La politica scolastica deve essere collegata alla politica industriale
Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) ha recentemente reso pubblico un documento denominato Made in Italy 2030, meglio indicato come il Libro Verde sulla politica industriale del Paese. Con questa iniziativa, il Ministero indicato apre una consultazione pubblica che, attraverso gli Stati Generali dell’Industria, porterà il nostro Governo alla definizione di un Libro Bianco sulla Strategia Industriale per il Paese, già dal prossimo febbraio 2025.
Nella lettura del Libro Verde, dopo aver preso piena consapevolezza di quanto è scritto nel rapporto Draghi sulla competitività dell’Europa, ci rendiamo conto che la politica economica industriale di un Paese manifatturiero importante come l’Italia è assolutamente vitale per il futuro economico e per mantenere il suo welfare. Quindi, la politica scolastica che ne consegue, intendendo soprattutto l’istruzione tecnica e professionale a servizio del sistema economico e sociale del Paese, deve essere coerentemente collegata a quella industriale e in qualche modo, almeno nei metodi progettuali, le due politiche devono viaggiare assieme.
Questo non significa affermare solo che “la scuola e le aziende si devono parlare tra loro”, come spesso con molta semplificazione si sostiene. Chi della scuola e chi delle aziende dovrebbero attivare questa comunicazione e con quali grammatiche, quali linguaggi e quali capitolati? Ne ho scritto nel libro Ricostruire l’istruzione tecnica. Occorre invece disporre e partire dapprima da una visione lunga e anticipatrice, che significa conoscere dove il Paese, con la sua politica nazionale collegata strettamente a quella europea vorrà o dovrà o potrà indirizzare l’economia industriale e quindi la crescita e lo sviluppo delle imprese, ancorato a una solida politica dell’employability collegata al welfare che vorremmo attenderci. Attenzione però, che con riforme frettolose, fatte anche in condizioni di emergenza, non si corra il rischio di ‘mettere il carro davanti ai buoi’.
Il Libro Verde parla di politica industriale ad ampio spettro
Sempre il Libro Verde ci indica i molti errori commessi nel passato, che hanno portato spesso il nostro sistema industriale ad una navigazione a vista, senza nessun indirizzo strategico, ma beneficiando dello stellone delle nostre imprese. Leggiamo infatti che: “la politica industriale è certamente stata il grande assente nel dibattito sulle politiche pubbliche negli ultimi decenni soprattutto nel contesto del recupero di competitività del Paese”. Su questa affermazione mi sento però di dissentire perché così non è stato in occasione del Piano Industry 4.0.
Nel documento è scritto ancora che: “la politica industriale è scomparsa dai radar delle politiche pubbliche e che è mancata una visione strategica complessiva” e che oggi” è necessario disporre di una nuova politica industriale che deve essere necessariamente una politica ad ampio spettro”, intendendo che” deve essere attivata in maniera coordinata e combinata con altre politiche svolte tra più ministeri e agenzie pubbliche congiuntamente, e che solo tale carattere olistico e l’integrazione dell’azione amministrativa possono fornire le soluzioni comuni necessarie ad affrontare problemi complessi di natura globale”. Visione olistica e integrazione sono termini ricorrenti nello scritto, che dovrebbero essere fatti propri anche dalla scuola nella definizione delle sue riforme e che nello stesso tempo dovrebbe prendere in considerazione il Libro Verde e poi il Libro Bianco sulla nuova strategia industriale e farne un buon uso.
L’istruzione tecnica è considerata un percorso di ‘serie B’
Lo stato attuale dell’istruzione tecnica e professionale, ridotto nella percezione comune a percorsi scolastici considerati di serie B e serie C, e il grave disallineamento tra la domanda di tecnici espressa dalle aziende e l’offerta quantitativa e qualitativa dei profili usciti dalla scuola, sono l’esito delle criticità prima evidenziate. Tutto è stato frutto di riforme precedenti errate o incomplete, scollegate dalla conoscenza della realtà industriale, in “mancanza di una visione olistica e dell’integrazione”. L’assenza di una chiara politica industriale, soprattutto nel contesto dell’economia globale, non ha permesso agli attori delle politiche scolastiche di conoscere l’importanza del settore manifatturiero, la sua evoluzione nel tempo, così come la conoscenza delle professioni tecniche e della loro evoluzione, per superare gli stereotipi del passato ai quali ci si era fermati, che le consideravano solo come mestieri sporchi, pesanti e mal retribuiti.
