Gestione dei progetti di innovazione e sviluppo prodotto
Primi risultati della ricerca dell’Osservatorio GeCo
A cura di:
Monica Rossi, Dipartimento di Ingegneria Gestionale, Politecnico di Milano
Sergio Terzi, Dipartimento di Ingegneria, Università degli Studi di Bergamo
Il contesto economico odierno pone sfide sempre più sofisticate alle imprese industriali nazionali, che si trovano ad affrontare una competizione multivariata, in uno scenario globale in continua evoluzione. Già da tempo, le imprese nostrane sono fuori dai giochi della competizione basata sul mero costo di produzione e acquisto, dati gli irraggiungibili livelli di low cost offerti nel mercato globale dalla conveniente manodopera dei paesi emergenti. Allo stesso tempo, fattori come la ricerca della qualità, il rispetto delle normative (ambientali e/o sociali), il grado di differenziazione e/o personalizzazione dei prodotti e dei servizi offribili sono elementi ormai obbligati delle strategie competitive industriali, da cui non si può prescindere, pena l’esclusione dai mercati. In questo scenario, le uniche variabili oggigiorno in grado di fornire un quid in più su cui costruire un vantaggio competitivo sono due: la capacità di generare continua innovazione e la velocità con cui realizzarla.
L’innovazione è un fattore ritenuto critico da lungo tempo: creare nuovi prodotti, capaci di soddisfare vecchi / nuovi ed espressi / inespressi bisogni è un refrain di lungo corso della manualistica manageriale, dalle molteplici caratteristiche (es. innovazione incrementale o radicale, creativa o sistematica, aperta o locale, ecc.). La velocità con cui affrontarla è invece fattore precipuo degli ultimi tempi, la cui rilevanza è particolarmente stressata dalla globalizzazione. Come in una gara a ostacoli, nel mondo pressoché piatto di oggi, in cui tutti i concorrenti partono dagli stessi blocchi di partenza connessi come sono al mercato globale (anche grazie agli ingenti investimenti di cablatura Internet degli ultimi 10 anni), la gara è vinta sulla stessa distanza (data dal cliente), da chi per primo è in grado di coprila, tagliando il traguardo davanti a tutti.
Quanto mai rispetto al passato, il mercato va – spesso in toto – a chi arriva per primo, con il prodotto giusto, nel momento giusto. Ciò vale per i grandi produttori di beni di commodity (dai cellulari, agli alimenti, dai mobili, ai vestiti), come anche per le piccole e medie imprese nazionali specializzate in beni durevoli. Continuando in metafora, certamente la gara si vince sull’intera durata del percorso, superando bene ogni ostacolo, ma l’esperienza olimpica insegna che il giusto scatto in partenza ipoteca notevolmente la vincita. In termini industriali, ciò significa che la velocità è fattore di competizione dell’intera catena del valore aziendale, dalla produzione, alla logistica, ma anche – a maggior ragione – delle fasi iniziali di ricerca e sviluppo, progettazione e industrializzazione.
Dimensioni di competizione: il time to market e il time to volume
Disporre di un efficace ed efficiente processo di sviluppo e innovazione, tramite cui creare il prodotto giusto, senza errori, velocemente è il vero fattore competitivo di questo periodo storico, necessario per tutte le imprese, in particolare per quelle del nostro Paese. La tematica a essere sinceri non è nuova. Diversi autori e diverse scuole di pensiero predicano da tempo che le aziende vincenti sono quelle in grado di fornire il giusto prodotto (dotato della più alta qualità al minimo costo, con le più avanzate tecnologie, ben personalizzato, eco-compatibile, sostenibile, ecc.), nel giusto momento (con il minor time-to-market, il minor time-to-volume, nel più adatto periodo temporale, prima degli altri, ecc.), nel giusto posto (dappertutto, per clienti locali e globali). Peraltro, non si può non notare come queste sfide non siano poi così nuove, ma esistono dall’inizio dell’era moderna industriale.
Sono cambiate però le scale di riferimento, in primis a livello temporale (ad esempio giorni / settimane invece di mesi / anni), ma anche in termini di grado di complessità che deve essere continuamente gestito (ad esempio milioni di prodotti e componenti al posto di migliaia, multidisciplinarietà anziché mono, contesti distribuiti invece che localizzati, ecc.).
