Libro Bianco sulla strategia industriale? Serve l’istruzione tecnica
Quasi un anno fa, su Limes, il giornalista Fabrizio Maronta pubblicò un interessante articolo dal titolo “All’Italia serve l’industria, all’industria serve lo Stato”, che già anticipava molte conclusioni alle quali stiamo pervenendo. Partendo dalla nuova tempesta europea – approfondita successivamente nel rapporto Draghi sulla competitività in Europa – innescata dal decoupling (sganciamento) sino-statunitense e di conseguenza al “rimpatrio delle produzioni”. “In un mondo iper-industriale quale è il nostro, la Manifattura resta un pilastro di tutte le economie, anche le più avanzate. Perché ‘nessun paese è divenuto grande consumando’, ma producendo e per restare grandi è necessario preservare saperi e filiere. Pena divenire economicamente, tecnologicamente, strategicamente e intellettualmente dipendenti da altri”, era scritto nell’articolo. Inoltre, si faceva riferimento a come questa dura realtà, resa manifesta dalle crisi del covid 19 e dalla guerra ucraina, valeva anche per l’Italia. “Se l’Industria è il futuro dell’Italia, l’Italia più di altri rischia di perdere l’industria del futuro”.
Maronta continuava il suo pezzo con un’analisi profonda della realtà industriale italiana, indicando che “pur venendo da 30 anni di delocalizzazioni, dismissione della grande industria, accaparramento di impianti e infrastrutture già pubblici da parte di capitalisti senza capitali e desiderosi di rendite e refrattari all’investimento, assenza di politica industriale e infrastrutturale, in un contesto con tanti limiti, la Manifattura italiana sembra un miracolo e a salvarci non è stato lo stellone ma un misto di tenacia e capacità che però non tutto possono”.
L’articolo di Limes, con i suoi approfondimenti, si presentava come un bagno di realtà che ho ripreso per porre l’attenzione sulla conseguente urgenza della Ricostruzione dell’istruzione tecnica, ormai ridotta nell’immaginario collettivo in un percorso scolastico poco attrattivo e considerato di serie B, rispetto a quelli liceali considerati di serie A. Parallelamente ho indicato che l’importanza di disporre di una istruzione tecnica di eccellenza era funzionale a rispondere “all’ultima chiamata per rimanere la seconda Manifattura in Europa, salvare la nostra economia e preservare il nostro welfare”.
Tutto era poi sollecitato da un disallineamento ormai non più sostenibile tra la mancanza quantitativa e qualitativa di tecnici specializzati avanzata dalle nostre imprese e l’offerta dei giovani in uscita dai nostri istituti scolastici, che ormai risentono anche del calo demografico. Un problema che non è solo di oggi, ma che ci trasciniamo da lungo tempo, causato anche da riforme scolastiche sbagliate – sempre in diminutio – e fortemente condizionato dall’assenza di un piano industriale del Paese che indicasse e attivasse per tutti gli attori quelle linee strategiche di politica economica, sociale e educativa che competono allo Stato. Nella mancanza di solide linee guida, fatto salvo alcune eccezioni come il Piano Industry 4.0, ognuno si è mosso come ha potuto.
Il Mimit ha reso pubblico il Libro verde sulla politica industriale del Paese
In questa situazione, spesso di indeterminatezza, si è persa di vista l’importanza del sistema economico industriale del Paese, la progressiva disaffezione verso le professioni tecniche, la mancanza di attrattività dell’istruzione tecnica e professionale influenzata da un cattivo orientamento scolastico e l’impoverimento e inadeguatezza dell’offerta scolastica che ne è conseguita, fino a giungere alle recenti e non complete riforme di cui vedremo gli effetti solo tra qualche anno.
Oggi però abbiamo una novità che merita molta attenzione. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) ha recentemente reso pubblico un documento denominato Made in Italy 2030, meglio indicato come il Libro Verde sulla politica industriale del Paese. Con questa iniziativa, il Ministero indicato apre una consultazione pubblica che, attraverso gli Stati Generali dell’Industria, porterà il nostro Governo alla definizione di un Libro Bianco sulla Strategia Industriale per il Paese, già dal prossimo febbraio 2025. Le condizioni complesse dell’economia industriale europea, alla quale siamo strettamente legati per esserne la seconda Manifattura dopo la Germania – quest’ultima in un particolare stato di crisi – hanno imposto di definire con una certa sollecitudine le linee guida di una nuova strategia industriale da contrapporre a queste evenienze negative. Il punto qualificante prevede necessariamente la rivalutazione del ruolo dello Stato, in una sua nuova funzione di Stratega, e non più solo come soggetto che deve intervenire a mitigare le crisi industriali.
Il Libro Verde è solo il punto di partenza di un processo più lungo, ma si identifica già con un documento corposo di ben 260 pagine. L’obiettivo di questo scritto preliminare è di definire i punti cardinali della prossima politica industriale dell’Italia, iniziando a discutere su quattro temi portanti: l’identità industriale italiana; la sfida delle transizioni verde, digitale e geopolitica; il ruolo strategico dello Stato nella sua azione nel mondo produttivo; la dimensione internazionale della politica industriale. Tutti argomenti che condizioneranno il nostro futuro. A seguire sono poi declinati 15 obiettivi strategici per una politica industriale nel medio periodo e, attorno ad essi, “si dovrà costruire un consenso condiviso tra Amministrazioni centrali dello Stato, imprese, parti sociali ed enti locali”.
