Glocal? No grazie, solo ‘local’
“Sulle strategie di posizionamento esistono differenti teorie – spiega Alessandro Santagada, Responsabile Marketing di LD Market, realtà della grande distribuzione che fa capo al gruppo Lombardini. Per me è un po’ come se si fosse tornati indietro” dice. Sia l’industria, sia la grande distribuzione cercano di globalizzare e rendere omogenei i processi, i contenuti e il marketing mix, ma lo fanno con l’unico obiettivo di ottimizzare i costi. Molto spesso, in campo alimentare, si è costretti a tornare indietro perché ci si accorge che la territorialità del consumatore cambia molto da zona a zona. “Se l’obiettivo è vendere bisogna allora rispettare la territorialità”. Quando un’azienda multinazionale lancia una campagna promozionale su un prodotto cerca di farlo in modo omogeneo in tutto il mondo. Salvo poi fare marcia indietro non appena si rende conto che la strategia non funziona. Non funziona perché a comandare il mercato non sono gli uffici Marketing bensì la composizione dei consumatori nel tessuto territoriale. Questo trend è molto evidente nella grande distribuzione, sostiene Santagada.
Territorialità e multiculturalità
Le abitudini dei consumatori dunque variano molto al variare delle zone. Una dinamica confermata dalla Nielsen che, in un convegno dedicato all’efficacia dei volantini, ha sottolineato come il fattore più incidente dal punto di vista promozionale sia proprio la territorialità dei consumatori. Già, la territorialità. Ma allora come cambiano le abitudini del consumatore in una società che non è solo multiterritoriale ma anche multiculturale? In Italia, secondo Santagada, possiamo riconoscere due trend sul comportamento e le abitudini dei consumatori. Da una parte l’italiano è profondamente radicato alle proprie abitudini agro-alimentari e diffida dei prodotti esotici di importazione. Dall’altra parte la nuova tendenza (in Usa già attiva da una decina di anni) si chiama ‘Marketing etnico’, un nuovo mercato in continua crescita dove i prodotti sono offerti con varianti e posizionamenti che cercano di soddisfare le abitudini alimentari di consumatori di altre etnie mixandole con quelle nostrane. La Gerber, per esempio – importante player dell’industria alimentare per bambini – sta producendo in Europa e Stati Uniti un omogeneizzato al gusto di mango e papaya, frutti tipici delle zone tropicali. “Alcuni analisti – dice Santagada – sostengono che questo sarà il vero business del futuro”.
Innovare nel food: una sfida ancora possibile
Sì, ma allora, in relazione a una società che sta cambiando, quale tipologia di Marketing, quale comunicazione oggi fa più presa sui consumatori, sempre più attenti e abituati alla qualità? “Il Marketing oggi deve essere un ‘facilitatore dell’acquisto’ – spiega Santagada – una guida. Le marche storiche sono riuscite negli ultimi anni ad accaparrarsi grandi fette di mercato, ma le aziende che si affacciano oggi sul mercato non possono adottare le strategie di 20 anni fa, perché il consumatore è molto più informato e molto più attento alle indicazioni sulle etichette dei prodotti. Dunque pochi fronzoli e molto più contenuto”. Un contenuto legato più alla capacità innovativa che al brand. Ma quanto è difficile oggi proporre innovazioni radicali di prodotto che si lascino alle spalle i concorrenti e che stupiscano il consumatore, soprattutto nel comparto food? “Nel settore alimentare innovare radicalmente i prodotti per schiacciare la concorrenza è una sfida difficile ma che è ancora possibile vincere. O si inventa un nuovo prodotto – dice Santagada – o un modo diverso per consumare quello stesso prodotto”. L’esempio più classico è rappresentato dagli yogurt da bere confezionati come succhi di frutta. Si spiega anche così il successo del fenomeno emergente chiamato Actimel o Danacol, per esempio. Per non parlare della Kellogg’s, che ha inventato la barretta ai cereali per offrire un modo diverso di consumare un prodotto di grande successo. “Oggi riuscire a fare quel tipo di innovazione radicale permette all’azienda di creare una nuova fascia di consumatori e ottenere margini consistenti” spiega il responsabile Marketing di LD Market.
Quanto i consumatori sono ancora legati alla forza del brand?
“Purtroppo ancora tanto – commenta Santagada –. Ci sono però casi come quelli rappresentati da Coop e Conad dove i private label hanno visto un ottimo sviluppo. Le loro quote di mercato, seppur importanti, rimangono ampiamente distanti da quelle delle catene europee”. In Italia si tende ancora a trasferire il valore dei prodotti più al brand che ai reali contenuti. Per concludere – dice Santagada – sono davvero pochi i prodotti che oggi sono all’altezza del brand che rappresentano, sono rimasti alcuni casi intramontabili per la loro eccellenza, come Coca Cola o Nutella, prodotti direi quasi ‘magici’. Ma pochi altri – conclude –, perché ormai anche produttori meno titolati garantiscono un’offerta con un rapporto qualità / prezzo davvero ineguagliabile.
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