Aurora, l’artigianalità incontra la tecnologia
Alla periferia di Torino, sul confine con Settimo Torinese e San Mauro sorge l’Abbadia di Stura, un imponente complesso religioso appartenuto all’ordine benedettino le cui origini risalgono al 1146. Oggi la struttura – che comprendeva la chiesa (la torre campanaria era alta 24 metri), le strutture ospedaliere e quelle di accoglienza per i pellegrini, oltre alle cascine e ai mulini – resiste al tempo, ma è stata ‘inglobata’ nell’area industriale che ora la circonda. È proprio alle spalle dell’Abbadia (in quella che nello scorso secolo era conosciuta come la “Pen Valley”) che si trova, in un’ex filanda, lo stabilimento Aurora.
Ad accogliere i visitatori c’è un cancello con affisso un grande pennino, simbolo di un’azienda leader nella produzione e commercializzazione di strumenti di scrittura, fine pelletteria, orologi e carta; al di sopra dell’entrata svetta un’imponente bandiera italiana che svolazza placida, smossa da un soffio di vento caldo di una delle estati più torride che ci si ricordi.
A guidare Aurora è Cesare Verona, quarto esponente della famiglia a essere coinvolto nel mondo della scrittura, che ha preso in mano le redini dell’azienda dal padre Franco. La fondazione, però, si deve a Isaia Levi, noto imprenditore, che nel 1919 creò nel cuore di Torino l’azienda produttrice della prima vera stilografica italiana: quella sede venne poi distrutta dai bombardamenti durante la Seconda Guerra mondiale e nel 1943, grazie anche all’entrata in scena di Giuseppe Enriques, nipote del fondatore, venne deciso lo spostamento a ridosso dell’Abbadia di Stura, negli edifici della filanda settecentesca che ora ospitano direzione, uffici, produzione e il museo (Officina della Scrittura), altra particolarità di un’impresa unica nel suo genere. Che proprio dalla sua storia – costellata pure dalle collaborazioni con designer del calibro di Marcello Nizzoli (creatore del modello ‘88’ e qualche anno dopo della Olivetti Lettera 22) e Marco Zanuso, padre dell’Hastil, primo strumento di scrittura a essere esposto al Moma di New York – ha saputo rilanciarsi, nonostante la spietata concorrenza degli strumenti digitali. Anzi, il digitale è una componente non secondaria per l’organizzazione che ha saputo coniugare artigianalità e tecnologia. Ma non ci si stupisca se Verona nel suo ufficio non ha un pc: “C’è la testa che funziona più di un computer”.
Azienda ridisegnata nel 2011
L’artefice della ‘nuova vita’ di Aurora è appunto l’ultimo dei Verona, figura estremamente carismatica in grado di accoglierci in una frenetica giornata di lavoro – iniziata come da copione ben prima dell’arrivo dei collaboratori – caratterizzata anche da un suo incontro con tutti i dipendenti. “Ho preso in mano l’azienda nel 2011, quando mio padre a oltre 80 anni ha deciso di ritirarsi”, spiega Verona che ha rilevato tutte le quote, comprese quelle che Franco aveva acquistato dalla famiglia Enriques. E sei anni fa ha “ribaltato” l’organizzazione, ridisegnando ogni aspetto, secondo un piano strategico che si è rivelato di successo. “Per prima cosa abbiamo riportato al piano terra tutta la produzione che prima si suddivideva sui quattro piani dell’ex filanda (due erano interrati, ndr), liberando ben 2.500 metri quadrati che oggi sono riservati al museo”, racconta l’Amministratore Delegato di Aurora. Che, tra le prime azioni che portano la sua firma, ha fatto issare il vessillo tricolore sul portone di ingresso, per ribadire l’anima profondamente italiana dell’azienda e dei suoi prodotti: “È un simbolo che svela la nostra opposizione all’esternalizzazione, strategia che oggi si dimostra corretta a fronte del fenomeno di reshoring cui stiamo assistendo”, puntualizza il manager. Poi è stato deciso di utilizzare un edificio che un tempo – quando tutto si concentrava sulla produzione – era quasi dimenticato: ospita gli uffici direttivi ed è stato dipinto con