L’automazione che genera occupazione, Laica investe in robot e valorizza le persone
Quando Lino Saini aprì il primo stabilimento voleva semplicemente realizzare un sogno: lavorare con il cioccolato. Un’origine in qualche modo moderna, che sembra rispondere ai claim motivazionali degli odierni marketer che spingono a seguire le proprie passioni rendendole una professione. Era, tuttavia, il 1946. Ma per capire i valori su cui si fonda Laica, azienda di cioccolatini con sede sulle rive del Lago Maggiore, ad Arona (in provincia di Novara), bisogna andare addirittura più indietro negli anni. Il padre di Lino era proprietario di un mulino a Cressa nei primi decenni del secolo scorso. “Non il ‘mulino bianco’ che abbiamo tutti in mente”, sorride il nipote Fabio Saini, Amministratore Delegato e Direttore Tecnico di Laica. “Era un mulino all’avanguardia, definito – da un team di tecnici italiani e svedesi in visita – uno tra i più innovativi dell’epoca. Anche perché mio nonno, nato nel 1899, si era laureato in Ingegneria in Svizzera”.
All’interno del mulino lavoravano 50 persone e si producevano 5mila quintali di farina ogni anno. “Durante la Seconda Guerra mondiale mio nonno si era prodigato per aiutare i partigiani della zona e per questo motivo venne minacciato più volte dal regime fascista”, prosegue Saini. E il 5 settembre 1944 fu ucciso in un agguato. Aveva 45 anni. Una morte tragica, che tuttavia ha segnato la storia familiare e aziendale. Lo stesso AD spiega come Laica, nata qualche anno dopo, abbia preso spunto dal nonno per diventare un’azienda virtuosa: un documentario Luce, infatti, ritrasse il mulino mostrando ai posteri l’impostazione visionaria di una fabbrica che produceva un alimento tradizionale organizzandosi modernamente. Nelle riprese comparivano, per esempio, i campi da tennis e la piscina che il titolare aveva costruito per i dipendenti.
Laica nacque dunque da una costola del mulino: nel 1946, infatti, Lino si fece liquidare le sue quote nel mulino e, unendo la passione per il cioccolato allo spirito imprenditoriale, fondò Laica. E lo fece negli anni in cui il mercato del cioccolato era in crescita. “Dopo la Guerra arrivarono gli americani in Europa e, con loro, nuovi gusti e generi alimentari”, spiega Saini. Subito l’azienda crebbe, tanto che nel 1963 si spostò di sede, arrivando a quella in cui si trova ancora oggi. Degli stessi anni è l’invenzione di uno dei prodotti iconici dell’azienda: le monete di cioccolato, nate di nuovo da una passione di ‘papà Saini’, quella per la numismatica.
“In questo prodotto mio padre investì molto, diventandone leader. Anche se altre aziende si sono specializzate sullo stesso prodotto, con buoni risultati, l’abbiamo sempre tenuto in assortimento, continuando a essere particolarmente competitivi”, evidenzia Saini. Una competitività assicurata dall’atteggiamento di Lino e dei figli, che ritengono che l’innovazione tecnologica sia uno dei valori fondanti per mantenere la posizione sul mercato, con l’acquisto di macchinari all’avanguardia con frequenza costante.
