“Fate come l’albero, che cambia le foglie e conserva le radici.
Cambiate le vostre idee e conservate i princìpi”
Victor Hugo
Fuori o dentro. Viviamo ormai sull’impenetrabile
soglia di due mondi: da un lato una
realtà virtuale e dall’altro
una realtà che si tocca con mano quotidianamente. La prima è disegnata da molti, alcuni dei quali conosciamo o forse crediamo di conoscere.
Una realtà alterata, sovrastrutturata, pensata con cura in ogni dettaglio. Una realtà che si amplifica progressivamente a nostra insaputa, della quale siamo vittime o artefici, o ricopriamo entrambi i ruoli. Un’altra vita.
Poi c’è la vita quotidiana, ridondante, con tempi scanditi, finiti, rubati, quella delle 24 ore, quella delle relazioni che finiscono, dei contratti a scadenza, dei pagamenti da sostenere, delle giornate spese a fare acquisti nei centri commerciali per provvedere a tutte le necessità della settimana a venire.
In che misura il digitale ha impregnato la nostra quotidianità? Quante vite ci possiamo permettere
Questo è stato il tema trattato giovedì 2 febbraio nel
terzo incontro del progetto Ateneo Este, durante il quale Francesco Varanini, responsabile scientifico del progetto, Direttore della rivista
Persone&Conoscenze e autore del libro
Macchine per pensare, si è confrontato con il pubblico, analizzando il
ruolo dell’essere umano al tempo della cultura digitale e dei Big data.
Nel 2013 è uscito un film che si è aggiudicato il premio Oscar per la Miglior sceneggiatura originale:
Her, scritto e diretto da Spike Jonze, con protagonista Joaquin Phoenix.
A primo impatto appare come un’opera di fantascienza pura; in seconda battuta è ben altro:
una voce dal futuro più vicino. Un’opera cinematografica sorprendente per quantità e qualità di contenuti, e per l’eccezionale capacità di indurre alla riflessione lo spettatore.
Il disincantato e introverso
Theodore Twombly, in una Los Angeles distante una decade dalla realtà odierna,
rifiuta l’idea di accettare il divorzio dalla donna che ha sposato, di cui è ancora perdutamente innamorato e decide di intraprendere una
relazione sentimentale con il suo sistema operativo dotato di intelligenza artificiale. Una storia d’amore molto singolare con la voce di una delle attrici più attraenti del momento –
Scarlett Johansson (Micaela Ramazzotti nella versione italiana) – che dà ‘vita’ al software.
Tutto appare allo spettatore assolutamente verosimile, possibile, reale attraverso la fusione di fantascienza e melodramma.
Niente di tutto questo è lontano da noi, piuttosto è tutto assolutamente sentito, vissuto, ‘quasi’ toccato con mano. Il protagonista ha superato quella soglia, la soglia dei due mondi: ci è dentro fino al collo.
La tecnologia domina la nostra vita
Siamo anche tutti noi vicini a quella soglia? Fino a che punto possiamo spingerci? Che cosa è reale e che cosa non lo è?
Il mercato economico ha progressivamente
sostenuto e finanziato l’evolversi della tecnologia. La scienza ha tratto innumerevoli benefici da questo inarrestabile progresso e i tempi di vita dell’essere umano nel corso dei secoli a oggi si sono notevolmente allungati.
Gli strumenti tecnologicamente avanzati hanno pervaso la nostra quotidianità in ogni campo e in ogni luogo fisico.
Dall’avvento del primo personal computer negli Anni 80, nell’arco di 30 anni siamo arrivati allo
smartphone touchscreen: un telefono che, come tutti sappiamo, non è più solo un telefono, ma assolve ormai molteplici e innumerevoli funzioni. Foto scattate ovunque con una dignitosa risoluzione e pubblicate istantaneamente su Facebook, Twitter, Instagram; mail con accesso sul telefono, di lavoro e non; messaggi vocali per non impegnare troppo il nostro tempo a scrivere.
