CIO, da esperto di tecnologie a sviluppatore di relazioni
Non serve ricordare che siamo di fronte a un periodo di grande cambiamento guidato dall’estrema necessità di digitalizzare la maggior parte delle operation, nonché di sviluppare punti di contatto digitali con i clienti e di ottimizzare gran parte dei processi delle nostre imprese. L’Industria 4.0 è alle porte, le nostre aziende sono alla disperata ricerca di una dimensione organizzativa e di competenze che possa portarle ottimizzazione dei processi e allo sviluppo di nuovi modelli di business.
Alcuni anni fa, il CIO era una persona che riusciva a parlare di business con fatica; non era in grado di promuovere se stesso in un mondo in cui spesso veniva considerato come un costo. I dialoghi all’interno del team IT erano incomprensibili agli altri e, di fronte alle necessità del business, venivano sempre richiesta un’analisi, una serie di specifiche tecniche e, infine, una firma per poter iniziare lo sviluppo o l’acquisto di qualsiasi tipo di tecnologia. Inoltre, il ruolo del team IT nella fase di manutenzione subiva una specie di ombreggiatura da funzionamento.
Questo fenomeno sarà sicuramente capitato anche a voi: avveniva quando il vostro pc o il vostro apparecchio digitale si bloccavano, la Rete non funzionava, oppure avevate perso un file importante. L’effetto era immediato e i livelli di servizio, gli SLA, tutti i processi ITIL e quant’altro, se ne andavano in fumo in meno di cinque minuti. L’IT veniva ricordato solo quando qualche servizio non funzionava. La frase magica è sempre stata la stessa: “Hanno toccato qualcosa, prima funzionava!”.
I progetti ERP hanno trasformato l’IT in un costo
Nella parte di innovazione e di gestione progetti, a rincarare la dose sono arrivati i progetti colossali proposti e gestiti da alcune società di software, in particolar modo nell’area ERP, che quasi sempre hanno sviluppato risultati pesantemente fuori budget e scopo. Il Chaos Report del 2015 di Standish Group ha analizzato un campione enorme di progetti, più di 50mila, e ne ha verificato le prestazioni comparando ‘l’approccio agile’ a quello ‘tradizionale’. La fotografia che ne è uscita risulta drammatica: i progetti tradizionali per il 29% falliscono, per il 60% sono fuori tempo e/o fuori budget, mentre solo l’11% rispetta le tre dimensioni costo, tempo e contenuti. Gran parte, oserei dire la maggioranza, dei progetti ERP viene ancora gestita con metodologie tradizionali ‘waterfall’ dove le specifiche iniziali, i contenuti funzionali e tecnici, i costi e i rischi, vengono letteralmente ‘blindati’ fino alla fine del progetto. Inoltre, la fase di selezione del sistema ERP si basava nel 90% dei casi sull’analisi della copertura funzionale e non sulla simulazione dei processi core dell’azienda. Questo approccio, sperando che nella selezione si fosse utilizzato almeno un metodo, creava un evidente disaccoppiamento tra processi di business e performance effettive del sistema implementato. In alcuni casi, a condire questo fenomeno vi è stata la mancanza di verticalizzazione dei sistemi. Nati e sviluppati, per esempio, in ambiente bancario o assicurativo, venivano e vengono tutt’ora proposti ad aziende manifatturiere o di nicchia. La frase magica era del tipo: “È solo una questione di parametrizzazione”. L’immagine del CIO si è trasformata progressivamente da figura tecnologica e di riferimento a costo, a figura passiva, a creatore di complessità e, ancora peggio, a collo di bottiglia. Nel mondo delle PMI la situazione era ancora più tragica: l’IT manager, se riconosciuto come tale, viveva una condizione di paralisi e di immobilismo orientato alla protezione dei sistemi attuali, per quanto vetusti, anziché alla sua sopravvivenza psico-fisica.L’arrivo del CDO
Oggi assistiamo a una proliferazione di iniziative digitali capitanate dal CEO che ha capito che il più grande rischio della digitalizzazione è quello di non farla. Il risultato? Il CEO raramente assegna progetti di trasformazione digitale al CIO. In un rapporto del 2016 di NextValue si evince che l’83% del budget IT, in termini di spesa, viene utilizzato per mantenere i sistemi e solo il 17% ripartito a progetti di innovazione e nuovi progetti. Un viaggio così complesso e divergente rispetto alle esperienze passate può essere guidato solo da una persona che non necessariamente abbia una dimestichezza profonda con le tecnologie, una figura non contaminata dai tecnicismi, ma con una propensione alla gestione di team, una leadership forte e una gestione attenta dei vari stakeholder: il CDO. Il CDO, secondo Gartner, dovrebbe fare il suo ingresso ufficiale all’interno delle aziende principali proprio nel 2017 con una presenza pari al 50%. Sicuramente questa nuova figura non è ancora ben delineata. D’altro canto, le aziende sanno benissimo che averlo significa aver preso un impegno serio con i propri clienti nei confronti della digitalizzazione, come ha detto Carolyn Brown, CIO della Durham University: “Essere un CDO vuol dire fare esattamente quello che un buon CIO avrebbe sempre dovuto fare, ovvero mettere assieme business e tecnologie in modo da aiutare il business a fare un balzo in avanti”.La mia vita da CIO
Sono stato CIO per più di 15 anni e capisco molto bene cosa significa essere sotto pressione e gestire il rischio legato alla continuità. Ricordo ancora le attività di notte, nei weekend, il roll-out dell’ERP, 10 Paesi in 11 mesi e quando, alla fine di luglio 2012, il database del nostro sistema di produzione decise di fermarsi per 40 minuti. Sono momenti che non auguro a nessuno. Situazioni di stress al limite, ma che venivano compensati da uno spirito di squadra e di solidarietà che i miei colleghi dell’IT mi hanno fatto sempre sentire. Dal 2015 sono passato dal mondo dell’IT al mondo della supply chain e per questo amo definirmi ‘uomo di mezzo’. Che cosa sta succedendo all’interno della supply chain? Esattamente quello che tutti i CIO si aspettavano da anni: si parla la lingua dell’IT, si sviluppano progetti digitali e si investono tempo e risorse nell’Industria 4.0. Poter sfruttare l’esperienza progettuale e la velocità decisionale, che è propria del mondo software in ambito supply chain e operation, non può che rappresentare un vantaggio competitivo per tutta l’azienda. Ma allora, qual è la ricetta per trasformare il CIO da follower a leader di un cambiamento digitale che il mondo delle imprese sta urgentemente chiedendo? Non esiste una formula unica, ma una serie di dimensioni e approcci che potrebbero dare dei segnali importanti al management dell’azienda ed evitare la definitiva etichettatura di ‘tecnico IT’ che tutti cercano di evitare. È una forma di ‘de-digitalizzazione’ che non rinnega il passato, ma tende a elaborare e a indirizzare le energie verso approcci e metodi che alla lunga migliorerebbero oltre alla vita sociale dei CIO, le performance digitali delle aziende. L’articolo completo è stato pubblicato sul numero di Maggio 2017 di Sistemi&Impresa. Per leggere l’articolo completo – acquista la versione .pdf scrivendo a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434419)Enrico Pana è Group logistic manager di Dab Group
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