Impresa 4.0, la via italiana all’Industria 4.0 – A Fabbrica Futuro di Torino oltre 130 manager e imprenditori a confronto
Trasformazione digitale. Nuovi modelli di business. Tecnologie innovative. E competenze. Industria 4.0 non è solo tecnologia, ma vuol dire anche cambiare modello dell’organizzazione e ripensare tutte le relazioni dell’impresa: da qui l’importanza della formazione e della collaborazione con centri di ricerca, fornitori, e altri attori coinvolti dal nuovo paradigma.
Il Piano Nazionale Industria 4.0 – soprattutto dopo la recente discussione sulle nuove linee guida 2018 – continua a restare al centro dell’attenzione: della sua nuova declinazione in Impresa 4.0 se n’è parlato nella tappa di Torino di Fabbrica Futuro del 28 settembre 2017, dove oltre 130 tra manager, imprenditori, accademici e consulenti si sono confrontati sui temi della digitalizzazione per il settore manifatturiero.
Ad aprire la giornata è stato Sergio Terzi del Politecnico di Milano, chiamato a tracciare un bilancio del Piano Nazionale Industria 4.0 a un anno di distanza dal suo avvio avvenuto a settembre 2016. L’accademico ha ricordato che sono numerosi i piani politici per rilanciare la produzione industriale: dagli Usa alla Cina, passando per il Regno Unito fino alla Germania, cui spetta la diffusione dell’etichetta di Industria 4.0. Tuttavia resta ancora molto da fare per diffonderne i contenuti e le potenzialità.
“A giugno 2016, il 38% dei dirigenti d’impresa italiani non aveva idea di cosa fosse l’Industria 4.0”, ha spiegato Terzi riportando i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. Ma la situazione a settembre 2017 è totalmente cambiata, perché appena l’8% non conosce il piano, mentre sono aumentate le percentuali di chi ha iniziato a leggerne oppure addirittura “valutando di fare qualcosa”.
Ma quali sono i risultati di Industria 4.0? “I dati ci dicono che qualcosa si è mosso: per prima cosa sono positivi gli investimenti industriali”, ha affermato Terzi, sottolineando i “movimenti ragguardevoli”.
Restano tuttavia alcuni punti aperti per il 2018 rispetto al piano: “Per esempio le proroghe degli investimenti, sulle aliquote e sulle caratteristiche dei beni e dei servizi delle aziende che possono accedere al programma”. Il passaggio a Impresa 4.0 lascia presagire inoltre che si voglia allargare i settori coinvolti.
Da non dimenticare il tema del lavoro 4.0 e la conseguente formazione 4.0, con “meccanismi di incentivazione” per “l’ammodernamento culturale dell’azienda”.
“È necessario ottimizzare prima di digitalizzare, per non digitalizzare gli sprechi”, ha esordito Franco Deregibus di Comau. Che ha evidenziato come sia “fondamentale innovare continuamente”, per “migliorare il proprio posizionamento competitivo”. Come Terzi, anche Deregibus ha sottolineato il problema del lavoro 4.0: “Ogni anno c’è un gap di 10mila laureati in materie informatiche per implementare il paradigma 4.0”.
Il Senior Innovation Strategist di Comau ha illustrato il piano di azione del Digital Innovation Hub Piemonte – di cui è Direttore – per la “trasformazione digitale nelle imprese italiane”, partendo dalla “situazione di maturità digitale di ogni singola azienda”.
Michele Dalmazzoni di Cisco ha raccontato i casi di diversa digitalizzazione di Marcegaglia e Tacchificio del Brenta: esempi di aziende che hanno implementato progetti in ottica 4.0. “Tutta la società è coinvolta dal 4.0”, ha detto il manager, evidenziando come sia importante “capire da dove si vuole partire per l’innovazione”. Da qui il progetto di Cisco di proporre la “via italiana all’Impresa 4.0”: “Proponiamo una roadmap dell’innovazione, definendo i progetti e verificandone l’efficacia; fondamentale condividere le esperienze diverse tra i clienti (vedi il progetto Digitaliani) affinché i casi eccellenti possano circolare; a questo si aggiungono tutti gli altri attori, come i system integrator”. In questo modo le aziende capiscono come fare innovazione e “diventano degli hub innovativi per il loro ecosistemi”, ha proseguito Dalmazzoni. “In Cisco colleghiamo tutto ciò che è collegabile, dalle macchine, fino a persone, processi e servizi”.
Quindi il manager ha concluso dicendo: “La digitalizzazione è rivoluzione, filosofia, etica, sociale ed economica che proietta il mondo verso una dimensione sconosciuta che sarà presto la nostra quotidianità”.
“Oggi i costi dei robot collaborativi sono contenuti e di conseguenza c’è da affrontare il problema della perdita dei posti di lavoro”, ha commentato Domenico Appendino di Prima Industrie e Presidente di Siri, aprendo il suo intervento, nel quale ha anche illustrato il tema del reshoring, con il ritorno della produzione nei Paesi di origine. “Vuol dire aumentare la qualità del prodotto e la marginalità”, ha chiarito l’esperto, puntando ancora il dito sul valore della robotica. “L’aumento della presenza dei robot è inversamente proporzionale al tasso di disoccupazione”, è la tesi di Appendino, sottolineando come sia un falso mito quello dell’automazione che penalizza il lavoro umano. “L’uomo è nato per pensare e creare; i nuovi strumenti glielo consentono”.
