Bentivogli (Cisl): “Il 4.0 è una rivoluzione culturale e la tecnologia umanizza il lavoro”
“Il sindacato deve ammettere che la tecnologia non è un nemico; anzi è necessario che alla costruzione dei nuovi strumenti e processi di lavoro siano chiamati tutti a partecipare, persino i lavoratori, che non devono essere considerati numeri, bensì stakeholder dell’azienda”. È uno dei messaggi lanciati da Marco Bentivogli, Segretario Fim-Cisl durante la tappa di Milano di Fabbrica Futuro, l’evento organizzato dalla casa editrice ESTE sui temi della digitalizzazione e dell’innovazione che si è svolto il 7 febbraio 2018.
Secondo il sindacalista, “siamo immersi in una rivoluzione culturale” e non ha senso la “guerra tra tecnofobi e tecnottimisti”, tanto che ha invitato tutti gli attori a “deideologizzare il lavoro”. Con l’occasione è stato lanciato un monito anche a Confindustria, tra coloro che sulla vicenda dei braccialetti di Amazon si è schierata al fianco dei lavoratori: “Se dobbiamo fare un salto culturale, è necessario che tutti siano coinvolti: sindacato in testa, ma pure le associazioni datoriali e le aziende; altrimenti il rischio è che si continui a ragionare sul numero di pezzi prodotti all’ora, ma non è questo il tema da affrontare”.
A chi punta il dito contro la tecnologia accusandola di aver contribuito alla perdita di posti di lavoro, Bentivogli replica che “l’Italia ha perso posti di lavoro non a causa della tecnologia, bensì per la mancanza di investimenti in tecnologia”: “È grazie alla tecnologia che è stato possibile riportare nel nostro Paese alcuni stabilimenti produttivi e questo ne dimostra un impiego virtuoso”. Quindi il rappresentante di Fim-Cisl ha aggiunto: “Le persone sono felici se la tecnologia prende il loro posto nei lavori più pesanti e pericolosi; la tecnologia è quindi un’alleata per umanizzare il lavoro, in una dinamica all’interno della quale l’uomo deve orientarsi alle mansioni in cui la sua creatività è imbattibile”.
Quale dunque il ruolo del sindacato in questo scenario? “I rappresentanti dei lavoratori sono chiamati a essere competenti su questi temi, perché il sindacato deve preparare a non temere il futuro”. Stimolando nel contempo gli investimenti in formazione, “quella vera e concreta e non quella fatta sinora che è poco utile”, per tenere il passo di altri Paesi europei (vedi la Germania).
Proprio nel confronto con la Germania, sulla formazione l’Italia ha ancora un lungo lavoro da fare: “Al nostro Paese manca un sistema educativo che faccia rete, perché i vari soggetti – scuole, università, aziende, player di mercato – sono delle monadi e questo spiega i motivi per cui i Competence Center non hanno funzionato”.
Notizie positive, però, arrivano dagli Istituti Tecnici Superiori: nonostante da noi siano ancora poco frequentati (8mila ragazzi contro gli 800mila giovani in Germania), vantano un tasso medio di occupazione che sfiora l’80%. Tuttavia, Bentivogli suggerisce che è ora di “scegliere le priorità”, altrimenti il rischio è “perdere la sfida”: “Serve che la formazione derivi dall’attività di reskill che le aziende devono fare per orientare la formazione stessa”.
Sempre la Germania è considerata come esempio virtuoso per la contrattazione che tiene conto della produttività e dei bisogni delle persone: il segretario Fim-Cisl su questo punto ha ricordato l’importanza della “contrattazione di prossimità”. È di questi giorni l’accordo pilota tra gli imprenditori della regione tedesca occidentale del Baden-Württemberg e Ig Metall, il sindacato di categoria dei lavoratori del settore metallurgico ed elettrotecnico: l’accordo prevede, oltre agli aumenti salariali, anche la possibilità di ridurre l’orario lavorativo da 35 a 28 ore per un periodo dai sei mesi ai due anni.
“Con l’introduzione delle tecnologie i tempi di lavoro e di riposo si confondono; le aziende che hanno introdotto lo Smart working, progetto che consente di conciliare vita privata e vita lavorativa, hanno migliorato i tassi di produttività”. E per rimarcare il concetto, Bentivogli ha aggiunto: “Se i lavoratori conciliano bene questi tempi, allora si dimostrano più produttivi”.
Il sindacalista si è infine scagliato contro quella visione arrivata da Oltreoceano secondo cui nel futuro lavorerà appena il 10% della popolazione, mentre il restante 90% vivrà grazie al reddito di cittadinanza. “A parte che sarebbe un modello insostenibile economicamente”, ha attaccato Bentivogli, “si tratterebbe di un mondo senza etica, perché il 90% dell’umanità sarebbe estromesso”. La soluzione? “Giocare d’anticipo e accettare le sfide del 4.0”.
Dario Colombo, laureato in Scienze della Comunicazione e Sociologia presso l’Università degli Studi di Milano, è caporedattore della casa editrice Este. Giornalista professionista, ha maturato esperienze lavorative all’ufficio centrale del quotidiano online Lettera43.it dove si è occupato di Economia e Politica, e nell’ufficio stampa del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.
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