il colore nero, “quel-lo dell’inchiostro”, perché tutto in Aurora fa parte di un lungo storytelling sul tema della scrittura e del segno che si ‘apprende’ osservando ogni angolo dell’impresa. A confermare la bontà delle decisioni di Verona sono soprattutto i numeri di un’azienda che conta una cinquantina di dipendenti e che fattura circa 10 milioni di euro (l’export annuale pesa per il 68%, di cui appena il 20% in Europa): “Il dato che ci rende unici è quello relativo all’Ebitda arrivato al 30% dopo essere ripartiti nel 2011 da una situazione negativa e con un mercato estero che valeva solo il 3%”. Cifre che “impressionano” i clienti, anche quelli che l’AD ha appena incontrato prima di guidarci nel cuore dell’azienda.Equilibrio tra tradizione e innovazione
Il racconto di Aurora si snoda partendo proprio dal centro dello stabilimento: il ‘cortile’ su cui si affaccia ogni ufficio, dalla direzione alla produzione, passando dal reparto di sviluppo fino al museo. È qui che a scandire la giornata suona la sirena, uno strumento quasi in disuso persino nelle manifatture, ma che evidenzia l’attenzione nel promuovere una produzione che nel corso del tempo – pur aggiornandosi – è rimasta fedele alla tradizione. “Nella ristrutturazione ho voluto coniugare l’idea del pensare e del fare; questo spiega perché produzione e progettazione sono vicine”, spiega Verona muovendosi rapidamente per assicurarsi che non ci sfugga nessun particolare di un’azienda riconosciuta e apprezzata a livello mondiale in oltre 50 Paesi del mondo. Il ‘tour’ inizia proprio dal reparto di prototipazione – “Qui facciamo la prototipia proprio come un tempo”, ammette l’AD – da dove nascono i prodotti Aurora, che nel corso della sua storia ha guidato l’evoluzione degli strumenti di scrittura, sapendo però mantenere sempre l’equilibrio tra innovazione e tradizione, e creando oggetti con caratteristiche uniche. Infatti, le fasi produttive sono condotte con tecnologie computerizzate e si affiancano a lavorazioni realizzate con le tecniche tipiche della tradizione orafa. E questo lo si vede perfettamente entrando in produzione: seguiamo Verona che con la massima precisione ci tiene a illustrare ogni passaggio della creazione dei prodotti, che prende il via da “elementi grezzi” già controllati per assicurare la massima qualità lungo tutta la filiera. “A ogni operatore è delegato il controllo della qualità, che avviene già a bordo macchina”, ci tiene a precisare Verona, che racconta come “i cambi macchina sono attrezzati per essere più rapidi”. Mentre proseguiamo la visita, qualche operaio è ancora al lavoro: gli altri aspettano l’AD di Aurora nella sala convegni perché di lì a poco dovrà dare un’importante comunicazione a tutta l’azienda sul tema welfare aziendale. L’occasione ci permette quindi di avvicinarci senza fatica a strumenti e persone che stanno ultimando i loro compiti prima di raggiungere i colleghi.Protagonisti dell’Industria 4.0
A ‘sorpresa’ spuntano, tra gli addetti impegnati al lavoro, alcuni device digitali, che, ci spiega Verona, “permettono agli addetti di scaricare le operazioni da compiere”. Il flusso di lavoro, infatti, è gestito dall’ERP e con l’ausilio della tecnologia la storica manifattura si è proiettata nella quarta rivoluzione industriale, senza tuttavia snaturare la propria peculiarità di prodotti realizzati a mano con la passione per la bellezza e lo stile, unite alla cura per la qualità sin nei minimi dettagli. L’esempio, insomma, di come tradizione e tecnologia possano coesistere. Tanto che Verona non nasconde la vittoria di un bando proprio sulla Fabbrica Intelligente 4.0 per l’utilizzo di nuove macchine digitali: “Nel prossimo futuro abbiamo intenzione di dotarci di wearable device con sistemi IoT che ci permettano nuovi efficientamenti. E sempre utilizzando la tecnologia IoT vogliamo introdurre i dispositivi digitali negli astucci dei nostri prodotti per dare maggiori