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Artigianalità e produzione industriale, il Made in Italy di Surgital

A svettare sullo skyline tra le casette basse e i campi agricoli di Lavezzola è il magazzino di stoccaggio: alto 45 metri, con una capienza di 14mila posti pallet a -20 gradi di temperatura, dal 2015 – anno della sua inaugurazione – è uno dei simboli (oltre che cuore) di Surgital, azienda produttrice di pasta fresca surgelata, piatti pronti surgelati e sughi in pepite surgelati per la ristorazione, catering e canale bar. Siamo nel Ravennate, a circa 30 chilometri da Imola e a meno di un’ora dal mare di Ravenna: è il “regno della pasta fresca italiana”, così come è stato scritto sulla porta che dal museo aziendale conduce alla produzione. Una volta era un piccolo laboratorio artigianale, ma, nel tempo, è si è arrivati all’attuale dimensione di 35mila metri quadri, che ospitano 34 linee produttive, sulle quali lavorano circa 350 persone (il 50% sono donne) delle oltre 500 a livello di gruppo, composto da Surgital France Sarl, Surgital America Inc e Ca’ Pelletti Retail.

Presente in oltre 60 Paesi nel mondo con i suoi prodotti – Laboratorio Tortellini, Divine Creazioni, Sugosi, Fiordiprimi, Pastasì Soluzioni Express, Prontosfoglia, Pastificio Bacchini – Surgital ha chiuso il 2023 con un fatturato di oltre 123 milioni di Euro (76% Horeca e 24% Private label e Grande distribuzione organizzata), ma l’obiettivo è di arrivare a 125 milioni nel 2024 e a 150 nel 2025, magari invertendo i numeri legati all’export (oggi vale poco meno del 50%). Un traguardo impossibile? Non per un’azienda guidata da una imprenditrice (e dalla sua famiglia) che ogni qualvolta che deve raggiungere un obiettivo, ripete il suo mantra: “Se sono andati sulla Luna, anche noi possiamo arrivare dove vogliamo”.

L’ossessione per la qualità

Romana Tamburini – per tutta l’azienda è semplicemente “Romana”, proprio come è scritto sul camice bianco che indossa come una seconda pelle – sa bene quel che dice: se le aziende tech hanno i loro garage, le nostre imprese sono spesso nate da un piccolo laboratorio. È anche il caso di Surgital, che prima di assumere questa denominazione nel 1996 (il nome è la crasi tra “surgelati” e “Italia”) era Laboratorio artigianale tortellini (Lat). L’idea alla Presidente è datata 1980: all’epoca Tamburini era una ‘sfoglina’ – così erano chiamate le lavoratrici addette alla preparazione della pasta sfoglia – alle dipendenze del Pastificio Bacchini, nei pressi di Lavezzola. “È stata la mia scuola per conoscere le materie prime, come la semola e le uova”, ricorda l’imprenditrice, accogliendoci in azienda in una torrida giornata d’estate.

La chiacchierata avviene nella sala ‘Fiocchetti’ – tutte le stanze sono battezzate con un nome di pasta – nel giorno in cui Tamburini è tornata da una delle sue brevi e rare vacanze. In questa stanza, lontani dalla produzione, già si percepisce uno dei segreti di Surgital. “La nostra mission è la qualità, che non vuol dire solo realizzare un buon tortellino, ma significa anche avere cura degli ambienti di lavoro, come il giardino e le sale riunioni, e offrire un’adeguata accoglienza alla reception”. E infatti, nella sala riunioni c’è un cartello che non sfugge alla vista e suggerisce qualche buona regola per realizzare incontri efficaci: sono indicazioni di ‘buon senso’, ma danno la cifra dell’organizzazione, che funziona perché si condivide una cultura. In questo rientrano pure i sorrisi delle persone in azienda – a partire dall’accoglienza – che possono fare la differenza: “Per fare dei buoni tortellini non basta usare buoni prodotti”, aggiunge Tamburini.

L’artigianalità l’industrializzazione

Andiamo con ordine e torniamo a 44 anni fa, quando tutto è iniziato. L’esperienza di Tamburini come dipendente durò poco, perché lo “spirito libero” dell’imprenditrice la spinse a mettersi in proprio, seguita da qualche collega del pastificio. “Se decido di partire, qualcosa facciamo”, diceva alle persone che la seguirono: iniziava a indicare la Luna, non sapendo come l’avrebbe raggiunta, ma riusciva a convincere chi le stava vicino.

D’altra parte la sua idea divenne rivoluzionaria per l’epoca: dopo aver iniziato a produrre e commercializzare la pasta fresca (in particolare garganelli, tortellini e ravioli), le venne l’intuizione di surgelarla quando i volumi cominciarono ad aumentare. Era quasi un azzardo farlo nel Paese ossessionato dall’alimentazione, forse pure qualcosa di più se si pensa che tutto stesse avvenendo nella culla del cibo per eccellenza. “All’inizio c’era molto scetticismo, ma poi abbiamo conquistato la nostra credibilità”, ricorda Tamburini.

Per farlo c’è stato bisogno di “insistenza, amore e perseveranza a non mollare mai”: una volta realizzati i prodotti, lei stessa li proponeva ai ristoratori della zona, girovagando con la sua Fiat 500 rossa. Il processo di produzione era semplice: la pasta era realizzata nel laboratorio di appena 45 metri quadrati, poi era trasportata nella cella frigorifera che, per ragioni di spazio, era stata installata nella casa del padre di Tamburini. Ad affiancare l’imprenditrice c’era già allora Edoardo Bacchini, figlio del proprietario del Pastificio Bacchini, che fu tra i primi a credere nel progetto, proponendo di puntare sul processo di surgelazione; e ancora oggi è in azienda, con il ruolo di Amministratore Delegato e si occupa in particolare degli aspetti amministrativi (“Uno dei nostri segreti, oltre alla qualità, è che siamo un’azienda davvero ben gestita e realizziamo piani triennali”).

È di Bacchini l’idea di realizzare la prima macchina per produrre la pasta e che ha permesso all’azienda di muovere i primi passi verso l’industrializzazione. Ma sempre senza perdere l’artigianalità, perché i macchinari sono in grado di replicare l’attività manuale delle sfogline: “Abbiamo insegnato alle macchine a lavorare come si faceva un tempo”, commenta Tamburini. Oggi quei macchinari – da quello movimentato a mano per realizzare i garganelli fino a quello motorizzato e poi automatizzato – sono visibili nel museo aziendale. Qui ci sono anche due celle frigorifere: una di queste è quella da cui ha preso avvio l’impresa e ancora oggi funziona, assicurando la temperatura a -18 gradi, ma non ospita più la produzione aziendale, perché per questa c’è il ‘cubo’.

L’articolo è pubblicato sul numero di Luglio/Agosto/Settembre 2024 di Sistemi&Impresa.
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Dario Colombo

Dario Colombo, laureato in Scienze della Comunicazione e Sociologia presso l’Università degli Studi di Milano, è caporedattore della casa editrice Este. Giornalista professionista, ha maturato esperienze lavorative all’ufficio centrale del quotidiano online Lettera43.it dove si è occupato di Economia e Politica, e nell’ufficio stampa del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.