Il Libro Bianco sulla politica industriale del Paese, che poi si produrrà, dovrà essere un “contenitore unico”, intendendo il “driver principale che indirizzerà, trascinerà e conterrà tutte le altre politiche del Governo che concorrono alla crescita produttiva, anche con il coinvolgimento fondamentale della risorsa umana”. Per il nostro Paese, dove il settore manifatturiero con i servizi associati è trainante per tutta l’economia e vitale per il mantenimento del nostro welfare, è assolutamente necessario che si possa disporre di un chiaro piano industriale che indirizzi e supporti la strategia di crescita per tutte le nostre imprese.
Il Libro verde mette in guardia da strategie a breve termine
Ma a questo punto viene anche da chiedersi se tra le altre azioni di Governo che sono già in atto, indirizzate al sostegno della crescita produttiva attraverso il coinvolgimento della risorsa umana, intendendo tra queste la politica scolastica della riforma dell’istruzione tecnica e professionale, a cui andrebbe collegata in modo automatico anche una chiara politica sull’employability e quindi del mercato del lavoro, siano tutte coerenti con quanto ha bisogno il Paese per sostenere quella che dovrà essere la sua nuova politica industriale.
La domanda è pertinente, ma difficilmente potrebbe ricevere una risposta positiva. Nel Libro Verde, c’è anche scritto che “il quinquennio che ci porterà al 2030 sarà decisivo per le grandi sfide economiche dell’Italia”. Letto il recente rapporto Draghi, lo sarà anche per l’Europa che sta vivendo una crisi di forte competitività con gli altri giganti mondiali a partire dagli Stati Uniti e con la locomotrice tedesca in grande difficoltà.
Nel Libro Verde non ci sono poi troppi sconti di ottimismo. Si legge ancora: “In questi anni si deciderà se il nostro Paese avrà ancora i titoli ed i numeri per essere considerato una delle principali economie del pianeta o se invece esso sarà avviato a un destino di stagnazione e forse di declino nel nuovo sistema economico in cui saranno definitivamente cessate le rendite di posizione geoeconomiche ed irromperanno nuovi attori produttivi, nuove tecnologie e nuove interdipendenze”. Aggiungendo: “Una marginalizzazione economica ci riporterebbe indietro di decenni a cui farebbe conseguentemente seguito anche quella politica”.
Non c’è da stare troppo allegri e bisogna rimboccarsi le maniche. Se l’istruzione tecnica può essere una delle leve che concorrono all’implementazione delle nuove strategie industriali, è necessario che la sua offerta formativa non sia solo la risposta alle richieste on demand del momento, ma abbia anche una funzione anticipatrice e proattiva a supporto delle sfide che ci attendono nel futuro. Il Libro Verde, infatti, mette in guardia dai rischi di una visione di breve termine, facendo presente che alcuni mestieri oggi mancanti potrebbero sparire per essere “sostituiti dall’automazione”.
Queste raccomandazioni, che condivido da tempo, sono state l’origine del mio libro dove, già nel titolo, indicavo che era suonata “l’ultima chiamata per rimanere la seconda manifattura in Europa, per salvare la nostra economia e preservare il nostro welfare”, e che per affrontare queste evenienze fosse necessario Ricostruire l’istruzione tecnica con una rivoluzione copernicana, passando anche in tal caso attraverso una grande iniziativa di consultazione pubblica fatta con gli Stati Generali. Proposi lo stesso formato che oggi è stato attivato per preparare il Libro Bianco sull’Industria.
Le mie analisi, successivamente confermate dal rapporto Draghi e ora dal Libro Verde, sollecitavano la costruzione di un sistema di istruzione tecnica di eccellenza, che potesse essere una leva strategica per favorire una crescita economica immediata e sostenibile delle nostre imprese, così come una crescita occupazionale non precaria, anche da usarsi come strumento di modulazione e valorizzazione dell’emigrazione economica attraverso politiche di cooperazione allo sviluppo in quei paesi ad alta crescita demografica che potrebbero essere di nuova destinazione dell’export del nostro Made in Italy.
Perito elettronico e laureato in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano, è Maestro del Lavoro. Le prime esperienze lavorative sono nel campo dei sistemi di controllo. Nello stesso periodo, per nove anni, è anche docente di elettronica industriale presso un importante istituto tecnico serale. Contemporaneamente inizia la sua attività presso una società di un gruppo tedesco, leader mondiale nella componentistica per l’automazione industriale nonché partner del governo della Germania per la costruzione del modello duale della formazione professionale. Successivamente diventa Direttore Generale e Amministratore Delegato di una nuova società del gruppo che si occupa di consulenza strategica e operativa nelle aziende industriali a cui appartiene una scuola di Industrial Management e una divisione per i sistemi di apprendimento. È stato pioniere delle prime iniziative di formazione applicata superiore nazionali e transnazionali. Ha intrattenuto rapporti con molti istituti tecnici e istituzioni pubbliche ed è stato promotore e attore di iniziative riguardanti l’evoluzione delle professioni tecniche. Ha terminato la sua attività professionale nella posizione di Vice President del gruppo internazionale, per il settore della Global Education, occupandosi dell’interconnessione tra economia e mercato del lavoro per la progettazione e realizzazione di sistemi TVET per governi di Paesi in via di sviluppo.
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