Insomma, il mondo stava cambiano ed è cambiato e non ce ne siamo accorti. Oggi dobbiamo correre ai ripari con affanno, evitando di pensare di avere già in tasca la ricetta giusta. In questi progetti di cambiamento epocali bisogna evitare le semplificazioni, le scorciatoie, la ricerca di ricette miracolistiche, le certezze, ma farsi accompagnare dai dubbi che potrebbero essere progressivamente rimossi attivando un’ampia consultazione coinvolgente le migliori expertise.
La lettura del Libro Verde stimolerebbe molte altre riflessioni, anche evidenziando alcuni passaggi non sempre convincenti e non sempre sufficientemente approfonditi, sui quali si può dissentire, o altri argomenti completamente disattesi. Il capitolo sul capitale umano necessiterebbe di essere integrato con osservazioni e valutazione più approfondite. Ci aspettiamo che si provvederà a colmare le lacune, dopo le consultazioni e gli Stati Generali dell’Industria, con il Libro Bianco definitivo.
Il settore manifatturiero italiano non è tutto Made in Italy
Osservando ancora il collegamento con il mondo della scuola c’è d’aggiungere qualche altra osservazione. Per chi conosce il nostro settore manifatturiero e quindi la nostra industria, il Libro Verde evidenzia una eccessiva e inutile enfatizzazione del marchio Made in Italy, inducendo un po’ di confusione sull’argomento, quasi che tutto il settore manifatturiero italiano fosse rappresentabile con il Made in italy. Così non è.
Oltre a questo, nel documento si indica, però, che la parte preponderante del Made in Italy è il settore della meccanica strumentale. Si tratta, come ho scritto più volte, di quel settore economico che produce il cosiddetto machinery industriale, inteso come l’insieme di macchinari e impianti produttivi, necessari a produrre beni in una vasta gamma di settori economici. Tra l’altro, questo particolare e importante segmento produttivo corregge e integra quanto è scritto nel Libro Verde dove si afferma che la manifattura del nostro paese è la trasformazione di materie prime e semilavorati. Non solo, ma la nostra manifattura ad alto valore aggiunto è l’assemblaggio di prodotti industriali spesso ad alta innovazione tecnologica di produzione straniera, per costruire sistemi industriali e macchine complesse che sono l’asse portante delle nostre esportazioni.
Quest’ultima osservazione aiuta a non perdere un passaggio importante della genesi del processo di innovazione della categoria dei costruttori di macchine (OEM), quelli che producono il più alto valore aggiunto nell’export. La loro capacità di innovazione è influenzata dalla continua introduzione nel machinery prodotto, di nuova “componentistica intelligente” che spesso viene fornita dai più grandi leader d’innovazione del settore. Ed è proprio in questo punto del processo di buying, dove si incontrano le innovazioni dei nuovi prodotti intelligenti con le strategie d’innovazione degli assemblatori, che nasce e si rafforza la competitività dei nostri costruttori di macchine e quindi del nostro Made in Italy. Conseguentemente si evidenzia che le professioni riconducibili a questo segmento del processo consulenziale di vendita, intendendo i product specialist, i product application o comunque gi esperti di questa componentistica industriale intelligente, rientrano pienamente nella categoria delle professioni tecniche e necessiterebbero di un indirizzo scolastico dedicato, oggi mancante.
La descrizione dell’importanza del Made in Italy nel Libro Verde evidenzia anche un ossimoro, quando indica tra le scelte strategiche per il sostegno di questo settore economico l’istituzione di un liceo apposito. È una scelta decontestualizzata dalla realtà, dove sarebbe invece necessaria una buona istruzione tecnica a supporto del Made in Italy, fatta da una rete di istituti tecnici per il Made in Italy da collocarsi almeno nelle 4 regioni o nelle 12 province dove il machinery Made in Italy è prodotto.