Di nuovi modelli di business nella fabbrica del futuro ne ha parlato Giorgio Merli di Efeso Consulting, evidenziando come “gli investimenti all’Industria 4.0 possono realmente aumentare i livelli di competitività solo se verranno utilizzati per abilitare nuove leve di vantaggio competitivo”. Significa dunque non solo “fare le cose come prima a un costo inferiore”. Ecco perché serve “una visione strategica” e “individuare cosa si vuole ottenere e quali interventi organizzativi e tecnologici per abilitarlo”. Per vincere nel nuovo scenario di business caratterizzato dal Vuca (Variable, Uncertain, Complex, Ambigous), “bisogna sfruttare i nuovi spazi”, non dimenticando che i “vantaggi competitivi sono sempre più effimeri e poco sostenibili”: “Il mercato chiede sempre più prodotti e servizi e per questo è necessario un nuovo modello di business per operare nel nuovo ecosistema di business”.
A proposito di tecnologia, Roberto Gemma di Altea Up ha affrontato il tema dell’Augmented reality, resa possibile, per esempio, dall’utilizzo degli smart glass nelle fasi di lavorazione e sulle linee prodotto: “In questo modo le aziende manifatturiere possono migliorare l’efficienza dei processi e incrementare la produzione”, ha spiegato il manager, che ha però evidenziato che “è il modo con cui si usano le tecnologie che caratterizza l’azienda”. “Non si deve aver paura di fare tentativi con la tecnologia, anche grazie ai costi ridotti; inoltre serve affidarsi a player esterni per comporre il ‘mosaico’ tecnologico; per il resto serve l’immaginazione per definire il nuovo business”, ha detto Gemma.
Per supportare la digitalizzazione sono centrali le tecnologie abilitanti. “Ogni cosa diventa smart”, ha esordito Davide Vierzi di Sistemi Spa. “La produzione e la supply chain cambieranno più velocemente di quanto è avvenuto in passato”, ha continuato il manager, focalizzando l’attenzione sul fatto che la nuova rivoluzione industriale porterà ad “aumentare l’efficienza”, “ridurre il time to market” e “incrementare la flessibilità”. Quali sono gli ‘ingredienti’ di una smart factory? “Processi, software, dispositivi e progettazione”, ha illustrato Vierzi.
Silvio Ellena, titolare dell’azienda metalmeccanica che porta il suo nome ed è nata negli Anni 40 (7.500 metri quadri su tre stabilimenti, 20 macchine utensili a controllo numerico), oggi “un’Industria 4.0 senza saperlo”: “Dopo il passaggio generazionale abbiamo portato la prima innovazione con l’informatizzazione e l’introduzione di software homemade per la consultazione”, racconta l’imprenditore. Che svela come l’impresa ha “cambiato il suo mercato”, perché oggi “produce piccole quantità di prodotto, ma con alto valore aggiunto” e che “rispondono alle richieste dei clienti”. A fronte di questo scenario, l’introduzione di tablet che ricevono i dati per la produzione (vedi dati tecnici) e per la qualità, oltre a un continuo “scambio di informazioni con il sistema informatico”.
Secondo Luciano Pero del Politecnico di Milano, “c’è di certo un problema di alfabetizzazione digitale”, ma le competenze sono il risultato dei “nuovi ruoli che stanno emergendo”. “In Italia manca il lavoro, ma anche per la scarsa competitività”, ha continuato l’accademico, spiegando che la “bassa crescita è una conseguenza della mancanza d’innovazione”. Ma il vero problema, secondo Pero, è che “il sistema industriale italiano fatica a fronteggiare le nuove sfide globali”: “Non siamo stati in grado di affrontare l’internazionalizzazione”, è stata la tesi dell’esperto del Politecnico di Milano. “Il 4.0 è una grande occasione per il sistema produttivo; gli ingredienti per diventare un network globale di produzione sono le tecnologie e un modello organizzativo”. Infine Pero ha invitato le organizzazioni a valutare la “partecipazione diretta dei lavoratori”, sul modello tedesco: “Se le aziende tedesche hanno un alto grado d’innovazione è anche per questo motivo”.
Di competenze ha parlato Mario Greganti di IdeaManagement: “Il tema dell’evoluzione in ottica 4.0 delle organizzazione impone nuovi ruoli e richiama anche il gap generazionale (in azienda coesistono fino a cinque generazioni)”. Tra i vari dati elencati – risultato di una lunga ricerca di IdeaManagement – il manager ha elencato le “ansie e le paure del futuro”, legate soprattutto al “non essere all’altezza delle sfide” e quindi “non avere le competenze necessarie” per il futuro. “Capacità di leadership, saper comunicare e orientamento all’innovazione” sono le caratteristiche che dovrebbe avere chi sta al vertice aziendale.