I conti in ordine non bastano: rischiare con gli investimenti è necessario
Tuttavia, gli investimenti non sono sempre stati omogenei. La metà degli Anni 80 segnò infatti un momento di contrazione da questo punto di vista. I motivi erano riconducibili a uno stile imprenditoriale lungimirante, ma anche prudente: Lino Saini, non più giovanissimo, temeva di lasciare ai figli un’azienda finanziariamente esposta e preferì frenare. Così, quando la nuova generazione giunse in azienda trovò una situazione di decrescita. “Avevamo perso terreno rispetto ai concorrenti, pur con i conti in ordine”, ammette Saini. Di fronte a loro vi erano tre scelte: vendere l’azienda; mantenere lo status quo; oppure riprendere a investire riacquisendo quote di mercato per tornare ad avere peso sul panorama nazionale. La scelta ricadde sulla terza opzione. Dai primi Anni 2000, quindi, per Laica è iniziato un periodo di investimenti senza soluzione di continuità, che ha portato l’azienda a installare 11 linee di produzione (una ogni due anni) con macchinari complessi e articolati, con impianti ad hoc a corredo, per poter realizzare la vision che i fratelli si erano prefissati: diventare leader nella propria fascia di mercato offrendo prodotti di alta qualità a prezzi competitivi. “Non abbiamo la notorietà di altri brand, ma su questo aspetto siamo riusciti a distinguerci”, dichiara Saini, spiegando come abbiano seguito essenzialmente tre approcci. Prima di tutto puntare sulla qualità, sia quella intrinseca alla produzione, con certificazioni continue, sia quella percepita dal cliente finale. In secondo luogo, mantenere i prezzi competitivi (“una sfida importante che richiede l’installazione di macchine efficienti che garantiscano elevata produttività e scarti contenuti”). Infine, avere un ampio assortimento di prodotti, proponendo un portfolio completo in grado di servire la clientela su più fronti, in modo da affidarsi a meno fornitori. “Ora abbiamo più di 350 cioccolatini diversi: dalle monete alle praline in fiocco, dai boeri ai prodotti con il liquore, dai cremini alle tavolette. L’assortimento è più ampio rispetto a quello dei principali concorrenti”.Macchinari all’avanguardia per creare nuova occupazione
Laica, proponendosi di installare costantemente macchinari efficienti, è un esempio di come l’automazione porti occupazione. “Puntare sull’innovazione dei prodotti (con proposte poco presenti sul mercato) significa adeguare di pari passo i processi”, chiarisce Saini, che spiega come l’azienda voglia dotarsi di macchine moderne per garantire l’efficienza. Questo si traduce concretamente nell’adozione di macchinari sempre più automatizzati che portino a un’incidenza di manodopera sempre più bassa. Che non vuol dire tagliare i posti di lavoro, come dimostrano i numeri: se nel 2000 c’erano circa 40 persone in azienda, negli anni successivi si sono superate le 250 in piena alta stagione. La stagionalità, infatti, è un elemento da tenere in considerazione in una cioccolateria: l’inverno è un periodo di alta richiesta e produzione, ma il picco avviene nel periodo autunnale. Tornando ai macchinari, il numero di dipendenti e di robot in azienda aumenta in maniera direttamente proporzionale. “Oggi abbiamo 15 robot. I collaboratori devono essere ben disposti a stare al passo con l’evoluzione della produzione: non esistono più l’operaio o l’operaia in catena di montaggio, ma operatori e operatrici di controllo che non toccano quasi mai con le mani il prodotto e che hanno la responsabilità di impostare le macchine verificando che tutto proceda senza intoppi”. Non sempre, tuttavia, i robot bastano ed è necessario anche guardare alle proprie risorse con una visione lungimirante. È il caso, per esempio, della produzione del cioccolato: Lino inizialmente installò un impianto a questo scopo, ma quando si rivelò insufficiente e non più in grado di soddisfare i sempre crescenti standard qualitativi, più che di valore, i figli decisero di chiudere la linea di lavorazione. Solo nel 2015, dopo 10 anni, Laica è tornata a produrre il cioccolato all’interno, in modo tale da poter garantire un controllo profondo su tutta la filiera. “Oggi partiamo quindi dalle materie prime, che ci giungono già lavorate da diversi Paesi, e arriviamo alla confezione finita. È una filiera profondamente interna che ci permette di avere controllo sulla produzione e rispondere in modo flessibile alle richieste dei clienti. Ancora non ci sono le basi per dedicarci alla produzione delle materie prime (con coltivazioni specializzate in loco) e alla loro lavorazione (per ora ci arrivano lavorate), ma si spera sempre di crescere”, svela Saini. Per ora, l’azienda continua a puntare sull’innovazione dei macchinari da cui sa di poter trarre più vantaggi, prerogativa che insegue da sempre, tanto che il Piano Industria 4.0 non ha stravolto i progetti: per quanto ne abbia