Uno strumento per innovare: l’Information Technology
La letteratura manageriale propone una lista di possibili soluzioni per migliorare l’efficacia ed efficienza dei processi di innovazione e sviluppo: metodi, approcci organizzativi, strategie, tecniche, strumenti software e piattaforme. Ma come sono realmente diffusi e utilizzati nel mercato, almeno a livello nazionale?
È questa la domanda che rimbalza in testa agli autori da diversi anni e diversi studi sono già stati condotti e pubblicati anche su questa rivista, confermando fino a oggi l’esistenza di un gap rilevante tra la teoria proposta dai libri e la vera pratica industriale. Nei fatti, diverse aziende italiane stanno affrontando le sfide moderne proposte e imposte dal mercato, senza sapere che una serie di metodi e strumenti IT sono già disponibili tra il catalogo delle possibili soluzioni. È in tale contesto che si è aperto lo spazio per una specifica iniziativa di ricerca, focalizzata ad esplorare il gap esistente. Tale progetto prende il nome di Osservatorio GeCo.
Osservatorio GeCo
Dall’esperienza accumulata in quasi 10 anni di lavoro, gli autori hanno deciso di lanciare un’iniziativa di ricerca a livello nazionale, chiamata ‘Osservatorio GeCo’ (Gestione dei processi Collaborativi di progettazione), promossa grazie al sostegno finanziario di diversi partner industriali (Jmac Europe, PTC, Siemens, EnginSoft, Holonix e PLM Systems), sotto l’ala degli Osservatori della Business School del Politecnico di Milano, con la collaborazione dell’Università di Bergamo e di altri atenei italiani (Università Politecnica delle Marche, Università di Brescia, Università di Firenze, Università di Roma ‘Tor Vergata’, Università del Salento). Le attività di GeCo sono iniziate ufficialmente a Febbraio 2012. GeCo mira a diventare un’iniziativa duratura, basata su ricerche lanciate con cadenza annuale. Il piano per il primo anno (2012) è condurre una ricerca empirica esplorativa chiamata: ‘Best Practice nella progettazione e nella gestione della conoscenza all’interno del processo di sviluppo nuovo prodotto di aziende italiane’.
Tale ricerca vuole investigare e capire le principali sfide che le aziende italiane stanno attualmente affrontando e quali tecniche e strumenti stanno implementando per il miglioramento del proprio processo di sviluppo nuovo prodotto.
La ricerca, essendo di natura esplorativa, non ha pretese di tipo statistico, ma è condotta su una serie di casi studio selezionati, provenienti da differenti settori industriali (ad es. meccanico, aerospaziale, tessile, moda, alimentare, ecc.), caratterizzati da diverse dimensioni (ad es. fatturato e turnover) e disparato background. L’unico requisito che deve essere rispettato con rigore da ogni caso consiste nell’essere un’azienda articolata nelle fasi di sviluppo, progettazione e produzione, sia italiana sia estera. La ricerca terminerà a Febbraio 2013, mentre questo articolo mostra in via preliminare alcuni dei risultati finora ottenuti.
La ricerca esplorativa è basata su un questionario, composto da 33 domande, matrici e tabelle. Ogni domanda è basata su una dettagliata analisi della letteratura e definisce una posizione ideale di eccellenza. Generalmente, per ognuno dei casi studio viene intervistato il direttore tecnico (od un suo delegato) attraverso un’intervista della durata di circa tre ore, più eventuali interviste di approfondimento con altri attori aziendali. I dati collezionati attraverso i casi di studio sono analizzati attraverso un modello di riferimento strutturato in 9 aree, raggruppate in 3 parti: Organizzazione, Processo e Gestione della conoscenza.
• La prima parte, ‘Organizzazione’, riguarda l’insieme delle persone coinvolte nelle attività giornaliere. I principali aspetti analizzati sono la suddivisione del lavoro e dei diversi compiti (Organizzazione del lavoro), la coordinazione di persone e attività, il ruolo di progettisti e ingegneri (Ruoli e coordinamento) e l’esperienza e la preparazione di ogni attore coinvolto (Formazione e competenze).
• La seconda parte, ‘Processo’, analizza come lo sviluppo nuovo prodotto è eseguito nella pratica. Tale parte investiga quattro aree: metodologie e regole di progettazione (Metodi), controllo dei meccanismi e miglioramento del processo (Gestione del processo) e come le decisioni prese ogni giorno siano fortemente basate su strategie interne (Fattori decisionali) e influenzate dal comportamento dei competitor e dei clienti (Attività e valore).
