Come è noto il
sistema industriale italiano, rispetto a quello di altri Paesi avanzati, presenta delle
caratteristiche peculiari come una grande presenza di
Piccole e medie imprese.
L’Istat, infatti, sottolinea che
nel 2013 solo l’1% delle imprese italiane
aveva un numero di
addetti superiore a 250, che è il limite oltre il quale si ricade nella definizione di grande impresa.
Se da una parte è forte la
presenza delle PMI, dall’altra appaiono rilevanti le fitte
reti di relazioni che
queste imprese instaurano fra loro. Infatti il
sistema industriale italiano può essere visto in un’ottica diversa quando
si supera il confine della
singola impresa e si considera il
network delle relazioni tra le PMI, attraverso il quale esse possono ovviare almeno in parte alle debolezze della piccola dimensione.
Le reti maggiormente diffuse tra le PMI sono rappresentate dai
gruppi di impresa e dalle
filiere (relazioni di input-output). In particolare
il gruppo, definito come un insieme di imprese
giuridicamente indipendenti, ma
controllate dalle stesse persone attraverso legami di proprietà, può diventare un meccanismo efficiente nel sostenere lo sviluppo delle imprese affiliate.
L’Italia dei distretti industriali
Inoltre, come è noto,
una quota rilevante delle PMI nel settore
Manifatturiero è localizzata all’interno dei
distretti industriali, che non sono altro che sistemi locali in cui le imprese operano nello stesso settore, ma si occupano di diverse fasi del processo produttivo. La letteratura precedente ha evidenziato il
ruolo positivo derivante
dall’appartenenza a un distretto industriale, soprattutto per facilità sia di
collaborazione sia di
trasferimento di know how, che permetterebbe alle imprese di ottenere una migliore performance economica e innovativa rispetto a quelle non appartenenti a un distretto industriale.
Interessante è notare che
le due tipologie di reti – gruppo e distretto industriale –
non si escludono a vicenda: negli ultimi decenni si è registrata la progressiva
emersione all’interno
dei distretti di imprese di
media e grande dimensione; queste ultime hanno assunto il ruolo di rilievo nel controllo dell’output distrettuale e nei vari processi di innovazione. Queste imprese in genere sono normalmente organizzate in
forma di gruppo.
In generale,
il gruppo è la forma organizzativa maggiormente utilizzata per
facilitare i
processi di crescita e di
sviluppo delle imprese. Bisogna anche sottolineare che la forma del gruppo è ampiamente presente non solo in altri Paesi industrializzati, ma anche in mercati in via di sviluppo. Va anche considerato che
l’efficienza del gruppo può dipendere dal
contesto istituzionale e sociale in cui le imprese affiliate operano; infatti si riscontrano differenze in termini di performance tra gruppi localizzati in Paesi emergenti (come nel Sud Est asiatico e Sud America) e quelli che operano in stati avanzati (Paesi europei).
I vantaggi di far parte di un gruppi d’impresa
In generale però
le imprese parte di un gruppo possono beneficiare di una serie di
vantaggi rispetto a quelle autonome. Per esempio, i gruppi favoriscono il
trasferimento di conoscenza da un’impresa a un’altra; stimolano la
diversificazione delle attività svolte dalle imprese appartenenti; permettono il
trasferimento di risorse interne (il cosiddetto mercato interno del capitale) senza il bisogno di chiedere un finanziamento esterno. Diversi studi empirici sottolineano come
il gruppo favorisca la
performance innovativa delle sue imprese, grazie alla facilità di finanziamento delle attività di Ricerca e Sviluppo e alla possibilità di trasferire i suoi risultati alle altre imprese del gruppo.
Il sistema industriale italiano sembra riconoscere il ruolo positivo dato dalla struttura di gruppo. Infatti
i vantaggi sopra citati possono risultare
rilevanti in presenza di choc reali e finanziari, come la recessione del sistema economico italiano a partire dall’autunno del 2008. Ciò sembra essere
confermato dai dati dell’Istat: nel 2014 (ultimo anno per il quale sono disponibili le statistiche) l’Istat ha individuato oltre 90mila gruppi di impresa, di cui l’82% è rappresentato da ‘gruppi domestici’, cioè composti da imprese localizzate solo sul territorio nazionale. Questi gruppi controllavano circa 218mila imprese e davano lavoro a più di 2 milioni di addetti. Rispetto all’inizio della crisi (2008),
il numero sia delle imprese affiliate sia dei gruppi è aumentato.
