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Impresa 4.0, Taisch: “Male eliminare gli incentivi per la formazione 4.0”

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È deluso Marco Taisch. E non poteva essere altrimenti, viste le indiscrezioni emerse sulla proroga di Industria 4.0 che dovrebbe segnare la fine degli incentivi per la formazione 4.0. Una virata quasi inaspettata che lascia il segno soprattutto agli addetti ai lavori come Taisch, che è stato uno dei componenti della cabina di regia che ha contribuito alla stesura del Piano Calenda proprio sul tema delle competenze. Se nella nuova versione del piano 4.0 restano le agevolazioni per l’Iperammortamento (con qualche modifica rispetto al passato, più per scelte politiche che non tecniche, come confermato dai vertici tecnici del Mise) pur con l’inserimento del tetto massimo per gli investimenti di 20 milioni di euro, a deludere il Professore di Advanced & Sustainable Manufacturing presso il Politecnico di Milano, School of Management Manufacturing Group, è la scelta di eliminare gli incentivi per la formazione, uno dei pilastri del progetto di digitalizzazione delle imprese che puntava a sviluppare le competenze del personale a fronte della sempre più innovativa tecnologia richiesta dalle organizzazioni per restare competitive. “Vuol dire snaturare l’impianto stesso del piano originale che prevedeva due linee di intervento: da una parte gli incentivi per aiutare le aziende ad acquistare le tecnologie e dall’altra quelli per sostenere le imprese a utilizzare soluzioni digitali sempre più complesse”, commenta Taisch con Fabbricafuturo.it. La bozza della proroga prevede infatti che il credito di imposta per la formazione – inserito un anno fa in via sperimentale per il 2018 e quindi valido fino al 31 dicembre – venga dismesso in favore delle agevolazioni per le assunzioni temporanee dei manager chiamati a occuparsi di innovazione digitale. “Avevamo puntato molto sul credito di imposta sulla formazione, perché consideravamo l’assenza delle competenze 4.0 in azienda come il vero collo di bottiglia per gli investimenti”, gli ha fatto eco Stefano Firpo, Direttore Generale per la Politica industriale, la Competitività e le PMI del Ministero dello Sviluppo Economico. “Il mio giudizio su questa decisione è negativo”, rimarca il membro del Comitato Scientifico della rivista Sistemi&Impresa. Che, allargando il discorso, puntualizza come dietro questa scelta ci sia un importante messaggio politico da non sottovalutare: “Ciò che traspare è il disinteresse nei confronti della formazione e quindi delle persone”. Ma non è finita qui, perché l’inversione di tendenza rischia di compromettere i primi benefici del piano 4.0, visto che tecnologie e competenze dovrebbero procedere in sintonia e con la stessa velocità. Ciò che è a rischio è addirittura la produttività delle imprese: secondo i dati del Politecnico, le aziende 4.0 hanno ottenuto un risultato di +25% in termini di produttività rispetto ai competitor che non si sono aggiornati. Niente male per un Paese in caduta libera dall’inizio degli Anni 2000… “La formazione dovrebbe essere una priorità per la società e investire nelle tecnologie digitali vuol dire fare politiche per la crescita e il lavoro”.

PMI alla ricerca di nuove competenze digitali

Di positivo, al momento, c’è almeno la scelta di prorogare il piano – “Non farlo sarebbe stato disastroso” – che sembra cucito addosso alle Piccole e medie imprese che sull’innovazione hanno vissuto un pericoloso periodo di inerzia. “La revisione delle aliquote è una scelta che privilegia le PMI, ma la proroga di un anno di Impresa 4.0 non basta per sostenere una trasformazione culturale del sistema-impresa che richiede un tempo ben più lungo”, commenta Taisch. In molti, non per nulla, speravano in soluzioni strutturali e non ancora provvisorie. Inoltre, se fino a ieri si poteva replicare ai luddisti 4.0 – preoccupati per la perdita di posti di lavoro generata dall’introduzione di tecnologie sempre più sviluppate – che l’effetto disoccupazione legato all’innovazione digitale sarebbe stato colmato dalla necessità di dotarsi di ‘operatori 4.0’ in grado di ottenere performance migliori dalle macchine, oggi il teorema rischia di non reggere più, visto che si perdono le tracce degli stimoli a fare formazione. Insomma avremo aziende che possono dotarsi di strumenti molto evoluti, ma senza personale capace di sfruttarne tutte le potenzialità, almeno fino a quando la scuola non sarà in grado di soddisfare la domanda di competenze proveniente dalle aziende. La stessa quarta rivoluzione industriale infatti impone una formazione continua, visto che le 10 posizioni più richieste oggi dal mercato neppure esistevano fino a meno di un decennio fa. Secondo Taisch non basta neppure la soluzione di orientare i fondi che prima erano destinati alla formazione all’assunzione di temporary manager. “Di certo è una scelta positiva, ma che non risolve il problema, perché in questo modo si inserisce in azienda una sola persona con le competenze, ma più manageriali che tecniche”, ragiona l’esperto. E se le nuove aliquote del piano vanno nella direzione di aiutare le PMI (i tecnici del Mise hanno precisato che l’obiettivo è soprattutto la manifattura discreta) questa decisione di puntare su un unico ‘innovatore’ va nel senso opposto perché “concentrare l’investimento per l’innovazione su una sola persona non ha lo stesso impatto sulla produttività rispetto alla formazione di 10 persone”. Senza considerare che dotarsi di un Innovation Manager è ben più costoso che formare il personale già presente in azienda.

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Dario Colombo

Dario Colombo, laureato in Scienze della Comunicazione e Sociologia presso l’Università degli Studi di Milano, è caporedattore della casa editrice Este. Giornalista professionista, ha maturato esperienze lavorative all’ufficio centrale del quotidiano online Lettera43.it dove si è occupato di Economia e Politica, e nell’ufficio stampa del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.