Serve una rivoluzione copernicana dell’istruzione tecnica
C’è allora da chiedersi: come l’opportunità del Libro Verde e del prossimo Libro Bianco per la politica industriale del Paese possa essere d’aiuto per la politica scolastica? Ricostruire l’istruzione tecnica, con una rivoluzione copernicana come ho più volte indicato, nelle condizioni in cui ci troviamo e per le sfide a cui saremo sottoposti è materia assai complessa e non è solo l’aggiustamento o l‘aggiornamento curricolare in conseguenza delle innovazioni tecnologiche. È ben altra cosa, che dovrebbe essere affrontata da un nuovo ministero apposito. Prima o dopo ci si dovrà arrivare.
Nel frattempo, una proposta più concreta e più fattibile potrebbe essere l’attivazione dello stesso percorso messo in atto dal Ministero delle Imprese. Anche per il Ministero dell’Istruzione e del Merito si potrebbe provvedere alla definizione di un Libro Verde, all’apertura di una consultazione pubblica, all’attivazione degli Stati Generali per poi arrivare alla stesura del Libro Bianco sull’Istruzione Tecnica.
Questa idea sarebbe allineata e coerente con gli approcci di coinvolgimento e consultazione previsti già nel Libro Verde dell’Industria e individuati nei “caratteri operativi ad ampio spettro” denominati Whole-of-governement e Whole-of-a-nation. In questo modo si allargherebbe subito la sensibilità al problema a tutta la Società, a partire dalle famiglie e dagli studenti. Poi si estenderebbe la consultazione pubblica a quegli attori con alte expertise che finora non sono stati coinvolti o sono rimasti ai margini delle discussioni. Mi riferisco alle organizzazioni che si occupano della conoscenza e del trasferimento di know how. Tra queste ci sono le principali società di consulenza e formazione, le business school e le industrial management school nazionali e internazionali, tutti soggetti che possono trasferire la loro conoscenza ed esperienza nel mondo della technical education. Costoro hanno da tempo approfondito tutte le analisi dei bisogni di nuove competenze immediate e in prospettiva con le variazioni di employability che si avranno per effetto delle trasformazioni aziendali. Contemporaneamente aggiornano il loro portfolio formativo di prodotti e servizi con articolate “strategie terapeutiche” funzionali ad affrontare i cambiamenti a cui saranno sottoposte le nostre imprese.
Quale allora migliore occasione per applicare la visione olistica e l’integrazione, suggerita dal Libro Verde, già a partire da una eventuale rivisitazione dei percorsi di istruzione tecnica quinquennali, in modo da far coesistere tutti i modelli riformati finora in una competizione costruttiva e generatrice di valore per tutto il Paese.
Perito elettronico e laureato in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano, è Maestro del Lavoro. Le prime esperienze lavorative sono nel campo dei sistemi di controllo. Nello stesso periodo, per nove anni, è anche docente di elettronica industriale presso un importante istituto tecnico serale. Contemporaneamente inizia la sua attività presso una società di un gruppo tedesco, leader mondiale nella componentistica per l’automazione industriale nonché partner del governo della Germania per la costruzione del modello duale della formazione professionale. Successivamente diventa Direttore Generale e Amministratore Delegato di una nuova società del gruppo che si occupa di consulenza strategica e operativa nelle aziende industriali a cui appartiene una scuola di Industrial Management e una divisione per i sistemi di apprendimento. È stato pioniere delle prime iniziative di formazione applicata superiore nazionali e transnazionali. Ha intrattenuto rapporti con molti istituti tecnici e istituzioni pubbliche ed è stato promotore e attore di iniziative riguardanti l’evoluzione delle professioni tecniche. Ha terminato la sua attività professionale nella posizione di Vice President del gruppo internazionale, per il settore della Global Education, occupandosi dell’interconnessione tra economia e mercato del lavoro per la progettazione e realizzazione di sistemi TVET per governi di Paesi in via di sviluppo.
Istruzione tecnica, Libro bianco, Libro verde