Dopo un percorso professionale iniziato in grandi multinazionali dell’informatica, Carlo Petti, Fondatore e Presidente di DocFlow, da 16 anni guida un’azienda che ha saputo affermarsi in un settore – quello dei processi documentali – in cui le competenze tecnologiche sono solo il prerequistito per presentarsi al mercato. Qual è allora il segreto del suo successo? L’ingrediente base di questa ricetta è il valore riconosciuto all’informatica, quale strumento facilitatore dell’innovazione di ogni organizzazione. Il segreto che rende il risultato unico è invece la capacità di conseguire non solo efficienza bensì efficacia. Sistemi&Impresa accompagna i lettori alla scoperta di uomo e di un’azienda che hanno da sempre saputo innovare i processi aziendali, facendo tesoro dell’esperienza maturata ‘sul campo’ al fianco delle Direzioni di Business e avendo sempre ‘a cuore’ le persone coinvolte nel day-by-day.A cura di:
Luca PapperiniIn che misura gli albori del suo percorso professionale hanno contribuito a formare l’imprenditore Carlo Petti che conosciamo oggi?
Nonostante abbia trascorso diversi anni della mia carriera in multinazionali It, non appena mi sono stati chiari i limiti imposti dalle standard corporate rules, ho compreso che le mie aspirazioni non avrebbero trovato spazio in quell’approccio al business. Le persone con spirito critico e forte propensione al cambiamento sono tipicamente considerate anomalie da gestire con cautela. Ho iniziato con una breve esperienza in Olivetti lavorando nei Laboratori di ricerca elettronica. Nel 1975 e per i successivi 7 anni ho lavorato nella divisione Sistemi Digitali alla Texas Instruments, un’azienda davvero eccellente e all’avanguardia, che ama il ‘low profile’, e da cui ho ricevuto una solida formazione organizzativa. Già allora disponevamo di un sistema di posta elettronica e sistemi di gestione particolarmente sofisticati.
Cosa ha riportato in DocFlow di quell’esperienza?Da Texas Instruments ho imparato ed ‘esportato’ le good practice delle aziende multinazionali adattandole alla nostra realtà: “Pensiamo in grande e agiamo in piccolo”, questa è la filosofia DocFlow. Noi oggi siamo un’organizzazione di 60 persone ma adottiamo linee guida da grande azienda. Facciamo in modo che queste non siano troppo ‘strette’ altrimenti limiterebbero le capacità di espressione individuali. Ho impostato il modello organizzativo di DocFlow facendo in modo che ogni persona del team lavori esclusivamente per obiettivi, sentendosi così fortemente responsabile del suo risultato ma, contemporaneamente, parte di un gruppo il cui successo dipende dalla collaborazione. Del resto i processi collaborativi sono il nostro pane quotidiano!
Una collaborazione che come ha già tenuto a sottolineare trova la sua forza nelle capacità dell’individuo?Io credo profondamente nell’autodeterminazione individuale. Ci sono persone che riconoscono il valore del gruppo a prescindere dai suoi membri e altre persone (come me) che vedono il gruppo come un insieme di individui che apportano valore al gruppo stesso. A mio modo di vedere l’intera società potrebbe migliorare se tutti gli individui portassero avanti obiettivi comuni di gruppo, non il contrario. Mi sono sempre dato da fare con la mia azienda per mettere l’informatica al servizio dei processi che le persone creano all’interno della loro organizzazione, analizzando il workflow. La nostra attività aiuta la persona a svolgere il suo lavoro riorganizzando i processi che stabiliscono le interdipendenze tra gli individui. Il filone che segue la nostra Mission è sempre quello della collaborazione. Dovrebbe essere questo lo scopo principale dell’informatica nelle organizzazioni, un mezzo per facilitare la collaborazione.
Sembra di capire che oggi l’informatica abbia perso di vista uno dei suoi obiettivi, quello di abilitare un lavoro di gruppo coordinato…Il profitto oggi sta prendendo sempre più il sopravvento sul progresso e sullo sviluppo di soluzioni innovative, così l’obiettivo dell’Ict è diventato proporre al mercato prodotti e soluzioni ripetitive, di per sé non in grado di portare da sole innovazione al processo. Questo spiega il fatto che negli ultimi anni l’informatica si sia concentrata sul ‘trattamento del dato’ senza analizzare né il processo che ha portato alla sua creazione né il suo significato all’interno del contesto.
