IoT, cosa ci riserva il futuro?
Era la fine degli Anni 80, quando un gruppo di visionari diede vita a un’applicazione considerata l’antenato di ciò che oggi viene definito IoT. In quel periodo, un gruppo di programmatori della Carnegie Mellon University, al fine di monitorare lo stato di riempimento di un distributore di bevande fresche posizionato tre piani al di sotto del loro ufficio, programmarono un server che ne determinasse lo stato di riempimento.
È facilmente comprensibile come tale applicazione, anche se banale, rappresentasse una soluzione geniale, pratica e rivoluzionaria per gli Anni 80, ma ancora non si sapeva fin dove si sarebbero spinte tali innovazioni, che attualmente rientrano nel campo dell’IoT. Da qui in avanti non si registrarono applicazioni simili, sino al 1999, quando si verifica il battesimo vero e proprio del termine “Internet of Things” (IoT).
Infatti, in quell’anno un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) replicò quanto sviluppato dai programmatori della Carnegie Mellon University, adattandolo alla macchina del caffè.
Da lì in poi, tali applicazioni sono state identificate come IoT e si è iniziato a utilizzare tale termine in alcune sessioni interne, durante diverse conferenze riguardanti le reti e i sistemi di comunicazione, per poi esportarlo al di fuori dei laboratori.
Colui che ha coniato l’acronimo IoT viene identificato in Kevin Ashton, Direttore Esecutivo del centro Auto-ID del MIT. Ashton ha dichiarato di aver utilizzato il termine “Internet of Things” come titolo di una presentazione da lui stesso sviluppata per Procter&Gamble, nel 1999. In questa presentazione, il Direttore collegava il nuovo approccio Rfid della Supply chain di P&G con Internet.
È da queste semplici applicazioni e da alcuni studi seguenti che nasce l’IoT, termine la cui traduzione letterale è “Internet delle cose”, degli oggetti. Tale disciplina, strettamente correlata ai temi riguardanti l’innovazione e la Digital transformation, racchiude in sé tutte quelle applicazioni che sfruttano dispositivi (cose, oggetti) in grado di acquisire informazioni dall’ambiente circostante e inviarle a un centro di raccolta sfruttando la Rete.
Ma attenzione, perché limitare il concetto di IoT ai soli dispositivi connessi in Rete è estremamente riduttivo. L’IoT è qualcosa di molto più complesso: si tratta, infatti, di un’infrastruttura di rete globale dinamica con funzionalità di autoconfigurazione, basata su protocolli di comunicazione standard e interoperabili, dove le ‘cose’ fisiche e virtuali hanno identità, attributi fisici e personalità virtuali e utilizzano interfacce che sono integrate nella rete informativa.
Architettura di un’applicazione IoT
Partendo dalla definizione precedentemente riportata, si rappresenta l’architettura di una generica applicazione IoT. Si parla di architettura generica in quanto il concetto di IoT è così vasto che non è stata definita un’architettura univoca per le varie applicazioni, dato che ogni applicazione richiede o può richiedere numerose e differenti tipologie di apparati. La Wireless Sensor Network (WSN) è una rete di dispositivi senza fili dotati di sensori che vengono distribuiti nell’ambiente oggetto d’analisi al fine di rilevare i fenomeni fisici o monitorare condizioni ambientali desiderate. Una tipica WSN è costituita da un insieme di nodi-sensori che comunicano i dati delle misure effettuate a un gateway. Il gateway è una porta di accesso della Rete. Il suo compito è quello di raggruppare i dati e metterli a disposizione del centro di controllo dove questi verranno elaborati e archiviati. Internet altro non è che il mezzo che consente la comunicazione tra i diversi componenti dell’architettura, mentre il Web Server gestisce la comunicazione all’interno della Rete e processa i dati. Infine Data Base e PC sono le componenti che si interfacciano con l’utente finale (utilizzatore): consentono di immagazzinare ed elaborare i dati rilevati e ottenere utili informazioni.
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