informazioni al cliente, offrendo un continuo storytelling che permetta di far proseguire l’emozione dell’acquisto”. La chiara evidenza di come passato e futuro possano conciliarsi la si percepisce nella zona dove nascono i celebri pennini Aurora: qui non passa inosservato un banco di scuola da museo con tavolo e seduta integrati e ovviamente l’incavo per l’inchiostro dove intingere i pennini. È un ‘banco prova’ dove si possono testare i vari prodotti, che ovviamente hanno peculiarità uniche e che permettono di personalizzare al massimo la propria penna. “Il nostro è come un abito su misura”, sorride Verona, mentre l’artigiano Filippo Nib Master di Aurora, dopo aver mostrato i pennini, ne dimostra l’utilizzo disegnando linee ora morbide e affusolate e ora dure e sottili. “Offriamo la massima personalizzazione del prodotto, scegliendo materiali e metalli pregiati che conferiscono a ogni penna il valore di un vero e proprio gioiello”. Tra i clienti di Aurora c’è addirittura Papa Francesco: per il Pontefice è stata creata una penna con un cappuccio che ripropone lo stemma pontificio di Jorge Mario Bergoglio. A chiudere il processo di lavoro c’è il servizio (interno) di riparazioni e la spedizione. Il magazzino è già stato oggetto recentemente di una particolare ristrutturazione che lo ha snellito in modo imponente: dalle precedenti 13mila penne oggi ce ne sono appena 200. “È un magazzino lean”, precisa Verona.Lo Storytelling della scrittura
La vera svolta di Aurora, tuttavia, non è solo nella nuova organizzazione degli spazi e nell’introduzione della tecnologia in produzione. Certo, la strategia dell’ultimo rappresentante dei Verona è chiara, tanto che nello stabilimento è appeso più di una volta l’organigramma, oltre al codice etico e ai messaggi sulla sicurezza (“Ho voluto personalmente l’installazione di un defibrillatore”, dice l’AD): il cambiamento è rappresentato da Officina della Scrittura, il museo situato al primo piano della manifattura che da una parte conserva la memoria della cultura e delle vicende di un’azienda storica per il territorio e per il Paese e dall’altro racconta le tracce del segno dell’uomo, dalla pittura rupestre alla performance di arte contemporanea attraverso la scrittura e i suoi strumenti. “Abbiamo recuperato il nostro heritage, ridando ‘vita’ a 4mila penne e circa 200 oggetti antichi che pubblicizzano il marchio Aurora e che giacevano quasi ‘dimenticati’ nei magazzini”, illustra Verona indicando le pareti dove è appesa la storia dell’azienda. D’altra parte per raccontare la storia di un’impresa quasi centenaria non basta una fredda brochure: Aurora è nata nell’anno della Pace di Versailles in un’Italia che, nonostante la crisi post bellica, era percorsa da grande speranza e da forte desiderio di ripresa, e l’azienda coincise proprio con quel nuovo corso storico. E il nome “Aurora” è proprio la metafora di un Paese che si stava risvegliando. Per svelare questa storia e i successivi sviluppi, nel 2004 Verona ha creato l’associazione Aurea Signa, con l’obiettivo di promuovere l’arte della lettura, della scrittura e dei suoi strumenti. Il passo per la realizzazione di Officina della Scrittura è stato breve, anche se impegnativo: solo a ottobre 2016 è stato completato l’allestimento museale, dopo che qualche anno prima la mostra dal titolo Penne, inchiostro e calamaio organizzata nel Palazzo Bricherasio di Torino aveva riscosso grande interesse. “Il polo museale ha previsto un investimento di 8 milioni”, racconta Verona che ci guida all’interno dell’allestimento dove un tempo c’era il reparto di montaggio. “Per realizzarlo la produzione non si è mai interrotta”, spiega l’AD di Aurora. E la fine dei lavori è stata celebrata con ben tre ‘inaugurazioni’: una dedicata ai dipendenti, una per le autorità e la stampa e infine l’ultima per i diversi stakeholder. Oggi è un luogo aperto al pubblico che ha finora ospitato circa 10mila visitatori. “L’obiettivo era riportare alla luce e mettere in mostra un insieme di documenti capaci di raccontare usi, costumi, mode e tendenze di un’Italia in continua evoluzione e alla costante ricerca di una propria eccellenza culturale, letteraria e artistica”, chiarisce Verona.Quasi un secolo di Storia