E questo crede sia un male?Potremmo definire il dato come una sintesi estremamente riduttiva della conoscenza, che pecca di due grandi difetti: quello di essere sintetico e quello di rappresentare l’immagine sfuocata di una realtà già ‘passata’. Non si riferisce mai a quello che sta accadendo, ma tipicamente certifica fatti già avvenuti. È proprio questo uno dei punti deboli dei sistemi Erp. I sistemi gestionali hanno lo scopo prevalente di codificare, certificare ed elaborare il dato, indipendentemente dagli eventi che lo hanno generato. Noi invece ci occupiamo di assistere l’utente nel processo di formazione della informazione aiutandolo passo passo nella creazione collaborativa della Conoscenza. Per esempio nella definizione di un ordine di acquisto non ci basta conoscere quantità e prezzo finale ma vogliamo ricordare chi ha preso la decisione, chi lo ha consigliato e quali sono le varianti che ha valutato. Come dire: non ci interessa solo conoscere la meta di un lungo viaggio, ci piace programmare i percorsi e le tappe di quel viaggio per renderlo unico, proprio perché costruito su misura a partire dalle aspettative, dal budget e dalla realtà che ci circonda.
Nell’ultima intervista con Sistemi&Impresa nel 2010 lei aveva dichiarato che era arrivato il momento di concentrarsi sui processi destrutturati o parzialmente codificati. Mi chiedo quindi che valore viene dato all’informazione contenuta nel documento, come fate per valorizzarla?I processi destrutturati, cioè quel lavoro collaborativo che noi tutti facciamo chiedendo una dritta ‘al volo’ al collega davanti alla macchinetta del caffè, lasciando un post-it sulla scrivania del capo, un messaggio nella casella vocale del fornitore, inviando email, SMS, google talk e chi più ne ha più ne metta.. producono le informazioni che servono quotidianamente per fare business. Ci sono diverse attività, anche ad alto valore aggiunto, che per loro natura non possono essere codificate in un Erp. Al massimo il gestionale ne certificherà il risultato finale, perdendo tutto il valore creato a monte. Molti manager non hanno ancora compreso che i processi destrutturati generano i fattori critici di successo per l’Azienda, perché permettono alle persone di comunicare e collaborare nella modalità che preferiscono per risolvere l’esigenza del momento. Riuscire a trasformare questo lavoro collaborativo in valore per il business è la specializzazione di DocFlow e questa è l’efficacia.
Il vostro valore aggiunto sta nel ridisegno del processo. Vi sentite un po’ gli architetti di un cambiamento che arriva al cuore dell’organizzazione grazie allo strumento tecnologico?L’obiettivo di DocFlow è creare valore traghettando l’informazione giusta da un luogo all’altro dell’organizzazione, raggiungendo la persona giusta, al momento giusto. Con questo sistema puntiamo a salvaguardare l’efficacia del lavoro di ogni singolo individuo, per spendere tempo prezioso nelle attività ad alto valore aggiunto. DocFlow è in grado di liberare tempo offrendo all’utente tutte quelle informazioni indispensabili al suo lavoro collaborativo. Se viene liberato del tempo per pensare mi sembra evidente che questo si possa chiamare valore.
È una delle prime volte che non sento parlare di efficienza a fianco di efficacia. Molti esperti di organizzazione ritengono che l’efficienza tout court sia il peggior nemico dei processi di innovazione. Lo condivide?Per inseguire l’efficacia bisogna avere il coraggio di rompere gli schemi. In questo mito del conformismo ci stiamo tutti focalizzando sull’efficienza, non percependo che ormai non c’è più nulla da ‘raschiare’. Puntare all’efficienza significa analizzare quello che già c’è per cercare di proporlo a minor prezzo. Per fare efficacia però non esiste una ricetta valida per tutti. Sicuramente un primo passo è agire direttamente sull’approccio di esecuzione dei lavori del singolo. Non ci interessano i semplici esecutori che hanno bisogno di lavorare secondo una modalità push. Basta con i lavori pilotati dall’alto che necessitano di un continuo controllo da parte del capo. Con il nostro intervento organizzativo stimoliamo invece un’attività di tipo pull, in cui l’individuo è chiamato a dare il suo contributo solo nel momento in cui è realmente necessario. Questo consente di risparmiare tempo e attenzione, in modo che ci si possa dedicare ad altro.
Possiamo citare un esempio concreto?Prenda l’esempio dei back up da fare sistematicamente ogni mese sul proprio Pc. Se il back up viene eseguito il sistema comunicherà una risposta positiva al capo di quel collaboratore. Al contrario, se il back up non viene effettuato il capo riceverà una sola volta la notifica che lo avvisa della mancanza, senza però dover perdere ogni giorno tempo e fatica ad analizzare report su report per trovare chi non ha ancora eseguito l’operazione. Con il nostro approccio pull agiamo sui comportamenti organizzativi attraverso un meccanismo preventivo.