• La terza parte, ‘Gestione della conoscenza’, è legata a come le organizzazioni creano, condividono, rappre sentano e riutilizzano la conoscenza, sia tacita sia esplicita. Questa prospettiva è costituita da due aree: ‘Formalizzazione’, ossia come la conoscenza viene formalizzata e condivisa, e ‘Informatizzazione’, come e quali strumenti IT sono utilizzati per supportare l’archiviazione, la condivisione e il riutilizzo della conoscenza lungo il processo di sviluppo prodotto).
Per ognuna delle aree è valutato un punteggio percentuale, ottenuto pesando matematicamente le risposte date in relazione al miglior risultato ottenibile. Sono stati identificati 5 possibili Livelli di maturità (Figura 1), misurati in valore percentuale che prendono l’acronimo Climb (Chaos – caotico, Low – basso, Intermediate – intermedio, Mature – maturo, Best Practice):
1. Chaos: il modo in cui la particolare area di analisi viene gestita è solitamente caotico e vagamente strutturato.
2. Low: l’area è caratterizzata da minima formalizzazione ed è a malapena pianificata e controllata.
3. Intermediate: la gestione dell’area è strutturata e pianificata. Soluzioni standard sono normalmente applicate.
4. Mature: l’area è ben strutturata, pianificata, controllata e monitorata sotto i suoi diversi punti di vista, spesso attraverso tecniche di tipo quantitativo.
5. Best Practice: l’azienda ha raggiunto lo stadio precedente in termini di maturità per l’area in analisi e mira al suo miglioramento continuo, grazie all’analisi dei risultati e ad azioni innovative applicate in modo incrementale. I dati collezionati possono essere rappresentati attraverso un radar chart, come mostrato in Figura 2.
Risultati preliminari
Tra Marzo e Luglio 2012 sono state intervistate e analizzate 30 aziende manifatturiere italiane, di cui 7 con meno di 250 dipendenti (Sme, Small and Medium Enterprise). Le aziende provengono da diversi settori manifatturieri: aerospaziale (4), automobilistico (2), elettronico (5), moda (4), elettrodomestici (4), macchine (6), meccanico (1), militare (1), petrolifero (2) e sicurezza (1).
Il radar in Figura 3 mostra la media dei punteggi ottenuti dal campione analizzato.
Il più alto livello di maturità è ottenuto nella parte di ‘Organizzazione’, in particolare nelle aree ‘Organizzazione del lavoro e Ruoli e coordinamento’, in cui il livello medio raggiunto supera il punteggio di 80%.
All’interno delle aziende italiane, i progettisti assumono un’elevata importanza e la coordinazione e collaborazione tra di essi implica il raggiungimento di determinati livelli di qualità all’interno dell’ambiente di lavoro. Le aziende sono consapevoli che una precisa definizione dei ruoli e delle responsabilità determina il raggiungimento di risultati più efficaci nella progettazione e nello sviluppo.
La dispersione dei valori in queste due aree citate è piccola e solo pochi casi si attestano in un livello di maturità Intermedio. Più bassi livelli di maturità corrispondono invece all’ultima area della parte ‘Organizzazione’, precisamente ‘Formazione e competenze’. Anche se le aziende riconoscono che un aumento delle abilità e delle competenze individuali sfociano in un’organizzazione più agile e matura, e in un prodotto più performante, il livello medio di maturità raggiunto è ancora e, in pochi casi, ‘Basso’
Lo sviluppo delle competenze è lasciato all’esperienza dei singoli e gli investimenti in formazione permanente e strutturata rimangono limitati.
Il campione intervistato dimostra una certa maturità nell’esecuzione del processo di sviluppo prodotto, spesso realizzato attraverso step, attività e compiti formalizzati, che mirano a definire le specifiche del nuovo prodotto.
Le aziende sono consapevoli che un rigido controllo del processo di sviluppo è cruciale, così come il suo continuo miglioramento. Si attestano, infatti, attorno all’80% di maturità per quello che riguarda la ‘Gestione del Processo’ (Figura 4), anche se alcune aziende risultano meno strutturate e si piazzano ad un livello ‘Intermedio’. Come noto, il processo di Snp può essere supportato da un’ampia varietà di strumenti e metodi (Metodi), quali le tecniche di Design for X, Design to Cost, ecc. In quest’area, la situazione appare abbastanza lontana dalle buone pratiche suggerite dalla teoria. Infatti, il campione è in media a cavallo tra i livelli 3 e 4 della scala Climb.