All’interno de Officina della Scrittura non ci sono solo i prodotti Aurora: anzi, il racconto inizia dalla storia di un altro Cesare Verona – il bisnonno – che fu l’agente unico per l’Italia della Remington, l’azienda americana di macchine per scrivere, diventando il primo a portare nel nostro Paese uno strumento che Olivetti produrrà e commercializzerà solo 40 anni dopo. Se la collezione di Remington accoglie il visitatore a piano terra, è al primo piano che inizia il racconto con un plastico dell’azienda nel complesso dell’Abbadia di Stura. “Il museo è impostato con un linguaggio contemporaneo con ampio uso degli strumenti digitali”, fa notare Verona, a dimostrazione che la tecnologia può essere un supporto e non un ‘nemico’. Nell’esposizione ci si addentra nella storia dei sistemi della scrittura iniziando dai geroglifici e dai segni più antichi, per poi arrivare all’utilizzo di strumenti come lo stiletto. Sono tutti passaggi fondamentali per arrivare alla stilografica che fa la sua apparizione solo alla fine del Settecento, anche se quella da noi conosciuta risale all’Ottocento: “Il problema riguardava la portabilità, perché all’inizio la stilografica aveva bisogno di un calamaio e quindi era legata al tavolo”. L’inventore della prima vera stilografica fu Lewis Waterman, un assicuratore americano che – secondo quanto si dice – dopo aver macchiato di inchiostro un contratto per un malfunzionamento della penna, studiò una soluzione al problema ideando un meccanismo per regolare l’afflusso di inchiostro al pennino: in questo modo era più semplice apporre la firma sui contratti assicurativi e i clienti non avevano neppure il tempo di ripensarci non dovendo intingere la penna nell’inchiostro. Il museo illustra poi l’introduzione – dagli Anni 40 – della penna a sfera e l’allestimento propone una vasta varietà di prodotti, tra cui l’Aurora ‘88’ di Nizzoli – “Ne sono state vendute 8 milioni” – e l’Hastil di Zanuso. “Mio padre voleva creare una penna che desse l’idea della modernità, riproducendo un cilindro perfetto”, dice Verona. Si racconta che il designer si presentò da Franco Verona con un cilindro realizzato in carta stagnola: “Il problema fu l’ingegnerizzazione del progetto”. Tra le (tante) storie narrate in Officina della Scrittura c’è il racconto del Novecento attraverso i prodotti Aurora, tra cui la penna che, si dice, sia stata utilizzata per firmare i Patti Lateranensi, oppure la Stilografica Etiopia con la carica a inchiostro a grani che si sciolgono con poche gocce d’acqua. Infine, l’ultima parte del museo è riservata all’Atelier dei mestieri, un Fablab allestito con macchinari storici ancora perfettamente funzionanti e che, su richiesta, possono essere utilizzati. “Tra i nostri obiettivi c’è infatti la formazione degli artigiani del futuro: è un centro di didattica per i giovani talenti con ricadute sul mercato del lavoro e sul territorio”. Questa è Aurora all’alba del suo centesimo anno d’età, un’azienda in eterno movimento, guidata da un imprenditore che mentre si prepara a festeggiare il centenario dell’organizzazione, confessa: “Adesso dobbiamo proiettarci nel futuro per costruire i prossimi 100 anni”.Dario Colombo, laureato in Scienze della Comunicazione e Sociologia presso l’Università degli Studi di Milano, è caporedattore della casa editrice Este. Giornalista professionista, ha maturato esperienze lavorative all’ufficio centrale del quotidiano online Lettera43.it dove si è occupato di Economia e Politica, e nell’ufficio stampa del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.
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