Non c’è più limite di spazio e tempo. Ogni luogo è diventato un ‘non luogo’. Siamo lì, ma potremmo anche non essere lì o addirittura potremmo non esserci mai stati.
Un like in più, un tag in più ed ecco il fotogramma:
sanno chi siamo, da dove veniamo, cosa facciamo nella vita, in quante aziende abbiamo lavorato, quanti figli abbiamo. Il film della ‘nostra’ vita è di dominio pubblico.
Tutti possono commentare, curiosare, criticare una nostra scelta o situazione senza esserne in alcun modo legittimati.
Tutto viene messo in vetrina per occultare il vuoto della stanza, senza possibilità di replica: siamo di fronte all’informazione che esclude la persona. Qualsiasi tipo di
traccia ‘digitale’ lasciata dal nostro comportamento è merce di scambio del potere consumistico del mercato.
Questa è la nuova forma di governo delle masse. Questo è ciò che chiamano
Big data, una conseguenza della cosiddetta digital disruption: il singolo individuo che diventa massa.
Il singolo individuo è, infatti, solo una ‘massa di dati’ da analizzare, targhetizzare, utilizzare come strumento per raggiungere il profitto. È così che l’essere umano non è più al centro. Il processo di “spersonalizzazione” è ormai bruscamente innescato. Siamo ‘forse’ solo dei numeri?
Dominatori o dominati dalle macchine?
Il paradosso è ormai esplicito:
è l’uomo che domina la macchina o la macchina che domina l’uomo?
A questo proposito uno dei più intensi monologhi del cinema statunitense, quello di
Charlie Chaplin nel film Il Grande Dittatore, del 1940, aveva a suo tempo già anticipato quello che resta l’unico e concreto dilemma proprio dell’essere umano: “Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore. Non è il mio mestiere. Non voglio governare né comandare nessuno
. Vorrei aiutare tutti se possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca e sufficiente per tutti noi.
La vita può essere felice e magnifica, ma noi l’abbiamo dimenticato. Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi.
Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è violenta e tutto è perduto”.
Un monologo unico e significativo che va oltre ogni lasso di tempo presente, passato e futuro. L’importanza delle relazioni è ribadita con risolutezza da Chaplin, che ci ricorda prima d’ogni cosa che
l’uomo è un “animale sociale” (concetto che nasce nel IV secolo a.C. con il filosofo greco Aristotele) e pertanto la società odierna non è altro che il frutto della ‘
naturale’ propensione dell’uomo ad aggregarsi con altri individui e maturare delle relazioni.
Prendendo atto di questa consapevolezza, è assertivo il concetto che
l’avvento della digital disruption non può snaturare l’essenza stessa dell’uomo. Le relazioni restano e resteranno la componente fondamentale della nostra società. Sta a noi dunque saper ‘scegliere’ il modus operandi corretto per portarle avanti.
È allora importante comprendere che
ogni strumento a nostra disposizione, generato dal progresso tecnologico e digitale,
può divenire costruttivo e generativo nel momento in cui maturiamo una visione critica e non acritica dell’utilizzo che possiamo farne. Sicuramente non si può dare per scontata la capacità di tutti di comprendere le conseguenze del cattivo uso di ciò che ci viene propinato dal mercato: proprio per questo è
basilare essere formati e informati per percepire l’importanza del ‘senso di responsabilità’ di ognuno di noi di fronte all’acquisto e alle modalità d’uso degli strumenti digitali.
Maturare una ‘sana’ consapevolezza del rapporto fra l’uomo e la macchina, che non coincida con la ‘dipendenza’ da quest’ultima, piuttosto la concepisca come un
mero strumento per consentire lo sviluppo di una creatività intellettuale generativa di benessere per la collettività, è l’unica possibile soluzione d’approccio in un mondo sempre più digitale, in cui le sane relazioni fra le persone hanno giocato, giocano e giocheranno sempre un ruolo chiave.