Il difficile compito della ripresa
Il difficile compito della ripresa
di Marina Barbini
Nel corso degli ultimi mesi il graduale rafforzamento della congiuntura dell’economia italiana si è accompagnato a un andamento vivace dell’occupazione, che ha mostrato una tendenza alla crescita, in linea con quanto si osservava già sul finire del 2015. In più, l’aumento del numero degli occupati ha iniziato a erodere anche lo stock di lavoratori disoccupati.
Questi sono certamente risultati incoraggianti. Tuttavia, quest’ultima crisi economica è stata particolarmente intensa e non ha precedenti, per intensità e durata, nella storia recente. Le distanze di molte variabili rispetto ai livelli pre-crisi sono ampie e gli effetti sono devastanti anche dal punto di vista sociale. Le disuguaglianze sono peggiorate ed è aumentata la povertà, anche tra categorie di lavoratori regolarmente occupati.
Secondo i dati Eurostat, nel 2014 nell’Unione europea sono risultate “a rischio di povertà o di esclusione sociale” circa 83 milioni di persone in età lavorativa (il 26%). Nel 2007 la stessa quota era del 24%. L’incremento è particolarmente visibile nei Paesi più colpiti dalla crisi dell’Eurozona: Grecia, Spagna, Portogallo e Italia. Nel nostro Paese la quota di persone a rischio di povertà è salita dal 25,5 al 29,7%. La recessione certamente ha contribuito a far esplodere il numerodei poveri, non solo a causa della perdita di occupazione, ma anche della sottoccupazione e dell’indebolimento del potere negoziale di molti che pure un lavoro l’hanno mantenuto o trovato.
Per poter parlare di una vera e solida ripresa, occorre dunque andare al di là delle semplici statistiche su occupati e disoccupati, e considerare le variazioni che stanno interessando l’intera morfologia del mercato del lavoro, per come questa è cambiata in seguito alle scosse ricevute dalla crisi economica.
Attorno alle categorie di persone che vengono definite “occupate” o “disoccupate” in senso stretto, esistono infatti delle “aree grigie” costituite, per esempio, dai sottoccupati(ovvero quelle persone che lavorano meno di quanto sarebbero disposte a fare), oppure dalle forze lavoro potenziali, cioè coloro che non lavorano in quanto non hanno i requisiti per essere classificati dall’Istat come disoccupati, ma desidererebbero comunque essere impiegati. Con la crisi, il fenomeno dello scoraggiamento e quello della sottoccupazione sono cresciuti considerevolmente.
Tra gli scoraggiati si identificano sostanzialmente le persone che non hanno effettuato azioni di ricerca attiva di lavoro nell’ultimo mese (e perciò non vengono classificate tra i disoccupati in senso stretto), oppure coloro che non cercano lavoro, ma si dichiarano comunque disponibi-li a lavorare qualora si presentasse un’opportunità. Se a queste due categorie si aggiungono i disoccupati secondo la definizione ufficiale si ottiene l’area della “inoccupazione” in senso ampio (disoccupati e inattivi disponibili) che rispetto al 2007, ovvero rispetto ai livelli pre-crisi, ha subito un incremento di quasi 3 milioni di persone (pari a una variazione cumulata in sette anni dell’8,1%). La stessa cosa si osserva per l’area della sottoccupazione, che comprende i cassintegrati e coloro che lavorano a orario ridotto per mancanza di occasioni di impiego a tempo pieno. Questi due gruppi, congiuntamente considerati, hanno avuto un incremento complessivo del 10,9% tra il 2007 e il 2014.
Le due aree sono rappresentate nel Grafico 2 e 3. In entrambi i casi risulta evidente come i due bacini (quello della sottoccupazione e quello della inoccupazione) si siano notevolmente ampliati in questi anni.
Sul mercato vi è dunque tanta forza lavoro da assorbire: oltre ai lavoratori ancora in cassa integrazione e a chi vorrebbe tornare ad avere un impiego full-time, si aggiunge un’offerta ampia da parte degli scoraggiati.
In Italia il tasso di sottoutilizzo delle forze lavoro, che può essere calcolato come una sorta di tasso di disoccupazione allargato, includendo oltre ai disoccupati in senso stretto anche gli scoraggiati e i sottoccupati e rapportando questo insieme alle forze lavoro comprensive degli inattivi “più vicini” al mercato del lavoro, è passato dal 17,7% del 2007 al 32,4% del 2014 (vedi la Tabella 1).
Non va dimenticato, infine, che la gran parte dei disoccupati ‘ufficiali’ cerca un impiego da oltre 12 mesi, anche se dopo l’aumento ininterrotto avutosi tra il 2007 e il 2014, nel corso del 2015 si è osservata una tendenza al ridimensionamento della disoccupazione di lunga durata: nel terzo trimestre dell’anno, l’incidenza dei disoccupati da almeno 12 mesi è risultatapari al 58,1% a livello nazionale, mentre nello stesso periodo di un anno prima era del 62,4% (vedi il Grafico 4).
A ogni modo, la persistenza degli individui nello stato di disoccupazione non solo costituisce un grave problema sociale, ma rappresenta anche un segnale del distorto funzionamento del mercato del lavoro.
Nonostante la recente ripresa dell’attività economica e il recupero dell’occupazione, nel mercato del lavoro italiano, permangono quindi situazioni di debolezza, con un’ampia platea di persone a cui manca lavoro (in tutto o in parte), ed è anche all’evoluzione di queste statistiche che bisogna guardare per poter stabilire se la ripresa appena iniziata stia apportando benefici reali alla parte dei soggetti economici in maggiori difficoltà.