dirigista.