Supply Chain ad alto valore e a basso impatto ambientale
I nuovi modelli di consumo stanno modificando per sempre le logiche di funzionamento delle catene di fornitura, da una parte sempre più globali, dall’altra più aderenti a prodotti sostenibili e altamente personalizzabili
Con l’emergere di modelli di consumo non convenzionali, più responsabili e più sostenibili, quello a cui assistiamo è un fenomeno fino a oggi mai osservato: la partecipazione attiva dei clienti nella trasformazione della catena di valore nei processi di produzione e Supply Chain.
Il consumatore moderno preferisce comprare prodotti più personalizzati rispetto a una volta, prodotti che lo mettono al centro delle strategie di un’azienda e che lo vedono collaborare al suo fianco per raggiungere obiettivi comuni: sprecare meno risorse. Dalla parte del consumatore il principio è di ordine etico, da parte dell’azienda di ordine economico. I due obiettivi oggi si incontrano in un nuovo modello di consumo.
Stiamo assistendo a una metamorfosi: i nuovi modelli di consumo impongono il ripensamento dei modelli di produzione e, i nuovi modelli di produzione e distribuzione obbligano a un ridisegno dei modelli di trasporto e logistica.
“Da questa trasformazione – spiega Roberto Pinto, Responsabile ricerca per l’area Supply Chain Management presso il CELS, e membro del comitato scientifico del progetto Fabbrica Futuro – nascono a loro volta nuove esigenze da parte di clienti e produttori, come l’incremento della qualità nel servizio, l’aumento delle dimensioni da governare (offerta, tempi di consegna, sostenibilità ambientale). Ma aumentano anche le pressioni dall’esterno, come la riduzione del ciclo di vita del prodotto, la volatilità della domanda e la variabilità della normativa che cambia nel tempo e nello spazio geografico”.
Di fronte a tutti questi cambiamenti la domanda che si pone è: come questi elementi impattano sull’identità della Supply Chain? Quali sono le nuove competenze richieste a un moderno Supply Chain manager per il governo di questa crescente complessità? Quali opportunità per le PMI? Le piccole e medie imprese possono emergere in questa nuova competizione?
In quali ambiti è necessario sviluppare e acquisire le competenze chiave? quali sono le conoscenze necessarie per le imprese per massimizzare il contributo della funzione SCM per l’organizzazione? Quali sono le nuove leve determinanti dell’eccellenza? Che ruolo ha la formazione continua? Ha senso parlare di ricerca e innovazione nel SCM?
Prima leva: la serivitizzazione
La multicanalità è riconosciuta da qualche anno come la nuova filosofia distributiva per le aziende del manufacturing. On line e off line convivono in un mercato dove le abitudini di consumo e la velocità di recapito della merce sono i nuovi driver del business. Gli ordini si fanno su internet e poi si va in negozio o si sta comodamente in casa ad aspettare la merce.
In un contesto dove ciò che è accaduto ieri, con molta probabilità domani non sarà più lo stesso, si rende necessario affrontare con i giusti strumenti teorici il cambiamento di una Supply Chain sempre più camaleontica.
Alcune leve emergono come preponderanti nella gestione della moderna Supply Chain. Tra queste c’è il fenomeno della servitizzazione. Senza servizio oggi non esiste nemmeno il prodotto. Si può produrre il miglior prodotto sul mercato ma, senza un ecosistema di servizi a esso correlato quel prodotto rimarrà invenduto.
In quest’ottica diverse realtà hanno da tempo sperimentato vere e proprie forme di fornitura innovative che spostano il focus dal possesso del bene al suo utilizzo. Significativo a riguardo l’esempio di Xerox che, dalla produzione di macchine fotocopiatrice oggi è diventata la ‘document company’. Per il principio della servitizzazione del prodotto, Xerox richiede una quota di noleggio della macchina in base al numero di copie stampate.
Altro esempio eloquente è quello di Rolls Royce, la prestigiosa casa di automobili britannica produttrice anche di motori per aeromobili. L’azienda ha da tempo cambiato modello di business passando dalla vendita di interi motori per il settore aerospaziale al noleggio di potenza erogata (modello chiamato ‘power by the hour’).
Seconda leva: la gestione del rischio
Tanto più le aziende sono globali, tanto più sono a rischio su mercati dall’andamento incerto, guidati da una domanda sempre più volatile.
La maggior parte delle organizzazioni – soprattutto in Italia – si interessa alla gestione del rischio nella Supply Chain solo all’indomani di un avvenimento che ha impattato in modo negativo sul business dell’intera filiera. In altri contesti invece la gestione del rischio è proattiva e vede in prima fila le aziende nella pianificazione di interventi volti a tutelare la catena di fornitura.
“Le aziende devono progettare un piano di intervento cercando di identificare i rischi effettivi – raccomanda Pinto –. È necessario pianificare quelle azioni necessarie a mitigare o ridurre al minimo l’effetto di questi rischi: dalla decisione sul numero di fornitori coinvolti a quella sul numero di scorte che si decide di tenere in magazzino”. “La gestione del rischio dovrebbe essere approcciata in un’ottica di processo piuttosto che limitarsi a un intervento predisposto all’occorrenza”.
Terza leva: la tecnologia
Altra leva strategica da governare è quella tecnologica. Tra le tecnologie emergenti sono due quelle che si stanno rivelando strategiche per l’industria manifatturiera: l’RFID, che regola con radiofrequenze il flusso di merci all’interno dei magazzini, e l’additive manufacturing (stampa 3D), che promette oggi di ottenere produzioni particolarmente complesse, difficili da riprodurre con altri tipi di tecnologia. Il concetto di 3D Printing non è nuovo. L’utilizzo che si potrà fare in futuro delle stampanti 3D aiuterà nella progettazione di nuove fabbriche ‘urbane’. Fabbriche lontane dal vecchio modello tayolorista e fordista, che assomiglieranno di più a piccoli laboratori che apriranno le porte a nuove economie di scala basate sulla produzione di beni sempre più personalizzati, costruiti con materiali nuovi e in produzioni limitate.
“Il 3D Printing si andrà così a integrare in un contesto dove sarà accessibile a tutti la personalizzazione di un prodotto manifatturiero (mass customization)” commenta Roberto Pinto.
La nuova fabbrica urbana teorizzata dal modello del 3D Manufacturing ha in un certo senso tutte carte in regola per presentarsi come la vera ‘fabbrica del futuro’: “dimentichiamoci i vecchi stabilimenti rumorosi, grandi, inquinanti, segregati per loro natura ai margini delle città – continua Pinto –, e immaginiamo un nuovo spazio urbano dove si produrranno in laboratorio prodotti altamente personalizzati con un grado di precisione elevatissimo. Le nuove fabbriche saranno locali, più piccole di quelle odierne, più sostenibili. Si andrà così incontro a nuovi modelli di produzione e distribuzione. Quale sarà quello vincente è ancora difficile da definire”.
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