La produzione ‘diffusa’ di Bigi Cravatte, l’altro futuro delle PMI
La sfida della trasformazione digitale non ha eguali. Se e come le imprese familiari siano in grado di coglierla pare essere di importanza cruciale affinché queste possano sostenere efficacemente il proprio processo di innovazione e prosperare nel lungo periodo.
Lo scrive Alfredo De Massis, Professore Ordinario presso la Libera Università di Bolzano e Direttore presso Unibz Centre for Family Business Management, in un articolo pubblicato sul numero di Luglio-Agosto 2018 di Sistemi&Impresa, dal titolo Gestire la trasformazione digitale. L’impresa di famiglia alla prova.
In questo contributo è lo stesso esperto ad ammettere però che del tema della digitalizzazione se ne occupano soprattutto le aziende grandi e internazionali.
Cosa accade, invece, in Italia, dove il tessuto industriale è fatto di Piccole e medie imprese a conduzione familiare? Accade che mentre la maggior parte delle imprese si affanna a introdurre tecnologie nei processi, digitalizzare la produzione, affidarsi ai robot e ai macchinari connessi, c’è chi dal 1938 realizza i propri prodotti interamente a mano.
Stiamo parlano di Bigi Cravatte Milano, azienda sartoriale che nel 2018 compie 80 anni di attività. E in tutti questi anni non ha mai cambiato il modo di produrre e preserva l’artigianalità dei prodotti grazie a un nutrito gruppo di lavoratrici che, ognuna a casa propria, cuce le cravatte, senza utilizzare altro strumento se non un ago o macchina da cucire.
A raccontarci la storia di quest’azienda (e di una Milano che non c’è più) sono Paola e Stefano Bigi. L’appuntamento è nell’elegante sede di Bigi Cravatte. La sala scelta per l’intervista è disseminata di pregiate stoffe ed eleganti cravatte.
A colpire però è un arazzo realizzato con la tecnica del patchwork: “L’ha cucito nostra madre con i pezzi di stoffa avanzati”, spiega Stefano Bigi, Amministratore Unico dell’azienda.
E così apre il libro dei ricordi: “È stato mio nonno materno, Luigi Draghi, a trasformare il suo amore per lo stile e la raffinatezza in un laboratorio dedicato alla produzione di cravatte.
Con fatica, ma il piccolo laboratorio acquisì un buon numero di clienti, in un tempo in cui erano pochi gli uomini a Milano a non indossare la cravatta che più che un accessorio era uno status symbol”.
Paola Bigi, contitolare di Bigi Cravatte, aggiunge: “Milano sul finire degli Anni 30 era disseminata di sartorie e di cravattifici, c’era una forte concorrenza, ma anche tanta qualità. Oggi invece ci troviamo a competere con le multinazionali”.
Quel piccolo tesoro che era il laboratorio del nonno è passato poi nelle mani del padre degli attuali titolari, Daniele Bigi (rigorosamente con l’articolo “il” davanti al nome di battesimo, per citare testualmente l’Amministratore Unico che si descrive come un “autentico milanese”).
Nel 1976, il laboratorio diventa una PMI, West Point Manifattura Cravatte Srl, e prende casa in zona Porta Ticinese, dove tutt’ora si trova la sede. Negli Anni 80, per rimarcare la proprietà familiare, è nato il marchio Bigi.
“Mio padre ha insegnato a me e mia sorella Paola tutto quello che sappiamo. Prima di lui già nostro nonno ci aveva istruiti. Abbiamo passato l’infanzia tra i tavoli delle sarte, a giocare con le stoffe e i fili di seta”, racconta Bigi. “Ricordo ancora il profumo delle stoffe e i pomeriggi passati in sartoria”, aggiunge la sorella.
Il passaggio generazionale non cambia il modello di produzione
Daniele Bigi però, quando i figli Stefano e Paola era ancora molto giovani, ha avuto un grave incidente: “Ci siamo trovati più presto del previsto a dover guidare l’azienda. Eravamo pronti e preparati, ma abbiamo sentito molto la pressione dall’esterno, anche perché nel mondo dell’industria si è soliti dire che la prima generazione crea, la seconda mantiene e la terza distrugge”.
I fratelli Bigi, invece, hanno dimostrato di saper costruire, puntando soprattutto sull’estero, dove il Made in Italy è ancora un ottimo biglietto da visita.
Stefano Bigi è entrato così in azienda nel 1989, a 23 anni, dopo un’esperienza formativa in Scozia, in un’impresa produttrice di tessuti di altissima qualità per l’abbigliamento maschile e oggi condivide con la sorella Paola la gestione dell’azienda di famiglia.
“Per seguire l’aspetto commerciale dell’azienda, negli ultimi anni mi sono trovato spesso a girare per il mondo. Viaggiare e conoscere sono aspetti del mio lavoro che ho amato sin da quando ero molto giovane e che, anche se costano fatica, trovo siano stimolanti e indispensabili per il mestiere che svolgo.
Ma la parte del mio lavoro che mi regala più soddisfazioni rimane quella legata alla creazione delle collezioni. Dedicarmi allo studio di nuovi accostamenti cromatici, pregiati tessuti e disegni originali mi diverte molto”, dice l’Amministratore Unico.
E in questo lo affianca sua sorella Paola che da giovane non aveva subito preso in considerazione l’ipotesi di entrare in azienda: “Mi sono diplomata in pittura all’Accademia delle Belle Arti di Milano e pensavo di proseguire la mia carriera nel restauro.
È stato mio padre a intuire che questa mia inclinazione poteva essere un valore aggiunto in azienda. Mi ha convita e nel 1986 è iniziato il mio percorso. Ho cominciato affiancando le nostre operaie in laboratorio per seguire tutte le fasi di realizzazione di una cravatta, per poi occuparmi dei rapporti con i produttori e i fornitori di tessuti e, soprattutto, della scelta e della composizione delle collezioni.