In questo modo si incide sulla responsabilizzazione dei dipendenti. Non significa in un certo senso procurare del mal di pancia a organizzazioni molto verticali e molto gerarchizzate?Assolutamente sì. La fatica più grande sta nel fatto che le imprese hanno una struttura molto gerarchica ma stiamo cercando proprio un cambio di paradigma che vada in questa direzione, quello della maggior responsabilizzazione. Alcuni Cio illuminati condividono e abbracciano la nostra visione: se libero del tempo ai dipendenti ne trarrò vantaggio per tutta l’organizzazione. Purtroppo credo che non tutti la pensino così. I nostri clienti storici continuano a darci fiducia, e anche il bilancio parla chiaro, con un +17% di fatturato relativo all’ultimo anno di attività. I risultati ottenuti con il nostro metodo sono misurabili. Oggi però dettano legge ancora il comando e il controllo. Torniamo dunque all’individuo e a dire che la chiave di questo discorso è sempre la fiducia nelle sue capacità.
Come si sta evolvendo il mercato del Content Management?In questo settore ormai siamo rimasti in pochi. Questo perché l’approccio tecnologico da solo non può funzionare, non serve a niente. Allora dobbiamo intervenire a monte nell’organizzazione per spiegare il vantaggio che si trova nell’implementare la nostra soluzione sull’intero flusso dei processi. Il messaggio che vorremmo passare è che esiste un altro modo di fare informatica, che non sostituisce l’individuo ma lo supporta puntando all’efficacia. Come tale questa è un’informatica più utile, diventa così uno strumento indispensabile al top management.
Allarghiamo lo spettro della vostra offerta. L’area del Personale sappiamo essere un’area molto calda dove è sempre più importante fare intelligence. Quali progetti avete per l’Hr, la ‘Terra di mezzo’ dove convogliano in misura forse maggiore le informazioni strutturate con quelle destrutturate (rimborsi spese, amministrazione, CV, gestione processi formativi e di sviluppo…)?Prima di tutto vorrei chiarire un concetto. Non dobbiamo scivolare nell’errore di credere che la dematerializzazione sia relativa ai contenuti. Dematerializzare le informazioni non serve a nulla. Occorre dematerializzare i processi collaborativi e analizzare prima come si lavora. Questo significa progettare un nuovo modo di lavorare, che sfrutti la presenza del documento digitale e ovviamente possa adattarlo in fasi successive ai nuovi bisogni dell’utente. L’eliminazione della carta non deve essere un fine ma un mezzo. Appena la normativa ha consentito di eliminare il cedolino paga cartaceo ci siamo dedicati a una soluzione per quello elettronico. Poi abbiamo allargato l’intervento agli innumerevoli processi collaborativi della Direzione del Personale e lo abbiamo implementato ultimamente e con grande successo in SEA – Società Esercizi Aeroportuali. Grazie a questa esperienza abbiamo avuto una misura reale della complessità che si nasconde dietro ai molteplici processi che governano il Personale. Di questi processi – per la maggior parte altamente destrutturati – il classico ‘gestionale’ notifica solo gli output, ma tutto il lavoro che c’è dietro rimane completamente sommerso.
Se quello del Personale è il settore dove oggi la vostra attività può ottenere maggiore successo, quale sembra essere il trend del vostro business nel futuro?Un’area cross che si sta rivelando sempre più importante è la Compliance, un nervo scoperto delle organizzazioni che coinvolge direttamente il top management, stretto fra la richiesta crescente di adempimenti e gli elevati costi che comporta assolverli pienamente. DocFlow propone in questo ambito una soluzione virtuosa che collega i controlli di conformità direttamente ai processi di lavoro, orchestrando il tutto con un sistema di Business Process Management. In quest’ottica la Compliance può arrivare ad avere un costo praticamente nullo. Se invece le aziende tendono a scostarsi molto da questo modello virtuoso i costi per riallinearsi alle normative (ISO9000, 231, 262, dlgs81) saranno elevatissimi.
Se dovesse sintetizzare i tre motivi principali per i quali un’azienda dovrebbe scegliere DocFlow?Come primo motivo noi portiamo un valore misurabile. Il secondo è che siamo fortemente proattivi e innovatori. Un nostro cliente ci ha detto che siamo molto umili e questo mi ha fatto molto piacere. Questo significa attenzione e ricerca per tradurre in soluzioni i bisogni anche inespressi dei nostri clienti. Se il nostro approccio si può identificare con l’umiltà, direi che il terzo motivo per rivolgersi a DocFlow sia proprio questo.