beneficiato e la proprietà la ritenga un’iniziativa lodevole, già alcuni anni fa l’impresa ha acquistato nuovi strumenti “in vista di un’interconnessione molto stretta tra le macchine, il gestionale e la pianificazione”, come spiega Saini. Gli sgravi fiscali hanno dunque favorito una transizione che era già in atto, nel solco di una necessità per far fronte alle richieste del mercato. Per quanto riguarda gli investimenti futuri, invece? Avendo un numero di linee molto elevato, spiega Saini, “sarebbe utile poter gestire tutto con una manutenzione programmata e predittiva, ma il mondo reale ci dice che non è ancora possibile”. Molti interventi vengono infatti ancora eseguiti al manifestarsi del guasto, anche se Laica si è strutturata per poter rispondere alle urgenze nel minor tempo possibile. La manutenzione programmata, quindi, si è ottimizzata nel corso degli anni, fissando preventivamente interventi in determinati periodi, come maggio e giugno, in seguito al picco pasquale e in vista della stagione successiva. “L’analisi predittiva è uno strumento a cui guardiamo con interesse; in questo senso abbiamo già installato alcuni sensori che monitorano le vibrazioni dei motori per calcolare l’usura dei cuscinetti, ma è difficile implementare la sensoristica su altre parti dei macchinari che abbiamo in uso. C’è molto da fare, è un campo complesso”.Coinvolgere la popolazione aziendale per far fronte alla crisi delle competenze
Accanto all’innovazione tecnologica, l’azienda punta alla competitività anche valorizzando il personale e le competenze. Un atteggiamento importante soprattutto in un periodo come quello odierno: alla carenza di materie prime si affianca quella del personale. Il disallineamento tra la disoccupazione e la ricerca di competenze è tra i più alti mai registrati. A novembre 2021 secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Excelsior di Unioncamere e Anpal il mismatch tra domanda e offerta di lavoro ha raggiunto il 38,5% (l’8% in più rispetto allo stesso mese nel 2019), con le aziende che faticano a trovare quattro profili su 10. A ottobre 2021 il disallineamento era al 36,5%: la crescita è davvero rapida e preoccupante. Secondo Saini a essere imputabile è anche l’educazione al lavoro: “A scuola questo viene comunicato e vissuto come una condanna e non come un’occasione per crescere. Ricorriamo, poi, a molta manodopera non italiana. E questo non crea alcun problema, ma anzi arricchisce. Tuttavia, può essere letto come un segno che gli italiani vivono male il lavoro di fabbrica, dato che spesso rifiutano mansioni di questo genere”. Secondo il Direttore Tecnico occorre operare un cambio culturale: lavorare in fabbrica è un’occasione di crescita, ma per mostrarlo è necessario che le imprese collaborino con gli Istituti Tecnici Industriali. “Qui vicino ad Arona ce ne sono due: vorremmo iniziare ad avere rapporti più stretti con loro, per informare i ragazzi e le ragazze e per proporre percorsi concreti per testare il lavoro durante gli anni scolastici. Un coinvolgimento che non sarebbe a senso unico: l’albero non prende solo le sostanze nutritive dal terreno, ma rilascia e riversa risorse. Lo stesso possono fare le scuole e le aziende, in uno scambio fruttuoso”, chiosa Saini. A permettere il costante aggiornamento dei macchinari è anche l’atteggiamento dei titolari, che ritengono che la perfezione non si possa raggiungere, intendendo che l’asticella si sposta sempre più in alto. Questo implica la ricerca del continuo miglioramento: della produzione, della presenza sul mercato, ma anche del trattamento riservato ai collaboratori, che da qualche tempo Laica considera ‘clienti’. “Insieme a un’azienda di consulenza stiamo affrontando un nuovo percorso per cercare di coinvolgere maggiormente la popolazione aziendale, ingaggiandola meglio. Perché i macchinari possono essere eccellenti e le fabbriche avveniristiche, ma se manca l’impegno delle persone non si progredisce”, è il pensiero di Saini. Non solo prestatori d’opera, dunque: i lavoratori sono persone con un bisogno a cui l’azienda deve rispondere. Anche perché il successo è strettamente legato a quello dei propri collaboratori. Oltre a questa nuova concezione del personale, l’azienda sta sviluppando progetti e processi per valorizzare le loro soft skill, attraverso questionari approfonditi per generare report sulle competenze umane dei collaboratori, per capire se questi stiano svolgendo il lavoro per il quale sono maggiormente portati. “Ognuno ha una mansione giusta per le proprie capacità e capirlo significa dare la possibilità a tutti e tutte di eccellere”, è il pensiero dell’AD, che ritiene che anche attraverso queste azioni e attenzioni un’azienda possa diventare sempre più attraente.L’articolo è pubblicato sul numero di Gennaio-Febbraio 2022 di Sistemi&Impresa.
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