Questo è un mestiere che non smette di affascinarmi e di coinvolgermi perché ogni giorno vedo realizzare il nostro prodotto, frutto e sintesi di gusto, passione e laboriosità”.
Oggi Bigi Cravatte impiega 27 dipendenti, di cui la metà lavorano fuori dai laboratori, potremmo dire in Smart working. La produzione si aggira su 40mila cravatte all’anno, per un fatturato di circa 2 milioni di euro.
“Tutte le nostre sarte risiedono nel Milanese, per una questione relativa ai tempi di consegna”, spiega Stefano Bigi. Dopo aver campionato le stoffe e deciso i modelli, c’è la fase del taglio: “È il primo passo importante per creare una cravatta perfetta.
Deve essere realizzato rigorosamente a 45 gradi rispetto il dritto filo del tessuto per far sì che la cravatta una volta confezionata non giri su se stessa. Bisogna fare molta attenzione alle due punte, ottenute dal taglio della stoffa, che devono formare un angolo retto con i lati perfettamente uguali”.
A questo punto le sarte possono andare in laboratorio a ritirare quello che viene definito “il pacco”, ossia la materia prima per cucire le cravatte. I tre pezzi di stoffa devono essere assemblati tra di loro e abbinati alla fodera in seta: “Questo è l’unico passaggio effettuato con una macchina da cucire, infatti lo definiamo macchinatura”.
A questo punto la cravatta viene stirata per fissare bene le cuciture e togliere eventuali pieghe del tessuto e poi si passa alla ‘montatura’: “Aiutandosi con un modello in cartone, l’interno, anima della cravatta, viene avvolto dal tessuto e puntato con l’aiuto degli spilli.
Una volta centrata nella cravatta, si procede con la cucitura che deve avere punti regolari che fermano l’interno con il tessuto. Alla cravatta viene applicato il passante di stoffa, con quattro punti di cucitura sugli angoli, e le etichette”.
Ultimato il lavoro, le sarte riportano il “pacco” in laboratorio dove le dipendenti di Bigi Cravatte effettuano il controllo: “Questo è l’ultimo passaggio della filiera, ma di estrema importanza. Durante questa fase viene attentamente verificato che la cravatta rispecchi in tutti i suoi particolari le caratteristiche di un prodotto di qualità. Se dovessero essere riscontrate delle imprecisioni, le nostre sarte interne scuciono e ricuciono fino a raggiungere la perfezione”.
Le cravatte, pronte per essere spedite in ogni angolo del mondo, vengono imbustate e inscatolate. Oltre il 60% dei prodotti va all’estero in particolare in Giappone, Stati Uniti e Inghilterra, vendute negli store più prestigiosi: da Barneys a New York, a Selfridges a Londra, passando per Printemps a Parigi, e arrivando a Isetan a Tokyo.
Alla domanda “avete mai pensato di modificare questo modello di produzione ‘diffusa’ o di automatizzare la produzione” i fratelli Bigi ridono di gusto e rispondono con un secco “assolutamente no”: “Questo è il business model migliore per garantire alta qualità. Siamo molto orgogliosi di poter creare un prodotto artigianale”.
L’Italia dei maestri senza apprendisti
Non che avere un’organizzazione così strutturata sia impresa facile: “Gli italiani sono riconosciuti ancora come maestri di sartoria, eppure sono sempre meno gli italiani che fanno questo mestiere.
Fatichiamo a trovare le giuste competenze e reperiamo il personale grazie al passaparola. È vero che le nostre sarte lavorano a cottimo, ma è anche vero che in questo modo le nostre lavoratrici possono conciliare meglio i tempi della vita e del lavoro.
Il problema è che le nuove generazioni non hanno la pazienza di imparare un mestiere artigianale. Prima di creare una cravatta perfetta che possiamo accettare e pagare, infatti, passa molto tempo. Bisogna impegnarsi e darsi il tempo di imparare, ma poi si diventa dei maestri”, dice Stefano Bigi.
Sua sorella Paola però intravede dei segnali positivi: “Nel nostro laboratorio sono entrate ragazze poco più che 20enni. Facciamo molta formazione sia a chi lavora internamente sia a chi lavora dall’esterno.
Nell’ultimo periodo ho notato che c’è un ritrovato interesse per gli antichi mestieri che sono molto ben retribuiti. Sono nate molte scuole che formano le nuove generazioni e questo mi fa ben sperare nel futuro, perché l’economia italiana può rifiorire proprio grazie a queste figure professionali”.
E proprio dall’Italia arrivano le stoffe delle cravatte Bigi: “Reperiamo le materie prima soprattutto dal distretto comasco e biellese. Ci rivolgiamo in particolare ad aziende molto piccole che possono garantirci standard elevati e con cui la nostra impresa dialoga da sempre.
Molte stoffe arrivano anche dall’Inghilterra, Paese che in ambito sartoria e tessile ha molto da dire, tanto quanto l’Italia. Lì infatti ci sono ancora tante imprese familiari che lavorano in quest’ambito. Qui a Milano, invece, noi siamo una delle ultime”.
Per ora le cravatte di Bigi si trovano solo nei negozi convenzionati, ma il sogno per il futuro è di aprire un punto vendita brandizzato e lanciarsi nell’ecommerce: “Mio padre ci ha sempre detto di occuparci di fare impresa e in questo siamo bravi.
Avere un punto vendita, invece, significa fare un altro tipo di lavoro. Ma i tempi di mio padre sono finiti. Ora i nostri clienti ci chiedono di avere un punto di riferimento. Molto presto, speriamo, saranno accontentati”.