Diversi casi rimangono fermi al livello ‘Basso’, se non addirittura ‘Caotico’ (Figura 5). In altre parole, molte aziende non sanno che esistono già da tempo metodi e tecniche tramite cui progettare meglio e più in fretta. Il processo di Snp è influenzato da un elevato numero di decisioni che vengono prese ogni giorno, considerando sia fattori interni (Fattori decisionali) che esterni (Attività e valore).
Le aziende intervistate pongono in genere molta attenzione al cliente e alla definizione del valore dal suo punto di vista, ad eccezione di pochissimi casi che sono ancora in fase di definizione e formalizzazione di tale aspetto. In media, una bassa attenzione è posta nella considerazione dell’intero ciclo di vita del prodotto, la cui visione di insieme non influenza ancora le strategie e le decisioni delle aziende nazionali. Questo è dimostrato dal fatto che il livello medio di maturità e consapevolezza di questo aspetto da parte della media delle aziende è associabile a un livello maturità inferiore al 64%: nella maggior parte dei casi, le aziende non tengono conto durante lo sviluppo di come il prodotto dovrà essere manutenuto, supportato, piuttosto che smaltito e/o ricuperato. La terza parte, relativa alla ‘Gestione della Conoscenza’, risulta essere ancora abbastanza immatura, almeno nel campione investigato. In effetti, anche se il livello di informatizzazione è in media ‘Maturo’ (Figura 6), la capacità di ‘Formalizzazione’ resta ancora a livelli bassi – intermedi (Figura 7).
Le aziende risultano in genere consapevoli del fatto che conservare e proteggere il proprio know-how sia fondamentale per mantenere un vantaggio competitivo, ma non sempre implementano azioni coerenti. Ogni volta che si sviluppa una nuova parte o un nuovo componente, un ‘pezzo di conoscenza’ viene generato, per poter essere condiviso ed eventualmente recuperato / riutilizzato in futuro. Fisicamente, un’elevata quantità di dati viene creata da numerosi attori diversi, spesso con formalismi e definizioni divergenti. A risposta di questi problemi, nel mercato delle soluzioni informatiche sono da tempo disponibili diversi applicativi, solitamente definiti di Plm (Product Lifecycle Management) / Pdm (Product Data Management). Nel campione, tali sistemi sulla carta risultano abbastanza diffusi, ma il loro reale utilizzo risulta spesso carente, se non assente. Nonostante le aziende posseggano diversi strumenti, spesso risultano ignare – o comunque non registrano – i benefici che tali sistemi sono in grado di apportare.
Conclusioni
Questo articolo mostra i primi risultati dell’Osservatorio GeCo. La ricerca è ancora in corso, ma è già possibile avanzare alcune prime riflessioni di carattere più generale. Le sensazioni degli autori paiono a oggi essere convalidate: le aziende – almeno quelle intervistate – hanno un basso livello di conoscenza di quelli che sono i metodi e gli strumenti (Formalizzazione è l’area caratterizzata dal minor livello di maturità) già disponibili come supporto alle sfide del mercato moderno. Detto questo, è evidente che iniziative come quelle promosse dall’Osservatorio GeCo sono più che necessarie alle aziende italiane. Un risultato interessante riguarda la dimensione aziendale: nei dati a disposizione, questa variabile pare non influenzare le attitudini generali che governano lo sviluppo nuovo prodotto.
Infatti, come mostra la Figura 8, il livello medio di maturità raggiunto dalle Sme è del tutto paragonabile a quello delle grandi aziende. La ricerca sta continuando, con l’obiettivo di almeno duplicare il numero di casi studiati. A oggi tutte le imprese analizzate ricevono nel giro di pochi giorni il radar sintetico della propria prestazione, come prima restituzione per il tempo concesso. Proprio da questa pratica, gli autori si sono man mano resi conto di come il modello sviluppato sia un possibile futuro strumento con cui condurre delle analisi più approfondite di benchmarking, come suggerito dalla Figura 9. Infatti, le prestazioni di una generica azienda A possono essere rapidamente confrontate con la media generale del campione, piuttosto che con quella di uno specifico settore o anche con un’altra impresa.
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