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Imprese da Report – Saati: digitalizzare la tradizione

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Appiano Gentile è un paese di circa 8mila abitanti, a due passi dalla Svizzera e non troppo distante da Milano. Conosciuta per essere la sede del campo di allenamento dell’Inter, è anche nota come polo di alcune aziende specializzate nella realizzazione di tessuti. Saati è una di queste imprese: è nata addirittura negli Anni 30 come Società azionaria appianese tessuti industriali – da cui l’acronimo S.A.A.T.I. poi trasformata in Saati – e specializzata nella creazione di tessuti tecnici. A fondarla è stato nel 1935 da Italo Ogliaro, e oggi è guidata dalla terza generazione della famiglia, con il nipote Alberto Novarese che ricopre la carica di Presidente. Ciò che non è mai cambiato in Saati è la capacità di interpretare le necessità del mercato, adeguandosi allo scenario, che ha visto l’azienda evolversi nel tempo, fino all’attuale conformazione, che la vede tra i principali player del suo settore. A raccontare l’azienda è Antoine Mangogna, CEO di Saati scelto da Novarese che ha scelto di affidare la gestione dell’impresa a un management esterno. È il manager che svela i ‘segreti’ dell’organizzazione. FabbricaFuturo.it ha raccolto la testimonianza di Mangogna in nove clip che svelano – passo dopo passo – ogni particolarità di un’azienda che oggi conta circa 900 addetti per un fatturato di 170 milioni di euro. Saati digitalizzazione PMI

1. LA STORIA

Nella storia di Saati, che Mangogna definisce un’azienda “giovanissima, nonostante gli oltre 80 anni”, gli Anni 90 sono stati il momenti in cui si è assistito all’espansione internazionale, con l’impresa che si è sviluppata in Usa, Cina, Francia, Germania e “da allora non ha smesso di crescere”. Interessante il rapporto tra i manager e Novarese, considerato dal CEO come un “azionista impeccabile in termini di comportamento imprenditoriale”, un caso “più unico che raro” vista la scelta di affidarsi a un team di manager.

2. IL BUSINESS MODEL

Per diventare la società più rappresentativa del suo settore, come spiega Mangogna, Saati si è dotata di un business model che si basa su tre “pilastri”: uomini, vicinanza ai mercati e ai clienti, energia. “Il nostro sistema è basato sull’intraimprenditoria, cioè c’è un gruppo di intraprenditori al servizio di un imprenditore”.

3. LO STILE MANAGERIALE

Ma se questo è il business model dell’azienda, quale lo stile manageriale del CEO? “È orizzontale: noi ci parliamo, perché per conoscere la verità è necessario parlarsi. Non vuol dire fare micromanagement, ma significa fissare momenti per confrontarsi. Saati è una società a dimensione umana e devo parlare con i miei colleghi per capire quali sono i loro problemi. Ci sediamo e ci diciamo le cose come stanno”.

4. L’AUTOMAZIONE

Sul fronte della produzione, Saati si è data un obiettivo preciso: “Automazione dei processi ovunque sia possibile”. Senza però dimenticare che pur essendo elettromeccanico, il telaio è gestito dalle mani delle ‘maestre’ di Saati. “È un processo estremamente delicato perché è un connubio tra mani e tecnologia”.

5. L’INDUSTRIA 4.0

Questo non significa che l’azienda non si è adeguata alla digitalizzazione. Anzi, Saati ha iniziato il percorso 4.0 ben prima che in Italia se ne iniziasse a parlare in modo così evidente. L’impresa ha infatti mappato ogni telaio e da remoto si può controllare l’andamento produttivo. “È vero che nel tessile il know how è fondamentale, ma l’esperienza è corroborata dai numeri”.

6. LE PERSONE

Citate addirittura come “pilastro” di Saati, le persone nell’organizzazione sono davvero messe al centro. Una recente indagine per capire se i collaboratori ‘si trovano bene’ in azienda, ha dimostrato come il top management sia disposto ad ascoltare le persone: queste ultime hanno partecipato alla survey con grande interesse, sfruttando l’occasione di poter dialogare con i manager, disposti all’ascolto.

7. LE COMPETENZE

Quale la competenza ricercata in Saati? “La voglia di fare”. Dice Mangogna. Poi le persone devono essere “etiche, che non abbiano paura di esprimersi e che dicano sempre la verità”: “Vogliamo donne e uomini disponibili a spostarsi geograficamente e con capacità di adattamento”. Insomma, il vero interesse riguarda le soft skill, perché solo successivamente l’azienda si dedica alle “competenze specifiche rispetto al ruolo della persona assunta”.

8. WELFARE E BENESSERE

Mettere le persone al centro vuol dire anche prendersi cura in concreto dei collaboratori. “Il primo welfare è voler venire in azienda ogni giorno per generare linfa per creare qualcosa di nuovo”, spiega il CEO di Saati. L’organizzazione ha ripensato l’alimentazione in mensa, proponendo menù ideati proprio per prendersi cura della salute di tutti. A questo si affiancano le iniziative per combattere la ludopatia e per incentivare le attività outdoor. Infine nel 2018 è stata lanciata una piattaforma per la conversione in beni e servizi di welfare del premio di risultato.

9. DIVERSITY MANAGEMENT

Da qualche tempo Saati ha rivolto l’attenzione anche al Diversity management: tra i dirigenti, solo il Direttore del Personale è donna, ma Mangogna assicura che i tempi sono maturi per un cambio di direzione. Anche perché Saati si regge proprio sul lavoro delle donne: le ‘maestre’ al telaio sono donne ed è grazie alla loro maestria che nascono i prodotti. “Non applichiamo filtri per l’assunzione di donne e uomini. Dobbiamo superare il cliché della maternità in Italia. La Direttrice dello Stabilimento in Francia è appena diventata mamma e sta gestendo l’attività da remoto, dopo averle dato una mano con alcuni colleghi inviati dall’Italia ad interim”.

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Dario Colombo

Dario Colombo, laureato in Scienze della Comunicazione e Sociologia presso l’Università degli Studi di Milano, è caporedattore della casa editrice Este. Giornalista professionista, ha maturato esperienze lavorative all’ufficio centrale del quotidiano online Lettera43.it dove si è occupato di Economia e Politica, e nell’ufficio stampa del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.