Dalla Tabella si nota come le
imprese e il
numero dei dipendenti siano
maggiori per i gruppi domestici, mentre la
dimensione media di impresa risulta essere superiore per i gruppi multinazionali. Quest’ultimo dato non deve sorprendere vista la rilevante presenza della piccola e media dimensione dell’impresa in Italia.
La crescita dei gruppi d’impresa
La Figura conferma questo trend in aumento dei gruppi: un
aumento della quota dei gruppi sul totale delle società di capitale tra il 2008 e il 2014, accompagnato da un
incremento del
numero delle imprese appartenenti ai gruppi. Inoltre, sempre dal 2008 al 2014 si è registrato un incremento anche del numero totale delle società di capitali, anche se inferiore rispetto a quelle appartenenti ai gruppi. La quota dei gruppi è passata dal 21% a circa 23% del totale.
I dati Istat sono molto utili perché consentono di avere sia un quadro esaustivo sulla popolazione dei gruppi d’impresa in Italia sia perché
consentono l’analisi della dinamica dei gruppi nel periodo successivo alla crisi. Inoltre, per capire più a fondo il ruolo che assume il gruppo nel sostenere le sue imprese soprattutto in periodi di crisi o instabilità di mercato è necessario disporre di dati a livello d’impresa.
Infatti, il seguente lavoro, attraverso la ricostruzione di una banca dati di imprese appartenenti ai gruppi italiani nel settore Manifatturiero, mostra l’effetto che il gruppo ha sia sulla probabilità di sopravvivenza sia sulla performance economica delle imprese affiliate durante un periodo particolare come quello della crisi economica sperimentata dall’autunno del 2008. Un punto di forza di questo dataset, rispetto ai dati Istat, è la possibilità di sapere se un’impresa appartiene contemporaneamente a un gruppo e a un distretto industriale.
Dai risultati emersi durante il
periodo 2008-11 emerge un effetto protettivo del gruppo sulla sopravvivenza delle imprese affiliate. Questo risultato conferma l’ipotesi che
l’appartenenza a un gruppo
favorisce la sopravvivenza delle imprese anche andando a sacrificare la performance complessiva di breve periodo. L’idea è che il gruppo, concepito come una rete di imprese determinata da legami di proprietà, abbia incentivo a sostenere tutte le sue imprese in un’ottica di crescita di lungo periodo.
La capogruppo tende a
garantire la sopravvivenza non solo delle
imprese più performanti, ma anche delle imprese controllate
meno performanti che altrimenti sarebbero uscite dal mercato a causa dello choc causato dalla crisi. Inoltre, il gruppo fungerebbe da sostegno anche finanziario per le imprese affiliate.
L’evidenza empirica dei
dati Istat confermano il ruolo positivo che i
gruppi giocherebbero nel sostenere la
sopravvivenza e la
crescita delle imprese, in particolare durante scenari di mercato turbolenti.
L’agglomerazione delle imprese ha da sempre mostrato un
ruolo importante nel favorire la
produttività e lo
sviluppo delle imprese. Infatti, l’Istat conferma con il report annuale del 2015 che le
imprese appartenenti a gruppi hanno registrato una
maggiore produttività rispetto alle imprese autonome, indipendentemente dalla loro dimensione. Certamente, uno dei punti di maggiore forza che permetterebbe al gruppo di far sopravvivere anche le imprese meno performanti è rappresentato dalla possibilità di
garantire trasferimenti interni di risorse (mercato interno del capitale), che invece le imprese autonome non possono utilizzare. Per questo motivo, è necessario che il gruppo abbia la piena consapevolezza sia delle risorse interne disponibili e sia della loro gestione in termini di trasferimenti tra le imprese controllate.